Cambiamenti climatici. La scienza divisa.

Parlo di scienza divisa perchè quello enunciato nel titolo è un tema su cui la scienza, o meglio gli scienziati, sono divisi, a dispetto delle polemiche cosiddette antinegazioniste che vengono oggi muovendo dogmatici e fanatici sostenitori dell’idea che la natura si stia vendicando dei reiterati misfatti contro di essa compiuti dagli uomini, che è ciò che solo in una certa misura si può tranquillamente accettare. Bisogna dire chiaro e tondo, secondo questi sacerdoti di una natura senza Dio, che fenomeni sempre più frequenti e costanti di riscaldamento globale con cambiamenti climatici ad essi associati sono dovuti prevalentemente ad azioni dannose che gli uomini esercitano sulla natura. Se tali cambiamenti fossero stati prevalentemente naturali, argomentano, e quindi legati a processi ciclici di cambiamento naturale del clima, gli uomini avrebbero potuto solo difendersi dalle leggi di una ‘natura maligna’, mentre la certezza scientifica che essi siano prodotti da improvvidi e scellerati comportamenti umani, a loro volta determinati da avidità di guadagno, da semplice incuria ambientale e, spesso, da semplice stupidità, offre ancora la possibilità di agire sulle cause umane di tanti disastri naturali per contrastarne l’irreversibilità o, almeno, limitarne gli effetti.

Questa è dunque la posizione, non molto leopardiana, degli scienziati che sostengono la tesi delle origini antropiche dei cambiamenti climatici, alla quale tuttavia si trova contrapposta la posizione scientifica opposta, delle origini naturali degli stessi, e questo dimostra la falsità di frequenti dichiarazioni di politici e giornalisti secondo cui gli scienziati avrebbero assunto una posizione univoca, compatta e unitaria su tale tema, vale a dire la posizione di scienziati, non uno o due, ma molti di più, che, mentre tendono a ridimensionare l’incidenza dell’apporto umano sul clima, non risparmiano sforzi per dimostrare che il clima terrestre è sempre stato soggetto, sin da quando ancora non esistevano oggettive possibilità di inquinare e devastare tecnologicamente la superficie e l’atmosfera della terra. In tal senso, purtroppo, non appare condivisibile che il destino della terra sia interamente nelle mani degli uomini.

A chi osserva che, pur non negandosi l’origine naturale dei cambiamenti climatici, sarebbe tuttavia evidente che la frequenza con cui essi avvengono sarebbe di gran lunga maggiore di quella di periodi passati, replicano i circa 1500 scienziati (Cfr. M. Scopece, L’emergenza climatica non esiste. Parola di 1500 scienziati. Conversazione con il prof. Prestininzi, in “StartMagazine” del 5 giugno 2023; a questo folto gruppo di scienziati ritenuti “negazionisti” si riferisce anche l’articolo di M. Bella, Cambiamento climatico: perché blastare chi lo nega è controproducente, in “Il Fatto Quotidiano” del 5 giugno 2023, definendo “legittime” molte delle loro opinioni), che, molto più cauti nel parlare di “emergenza climatica”, vengono proponendo un ragionamento scientifico più documentato, articolato ed equilibrato, e in definitiva più attendibile e realistico, di quello approssimativo e ideologico, anche se mediaticamente “gridato” e coinvolgente, degli scienziati di fede, per così dire, ecologica o ambientalistica. D’altra parte, la scienza non offre mai quelle incontrovertibili garanzie di esattezza che molti, ancora oggi, vorrebbero attribuirle. La scienza non è e non sarà mai una divinità da adorare e a cui tutto sacrificare. La scienza ha impiegato ben 1500 anni per rendersi conto che il suo sistema fisico-astronomico di tipo geocentrico fosse completamente sbagliato, e, anche dopo la rivoluzione galileiana, altre sconvolgenti rivoluzioni scientifiche, sia pure nello spirito delle “sensate esperienze” e “certe dimostrazioni” galileiane si sono susseguite con stupefacente rapidità non sempre in termini di convergenza.

