Il Signore non affida semplicemente ai suoi apostoli il compito missionario di annunciarne la parola e l’opera salvifica nel mondo, ma lo stesso compito non esita ad affidarlo a chiunque si mostri sensibile all’ascolto del Verbo e predisposto a veicolarlo e a testimoniarlo in mezzo a comunità umane sempre più ampie e numerose. I dodici, infatti, avrebbero avuto la funzione storica di porre le fondamenta organizzative, istituzionali, della sua Chiesa, custodendo gelosamente i contenuti originali della fede e badando a trasmetterli fedelmente di generazione in generazione, ma tale nucleo storico fondativo non avrebbe dovuto costituire il depositario esclusivo delle verità della fede e dei modi legittimi in cui esse avrebbero dovuto essere trasmesse e testimoniate, bensì si sarebbe dovuto preoccupare di conferire precisi incarichi dottrinari e pastorali di evangelizzazione anche a coloro che, pur esterni per così dire alla cerchia dei responsabili in senso strettamente istituzionale, si fossero mostrati capaci di assolvere determinati compiti missionari. Peraltro, i settantadue discepoli che Gesù stesso incarica di portare la Parola di Dio in mezzo a coloro che non la conoscevano e che quindi, a pieno titolo, avrebbero dovuto rappresentarne la Chiesa nel mondo, nei versetti di Luca 10, 1-16, non sono discriminati in base al loro stato civile, in base al fatto che fossero o non fossero celibi, ma appaiono selezionati solo sulla base della loro fede e delle loro capacità di annuncio, di testimonianza e di assistenza pastorale a beneficio di singoli individui, di gruppi, di masse o moltitudini, anche se il Signore avrebbe detto e precisato altrove che, per coloro che non avvertono la stretta necessità del matrimonio, di una famiglia con prole, il celibato avrebbe potuto costituire certamente un dono prezioso, un arricchimento dello stato sacerdotale: un’opzione, quindi, che non doveva precludere a chi fosse già sposato la possibilità di essere ordinato all’ordine sacro. Continua a leggere
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Chi è il Figlio dell’uomo, chi è colui che è nato da donna, da una donna di nome Maria? E’ la domanda che Gesù rivolge ai suoi discepoli. Questa espressione biblico-profetica, ricorrente molte volte nel libro di Ezechiele ma particolarmente significativa nel libro di Daniele, nella cultura religiosa del popolo d’Israele, denotava una figura messianica, un essere umano designato da Dio quale salvatore del popolo bisognoso di riconciliarsi e rinnovare la sua alleanza con l’Altissimo e quindi la stessa vita personale dei suoi membri. In sostanza, il Figlio dell’uomo era un inviato da Dio per liberare il popolo da situazioni particolarmente complicate e tortuose e, tuttavia, un inviato dalla natura umana e non divina, benché a Dio molto vicino e da Dio molto amato. E’ molto probabile che, nel fare quella domanda, il Signore avesse in mente principalmente la descrizione che di tale figura messianica aveva dato il profeta Daniele: «Guardando ancora nelle visioni notturne, ecco venire con le nubi del cielo uno simile a un figlio d’uomo; giunse fino al vegliardo e fu presentato a lui. Gli furono dati potere, gloria e regno; tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano: il suo potere è un potere eterno, che non finirà mai, e il suo regno non sarà mai distrutto» (Dn 7, 13-14). Continua a leggere
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Non è che l’eucaristia, il rendimento di grazie e l’azione sacrificale con cui vengono offerti il pane e il vino a Dio e trasformati per opera dello Spirito Santo nel corpo e nel sangue offerti da Cristo sulla croce in espiazione e remissione dei peccati del mondo, sostituiscono il normale pasto alimentare con cui gli esseri umani si nutrono quotidianamente. Le creature hanno bisogno di alimentarsi con due pasti di diversa natura: uno è quello alimentare di cui necessita il sostentamento corporale, l’altro è quello eucaristico di cui necessita il sostentamento spirituale che non si contrappone al primo ma con esso si integra ed è funzionale al conseguimento del benessere spirituale e della salvezza eterna allo stesso modo di come gli alimenti, i cibi e le bevande servono al benessere fisico e mentale e alla buona salute degli individui, soggetti tuttavia alla morte. Continua a leggere
