L’Italia svergognata di Conte

Mi ero dovuto ricredere, perché non mi aspettavo che un opportunista e un arrivista come Giuseppe Conte puntasse i piedi in sede europea preannunciando la sua più ferma contrarietà alla utilizzazione del famigerato MES o Fondo Salva-Stati in relazione alla gravissima crisi pandemica che stava colpendo e avrebbe ancor più colpito le economie di tutto il mondo e dei Paesi europei, tra cui l’Italia, in particolare. Mi ero dovuto ricredere e non avevo esitato a riconoscergli il merito di voler fronteggiare apertamente, come nessun premier italiano aveva voluto e saputo fare prima di quel momento nei confronti dei rapaci e inflessibili organi decisionali europei da sempre notoriamente al servizio della Germania merkeliana e dei suoi paesi satelliti, tra cui in primis l’Olanda. Non mi era sembrato giusto pensare, in quel momento, che Conte potesse bleffare e promettere qualcosa che sapeva di non poter mantenere: non era giusto, perché non era pensabile che un uomo politico ambizioso come Conte potesse giocarsi così male, in modo così ignobile e avventato, le carte in una situazione peraltro oltremodo drammatica e dolorosa per il popolo italiano.

Mi sono sbagliato: Conte è quell’uomo fatuo, inconsistente, ondivago, ambiguo, amorale e spregiudicato che si era visto all’opera sin dal primo momento, sin da quando, da semplice pervenu della politica italiana e senza passare attraverso un vaglio popolare ed elettorale, aveva ottenuto l’incarico di presidente del Consiglio di un governo formato da M5Stelle e Lega. Poi, con il benestare e quindi la decisiva complicità di Mattarella, non aveva esitato a guidare un nuovo governo con pentastellati e democratici (si fa per dire) del giocoso Zingaretti e ad esercitare un’azione politico-governativa segnata da molte ombre e pochissime luci. Fino alla comparsa del coronavirus nella scena del mondo e dell’Italia, fino a quando cioè il professore universitario pugliese non ha avuto l’occasione di manifestare le sue capacità e il suo effettivo talento oppure, al contrario, i suoi limiti e la sua inadeguatezza morale e politica.

Era evidente che le oligarchie finanziarie europee, ben rappresentate e tutelate nella UE, avrebbero guardato alla pandemia in corso più come ad una notevole opportunità di profitto che non come ad un evento drammatico che richiedesse e imponesse a tutti un grande e generoso sforzo di solidarietà e di condivisione. Ed era quindi indispensabile che finalmente l’Italia si mostrasse capace di non sottostare, quale che fosse poi il prezzo da pagare (ma sempre inferiore a quello derivante da un ennesimo atteggiamento servile o subalterno), ai diktat europei. Ecco perché, nel momento in cui Conte preannunciava la sua resistenza ad oltranza al reiterato tentativo europeo di saccheggiare le risorse economiche italiane, non potevo che seguirne benevolmente gli atti politici mettendo volentieri da parte i miei precedenti giudizi critici.

Ma, purtroppo, ancora una volta la realtà si è incaricata di fare chiarezza e di mettere a nudo la vera indole dei Gualtieri e dei Conte, che è l’indole, comune in vero all’intera compagine governativa italiana, di chi, nel nome del bene comune e dell’amor patrio, si preoccupa esclusivamente di soddisfare le proprie ambizioni e le proprie voglie di potere, là dove il problema non è costituito tanto dalle ambizioni e dalle voglie di potere in se stesse considerate quanto dal fatto che non si trovi mai la capacità morale di porle realmente e coerentemente al servizio degli interessi nazionali. Poiché tutti i criticoni dei Salvini e Meloni, senz’altro anch’essi non privi di limiti, non intendono capire che non l’Italia di quest’ultimi è nazionalista ma che espressione di nazionalismi coalizzati ed esasperati è proprio quest’Europa, sembra essere giunto il tempo massimo oltre cui l’Italia non potrà più permettersi di farne parte alle attuali condizioni.

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