Oggi, ancora una volta, tanti manigoldi pretenderebbero di fondare frettolosamente scelte e prospettive di sviluppo di tutto il genere umano su presunte certezze climatiche, non solo prive di oggettivi e univoci riscontri storico-empirici, ma anche indebitamente estrapolate da un acceso dibattito scientifico che infuria in tutto il globo terrestre. Infine, la scienza, come dovrebbe essere ormai arcinoto persino all’individuo più ignaro di cose scientifiche, è ancora nella condizione di poter proporre solo verità relative, sempre suscettibili, di approfondimento, revisione, falsificazione e integrazione.

Emblematico, al riguardo, è ad esempio il fatto che la teoria del raffreddamento globale, in auge negli anni ’70 e che un largo consenso aveva trovato nella comunità scientifica internazionale, anche perché apparentemente suffragata da significativi dati sperimentali di quegli anni, viene ora superata proprio dalla teoria del riscaldamento globale. Cosa si intende fare, dunque? Si vorrebbe forse giocare a dadi per assegnare un primato scientifico a questa o quella teoria? Il clima ha sempre conosciuto dei mutamenti: ora più significativi, ora meno significativi, e li ha conosciuti anche quando l’uomo non avrebbe potuto in nessun modo inquinare o avvelenare la natura, l’atmosfera, il suolo, le acque e i ghiacciai. Purtroppo, anche gli scienziati tendono a dare talvolta, inavvertitamente, per scontato che le leggi, i meccanismi, i processi, i fenomeni della natura, siano stati tutti sostanzialmente acquisiti sul piano scientifico, anche se essi, come gli stessi profani di cose scientifiche, sanno bene di poter disporre di una “scienza della complessità” che concorre bene a dare l’idea di come tutto ciò che è ignoto del mondo naturale sopravanzi di gran lunga tutto ciò che di esso è stato, in qualche modo, acquisito dalla conoscenza scientifica. Nessuno scienziato nega che in natura esistano cambiamenti climatici anche estremi, ma legittimamente molti non vedono ancora in modo chiaro, attendibile, determinante, una relazione tra questi e le attività antropiche, e sostengono anzi che “la scienza del clima dovrebbe essere meno politica, mentre le politiche climatiche dovrebbero essere più scientifiche”.

Un dubbio aleggia, in effetti, su questo scontro in atto tra “emergentisti” e “non emergentisti” o, se si vuole usare ovviamente a torto il termine spregiativo, “negazionisti”: che i primi, come scienziati, si sentano defraudati del loro mestiere e delle loro ricerche, dal momento che essi forniscono i dati e i risultati di indagini spesso complicate e laboriose, ma poi i report finali sono formulati e sintetizzati dagli economisti e dai rappresentanti politici dei diversi paesi, che evidentemente non fanno parte del mondo scientifico. E’ significativo che questo sia stato capito da importanti ambientalisti che hanno abbandonato ad un certo punto l’organizzazione IPPC, ovvero Integrated Pollution Prevention and Control, preposta alla strategia europea di prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento: tra questi Patrick Moore di GreenPeace e Michael Shellenberger, nominato nel 2008 da Time “eroe dell’ambiente”, che ha accusato gli ambientalisti di allarmismo sul clima. Tuttavia, nel 2020 Shellenberger ha scritto in America un libro, L’Apocalisse può attendere. Errori e falsi allarmi dell’ecologismo radicale, edito in Italia da Marsilio, Venezia, 2021, che può assolvere forse la funzione di tranquillizzare la popolazione mondiale, anche se, almeno i credenti cristiani, sanno bene che la fine del mondo non è procrastinabile all’infinito e che il giorno dell’Apocalisse potrebbe essere anche domani, ammesso che non sia già cominciato.

Francesco di Maria

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