«Morire di paura, è un disastro annunciato»*

*Quella che segue è l’intervista rilasciata dallo psicologo e psicoterapeuta Roberto Marchesini alla rivista on line “La Nuova Bussola Quotidiana” in data 25 marzo 2020

Che sia un grave errore o una strategia voluta, questo panico generato intorno al coronavirus sarà un disastro per la salute fisica e psichica e facilita anche una eventuale svolta totalitaria. Così lo psicologo e psicoterapeuta Roberto Marchesini commenta le allarmanti notizie di cronaca degli ultimi giorni e la strategia del “tutti in casa”.

Dottor Marchesini, la cronaca comincia già a raccontare di suicidi di persone, anche personale sanitario, terrorizzati dal coronavirus. E la permanenza prolungata chiusi in casa ha sicuramente anche conseguenze psicologiche importanti. Considerando che si prevedono tempi lunghi, quali possono essere gli effetti e i costi umani di questa scelta?
Purtroppo non li possiamo prevedere. Volendo, potremmo anche pensare di assistere a un esperimento sociale per indagare gli effetti delle condizioni che stiamo vivendo. Come reagiranno gli italiani in queste condizioni? Qualche collega ipotizza separazioni e divorzi; altri un aumento del tasso di suicidi (non per la paura del coronavirus, ma per la reclusione forzata). Nessuno si aspetta qualcosa di buono, soprattutto per i più fragili psicologicamente. Il punto è che nessuno sa quanto tutto questo durerà; in questi giorni si parlava addirittura di fine luglio… Anche il fatto di non avere un punto di arrivo non aiuta. È una situazione simile a quella de Il deserto dei tartari, di Buzzati. La gente aspetta un nemico invisibile senza sapere se verrà, quando verrà… una situazione angosciante.

Ci sono malati che sono terrorizzati anche non avendo sintomi gravi. Non crede che questo stato d’animo pregiudichi la possibilità e i tempi di guarigione?
No, non lo credo. Ne sono certo. Lo stress, la paura e la tensione stimolano la produzione di cortisolo (chiamato “l’ormone dello stress”). Purtroppo, elevati livelli di cortisolo inibiscono il sistema immunitario che è, attualmente, l’unica difesa che abbiamo nei confronti del coronavirus. Ma questo è solo un«o dei meccanismi mediante i quali lo stress influisce negativamente sul sistema immunitario. Se poi aggiungiamo che i vari DPCM (Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri) che si susseguono e si accavallano continuamente vietano la vita sociale, l’attività fisica all’aperto e l’esposizione alla luce del sole… il disastro è quasi assicurato. Qualcuno, ironizzando – ma fino a un certo punto -, ha detto che stiamo diventando immunodepressi per decreto.

Fin dall’inizio della vicenda coronavirus si sono scelti toni molto allarmisti nella comunicazione, sia dal punto di vista sanitario sia dal punto di vista politico. Senza voler minimizzare la portata dell’epidemia, come si dovrebbe comunicare in questi casi?
Beh… dipende. La strategia comunicativa è stata confusionaria e ha contribuito a creare ansia. La cosa diventa più evidente confrontandola con la gestione dell’emergenza in altri paesi come la Polonia: informazioni chiare, esaurienti, rassicuranti. La strategia italiana potrebbe essere frutto di un errore; in questo caso sarebbe un errore gravissimo. Da parte di qualcuno i toni allarmistici potrebbero essere stati semplicemente un modo per cercare notorietà. Però c’è anche una terza possibilità: che questa strategia comunicativa sia stata scelta e voluta. Del resto, il portavoce e capo dell’ufficio stampa del presidente del Consiglio mi sembra tutt’altro che sprovveduto. Ricordiamoci che si definisce spin-doctor: potrebbe esserlo davvero. Dobbiamo ricordare che uno dei cardini della psicologia è che una persona che ha subito uno shock emotivo accetta qualunque cosa: la reclusione forzata, una legge marziale… una sospensione della democrazia… il divieto di fare l’orto! E chissà quali altre sorprese ci aspettano, nei prossimi giorni. Giusto ieri sera il presidente del Consiglio ha dichiarato che… aggiornerà (o manderà un ministro ad aggiornare) il parlamento ogni quindici giorni. È lecito chiedersi chi comandi oggi in Italia. La domanda è: senza la situazione attuale, una dichiarazione del genere sarebbe stata possibile?

Si insiste sul numero dei morti, si sorvola invece sia sui guariti sia su quelli che, pur malati, non hanno avuto problemi seri. Non crede che raccontare maggiormente questi casi sia un aiuto per tutti, soprattutto per gli altri malati?
Certamente, e non solo. Stiamo assistendo anche a gesti eroici, come il sacrificio di don Giuseppe Berardelli, il parroco della bergamasca morto nei giorni scorsi e che aveva detto di voler cedere il suo posto ai più giovani in caso di necessità di terapia intensiva. Gesti di uno spessore molto diverso rispetto ai flash mob improvvisati sui balconi. Eppure non trovano rilievo sui media. Anche le interviste ai guariti: potrebbero avere una profondità notevole, indurre a riflessioni. Ma tutto quello che sentiamo dire, da queste persone, è «Non uscite di casa». Hai rischiato la vita, sei sopravvissuto al coronavirus e tutto quello che mi sai dire è «Non uscite di casa»? O siamo il popolo più superficiale del mondo, oppure – e torniamo al discorso precedente – questa è una scelta voluta.

Anche la Chiesa sembra “in ritirata” più che “in uscita”. La percezione che tanti fedeli hanno è di essere stati abbandonati. Non crede che anche la mancanza di un conforto morale e spirituale possa aggravare le conseguenze psichiche sulla popolazione?Questo, per me, è un tasto molto doloroso. Stiamo affrontando una situazione fantascientifica, un virus mortale e siamo pure in quaresima. E i nostri pastori sono scomparsi. Invece di approfittare della situazione per manifestare la loro presenza (come fanno, ad esempio, i testimoni di Geova, che compaiono e sono presenti nei momenti difficili della vita delle persone), tacciono. Ed è pure Quaresima, un tempo forte. Ci sono, è vero, le eccezioni. Mi piace citare il vescovo Camisasca, che sta dimostrando una vicinanza e una presenza straordinaria nei confronti dei suoi figli (clicca qui). Anzi, lo ringrazio, per quello che fa. Ma è una eccezione. Sembra che anche i sacerdoti e i vescovi siano convinti che sarà «la scienza» a salvarci, e che si siano fatti da parte lasciando la parola a virologi, infettivologi, biologi… ma noi abbiamo bisogno di conforto spirituale. Potremmo morire, e potremmo morire soli e senza sacramenti. Temiamo per la nostra salute terrena, abbiamo bisogno di conforto e speranza. Speriamo che tornino vicino a noi.

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