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Chi ama il Signore deve non solo sapere ascoltare ed intendere la sua Parola ma anche osservarla e applicarla diligentemente e coerentemente alle diverse situazioni della vita e in rapporto a persone che potrebbero volerla disattendere e persino contrastarne l’attuazione. Il Signore non chiede ai suoi seguaci di porre in essere a tutti i costi e con ogni mezzo il suo insegnamento se non nella misura in cui ciò possa dipendere dalla loro volontà, perché egli è consapevole del fatto che non sempre persino le migliori intenzioni e le buone opere individuali o collettive possono tradursi fedelmente in atti concreti e consequenziali, a causa delle molteplici variabili, dei contrattempi e degli imprevisti di cui constano l’esistenza personale e la storia dei popoli, ma di fare tutto quel che possono, di onorare al meglio quell’insegnamento anche a costo di sacrifici che potrebbero venire implicando anche l’offerta della propria vita. Se mi amate, dice Gesù, osserverete i miei comandamenti: bisogna fare attenzione a non fraintendere queste parole, perché con esse egli non intende dire che l’amore verso Dio e quindi il rispetto dei suoi comandamenti siano incompatibili con la possibilità dell’errore umano, della trasgressione della sua santa volontà, del peccato, o meglio incompatibili sarebbero certamente se il peccatore non fosse capace di riconoscere, o ancora meglio si ostinasse a non voler riconoscere le sue colpe, non fosse capace di ammettere le sue debolezze, di pentirsi dei suoi errori o dei suoi vizi. Tra i comandamenti divini, com’è noto, primeggia il perdono che, contrariamente a quanti, chierici o laici che siano, lo interpretano e lo trasformano in una sorta di alibi sempre buono a sdrammatizzare la gravità di condotte umane perverse o deplorevoli, presuppone il sincero e profondo pentimento del peccatore, la sua effettiva volontà di cambiamento interiore e di conversione spirituale, la capacità di mettere i propri limiti e la propria fragilità nelle mani di Dio, di affidarsi a lui pur sapendo di poter continuare ad essere soggetto alle tentazioni del mondo e della carne. Continua a leggere
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Bisogna soffrire come Cristo o, almeno, per le stesse ragioni e gli stessi scopi per i quali Cristo avrebbe sofferto, per poter risorgere in virtù della sua reale risurrezione da morte. Questa è la lezione più vitale che le avanguardie più degne e fedeli del suo popolo e della sua Chiesa si sforzano di testimoniare, trasmettere e perpetuare attraverso i secoli, predicando a tutti i popoli la conversione alla Parola di Dio rivelata da Cristo e il perdono dei peccati. Prima di ascendere non metaforicamente ma realmente in cielo, Gesù ricorda ai suoi discepoli e apostoli che avrebbe effuso lo Spirito Santo, il Paràclito, l’avvocato, il difensore, il consolatore in uno spirito di verità, promesso dal Padre, per fortificarli e renderli spiritualmente potenti in un mondo che si sarebbe costantemente opposto alla loro missione di evangelizzarne salvificamente tutti i popoli e gli esseri umani. Il Cristo si stacca dai suoi non prima di dispensare loro la sua amorevole e santificante benedizione, perché essi, ormai forti dei suoi insegnamenti e delle sue opere di giustizia, misericordia e carità, potessero assumerli come modelli paradigmatici da emulare nella loro stessa esistenza e da indicare a tutti come imprescindibili punti di riferimento di salvezza personale e collettiva (Lc 24, 46-53). Continua a leggere
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Il Paràclito è qualcuno che ti sta accanto, è lo Spirito divino che ti assiste e ti difende dai dubbi, dal modo corrente di pensare, dal religiosamente corretto, dalla cattiva o errata interpretazione di fondamentali verità evangeliche. E’ in tal modo che lo Spirito conferisce pace a coloro in cui abita, ma quale pace conferisce? Pace della violenza, del dominio, della oppressione e della sopraffazione: tutto ciò che deriva da un cuore malvagio o ipocrita, ma la pace che unisce i cuori, il cuore del più forte in senso spirituale che si pone al servizio del più debole, dei fratelli più umili sul piano fisico, materiale, economico o sociale o anche militare. Certo, anche sul piano militare, perché la pace di Cristo è compatibile sia con l’assenza di guerra armata, sia anche con quanti sono chiamati a resistere in armi contro forme manifeste di sopruso, di malvagità e feroce persecuzione ovvero nei più critici e devastanti conflitti bellici della storia umana. La pace di Gesù non dispensa nessuno dall’assunzione di precise, costose e spesso impopolari responsabilità, in rapporto a gravi e imprevedibili vicissitudini di vita, non esonera nessuno dall’usare della stessa giustizia del mondo, di cui sono espressione le regole del vivere civile, gli strumenti giuridici e amministrativi, lo stesso ricorso alle armi per la legittima difesa di un popolo da minacce o atti interni o esterni di violenza, allo scopo di perseguire il bene comune e il bene di ogni singolo individuo che si trovi esposto ad una reale e concreta situazione di pericolo. Continua a leggere
