Per un’idea radicalmente alternativa di diversità

Ad Ernest Hemingway viene attribuita una massima: «il modo migliore per scoprire se ci si può fidare di qualcuno è dargli fiducia». Penso che alcune persone, piuttosto poche in vero, la applichino alla e nella loro vita molto frequentemente, non in modo deliberato, ma quasi in modo spontaneo, istintivo, probabilmente per un bisogno psicologico innato di stabilire con i propri simili rapporti disinteressati e sinceri di comunicazione umana, intellettuale e morale. Anche per quel che mi consta personalmente, posso dire, con un margine soggettivo sufficientemente ampio di oggettività, che, in molti, troppi casi, tale bisogno non solo non sia soddisfatto ma ne esca profondamente frustrato. Ma ci si può chiedere da che cosa, da quali cause possono essere provocati, nel corso di una vita, tanti insuccessi interpersonali, tanti fallimenti relazionali: con semplici conoscenti, talvolta con sconosciuti, ma anche con persone più vicine e amichevoli a seguito di una lunga e consolidata frequentazione, con compagni di classe e di gioco, con un numero via via crescente di parenti, e poi, molto spesso, con figure più istituzionali: preti e parrocchiani, funzionari istituzionali e politici di diversa estrazione, professionisti di diversi settori, insegnanti e presidi delle scuole medie inferiori e superiori, accademici, colleghi liceali, insomma soggetti di varia e complessa umanità, senza includere nell’elenco i rapporti spesso difficili con i propri genitori che rientrano, tuttavia, tra i casi più universalmente fisiologici di conflittualità umana.

Le persone ipotetiche che applicano a se stessi la massima del grande scrittore americano sono generalmente dotate di non comuni doti di intelligenza e sensibilità, perché sanno bene che, da una parte, i rapporti umani sono necessari, ben al di là di motivazioni meramente strumentali o utilitaristiche, e che, dall’altra, tuttavia sono spesso difficili e non lineari. Tali persone, peraltro, portate, per pura attitudine spirituale, a concepire il rapporto con l’altro, con il prossimo, con il diverso, come rapporto umanamente e moralmente paritario pur nella consapevolezza delle differenze personali ad esso inerenti, sono altresì coscienti, anche sulla base di personali esperienze di vita, che particolarmente vulnerabili, cioè soggetti a rimanere delusi dal comportamento e dal giudizio altrui e non preparati a manifestazioni di improvvisa antipatia o ostilità, sono quegli individui che, sebbene cortesi e disponibili verso chiunque, hanno nella franchezza, nel parlar chiaro, e nella nettezza dei propri atti quotidiani, la principale caratteristica della propria vita spirituale.

Succede, infatti, specialmente in tutti quei casi in cui, per i motivi più vari e più irrazionali, non venga riconosciuto a qualcuno di questi individui il carisma, da essi effettivamente posseduto, di persona qualificata e autorevole per intelligenza, cultura, competenza, che intorno ad essi vengano gradualmente ma inesorabilmente creandosi il vuoto, fatto di apparente distacco e ostentata indifferenza, e un isolamento esistenziale che viene a sanzionare di fatto non solo la “presuntuosa” diversità di quei singoli “infangati” dalle opinioni correnti, la loro “tracotante” diversità rispetto alle aspettative conformiste del gruppo, della società dei normali o dei regolari, o persino di emerite comunità intellettuali e accademiche, ma anche e soprattutto la pochezza intellettuale, la mediocrità morale, o quanto meno l’indegnità civile e spirituale di molti, abituati a ritrarsi tutte quelle rare volte in cui vedano messe in discussione le proprie certezze, i propri ipocriti valori, in altri termini la propria deficitaria identità.

Beninteso, qui non si tratta di una non accettazione della diversità di chicchessia, ma della non accettazione di una diversità radicalmente difforme da o alternativa a tutte le forme di diversità comunemente accettate, difforme da o alternativa a quel variopinto e bizzarro arcipelago di “diversità” storico-mondane che, in realtà, perpetuano l’effimero e  il marcio della vita e della storia. La diversità che viene realmente, seriamente discriminata ed emarginata non è, peraltro, quella dell’omosessuale, dello straniero, del povero, a favore dei quali esistono ormai un’ampia e iperprotettiva pubblicistica, solide garanzie giuridico-sociali  e un’aprioristica benedizione della Chiesa cattolica, ma quella di chi non esclude dogmaticamente che stereotipi e pregiudizi riguardino non solo i “normali”, gli “identitari”, gli “omologati occidentali” ma anche, e non certo per ragioni più tollerabili, l’omosessuale, lo straniero, il povero.

Colui, il cui sguardo critico è molto più ampio e acuminato di quello della grande e plurale società della comunicazione di massa e di quello che viene veicolato dalla diversificata e persino caotica costellazione di movimenti ufficiali di pensiero, di eterogenee correnti culturali, di infinite scuole accademiche, è la vera, originale, vittima designata del conformismo anticonformista del mondo contemporaneo, è l’unico protagonista di un sapere che sarà sempre attualmente inattuale, che sarà sempre scandalosamente profetico quanto realisticamente inascoltato. A costui, si chiederà sempre polemicamente: ma che vuoi, che cerchi? Chi credi di essere?

Ma la verità è che, non sempre e non necessariamente, la diversità è un’opportunità di crescita individuale e collettiva, di progresso civile e culturale, di arricchimento spirituale e religioso. Non è affatto vero che, dovunque ci sia un individuo, ci sia anche un bagaglio di risorse e conoscenze, ci sia anche un talento e un valore da rispettare. Alludevano anche a questo i sublimi versi poetici di Sandro Penna: “felice chi è diverso essendo egli diverso, ma guai a chi è diverso essendo egli comune”. Bisogna sempre ascoltare l’altro, eventualmente anche per aiutarlo o imparare da lui qualcosa di nuovo, ma proprio l’ascolto più attento e responsabile è quello che può e deve consentire di capire in che modo, in che misura e in che senso, l’altro sia da rispettare e valorizzare. In tal senso, chi sia capace di esporsi, con argomentazioni veritiere ed efficaci anche se scomode e destabilizzanti, al rischio della pubblica incomprensione e dell’odio collettivo, è un eroe del pensiero libero dalle falsità e dalle mistificazioni del libero pensiero, è il testimone di un’umanità educata alle leggi non forzatamente inclusive ed ecumeniche del Cielo.

Francesco di Maria

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