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Ci saranno ancora un cielo e una terra dopo la fine del mondo, ma saranno governati da leggi completamente diverse da quelle che regolano le realtà astrali e terrestri dell’universo e da condizioni ambientali perfettamente funzionali a forme immortali e gioiose di vita. Allora la vita apparirà totalmente rinnovata da Dio che abiterà stabilmente, visibilmente e concretamente in mezzo alle sue creature. Il vero sovrano del regno celeste sarà Cristo, il Figlio di Dio, al cui potere il Padre sottometterà tutti i regni e i popoli della terra e su di essi governerà gloriosamente per l’eternità. Ma, in realtà, Cristo era stato già glorificato in terra quando aveva assecondato la volontà del Padre lasciandosi prima tradire non da un nemico ma da uno dei suoi discepoli, cioè Giuda, e poi affrontando la morte in espiazione dei peccati di tutti. Gesù era stato glorificato da Dio-Padre per il suo sacrificio d’amore, così come Dio-Padre era stato glorificato dal e nel Figlio per avergli questi prestato obbedienza per amore filiale e per amore verso le creature umane. Continua a leggere
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Le mie pecore ascoltano la mia voce, dice Gesù. Non la lingua che parla perché le pecore non possono capire ciò che il Signore dice, ma la voce, il timbro della voce, il tono della voce. Per essere di Dio, è necessario l’ascolto, non necessariamente una capacità di esaustiva comprensione intellettiva, di approfondimento critico, ma la capacità istintiva o intuitiva di riconoscerlo, senza confonderlo con altri che pure, in apparenza, potrebbero sembrar pronunciare le sue stesse parole o fare i suoi stessi discorsi. E’ come per i neonati che riconoscono la madre non da quello che dice ma da come lo dice, dal modo in cui si relaziona con essi, dal modo in cui si sentono amati e curati, talvolta persino teneramente sollecitati a smettere di piangere o a non rifiutare il latte o il cibo anche in assenza di apparenti cause fisiche che potrebbero esserne alla base. Le pecore si fidano, e noi tutti dovremmo fidarci, di Cristo non solo per le cose che dice ma innanzitutto per il modo in cui le dice, per la percezione del fatto che di quella voce, di quelle sollecitazioni, di quei comandi ci si possa fidare. Peraltro, come recita il salmo 23, il buon pastore, per guidare il gregge, si avvale di un bastone e di un vincastro: di un bastone (la fede) che, da una parte, rende più stabile e sicuro il cammino del pastore davanti al gregge e a favore del gregge, e dall’altra egli usa e brandisce, se necessario, contro animali o uomini malvagi che potrebbero voler arrecare danno al gregge stesso; e di un vincastro che è un vimine, solitamente di salice, tenero e flessuoso, con cui egli stimola dolcemente pecore e agnellini sfiorandoli sui fianchi per farli camminare, per tenerli insieme e per evitare che alcuni o molti di essi possano allontanarsi dalla via maestra. Continua a leggere
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Chi risorge conserva la propria identità personale, pur acquisendo qualità fisiche e mentali differenti da quelle possedute nella vita terrena. Ciò significa che conserverà la propria coscienza, la propria individualità e la propria sensibilità, la propria storia personale, anche se in un contesto ormai profondamente mutato rispetto a quello precedente della vita mortale. Risorgere ad una eterna vita di gloria e beatitudine comporta l’accesso ad un ordine di cose impensabile durante la vita terrena e ad un’esperienza esistenziale inedita e radicalmente diversa dal novero delle esperienze storico-mondane. Chi avrà il privilegio di rinascere nell’originario ed eterno Regno di Dio, in cui saranno confluite tutte le conquiste più mirabili e generose dell’ingegno, dell’amore e dello spirito umani, si troverà al cospetto di Dio e della sua moltitudine angelica che, come ricorda l’Apocalisse giovanneo, sarà intenta a celebrare le prodigiose gesta terrene e la straordinaria opera salvifica del Figlio di Dio, dell’Agnello sacrificale, immolatosi per la salvezza del genere umano: «miriadi di miriadi e migliaia di migliaia» di spiriti angelici «dicevano a gran voce: l’Agnello, che è stato immolato, è degno di ricevere potenza e ricchezza, sapienza e forza, onore, gloria e benedizione» (Ap 5, 11). Continua a leggere