Luttwak, i cattolici e papa Francesco

download (95)Edward Luttwak, il noto e controverso politologo americano, sempre capace di alimentare dibattiti di geopolitica, geoeconomia e strategia militare sia in relazione a questioni di specifico interesse nazionale (in particolare riguardanti gli USA nei suoi rapporti con gli Stati occidentali e con quelli asiatici e mediorientali) sia in relazione a questioni di carattere generale, molto probabilmente non ha torto nel muovere critiche pesanti su papa Francesco a proposito del fenomeno immigratorio in atto e della valutazione della natura dell’Isis e della stessa religione islamica.

Ultimamente, ha detto che “questo papa ritiene che si debbano accogliere tutti” senza porsi seriamente il problema relativo ai mezzi finanziari con cui sia possibile attuare una politica di accoglienza generalizzata se non indiscriminata. Egli sembra non rendersi conto “di collaborare, sia pure involontariamente, ad un suicidio epocale, quello dell’Europa cristiana”.

In realtà, Francesco pensa di interpretare correttamente il principio della misericordia evangelica che sempre va elargita a forestieri, ad oppressi e a bisognosi in genere, ma egli sembra non preoccuparsi del fatto che la misericordia, specie per un enorme fenomeno epocale come quello dell’immigrazione contemporanea, debba esercitata evangelicamente sotto il governo dell’intelligenza e della razionalità. Se, nonostante ogni caritatevole sforzo di accogliere centinaia di migliaia di profughi in Europa, gli Stati europei più aperti all’invito evangelico non riescono a far fronte a tutte le loro necessità e a tutte le loro richieste, occorrerebbe prendere ragionevolmente atto che si frappongono oggettive difficoltà ad un piano, pur lodevole, di accoglienza e assistenza universali.

Dove e come prendere tutte le risorse economiche necessarie a soddisfare tutte le esigenze di un vero e proprio esercito di immigrati, peraltro non tutti “angelici” e non tutti disposti a rispettare la cultura, la vita sociale occidentali e la stessa religione cristiana? Se il nostro mondo fosse una perfetta comunità di santi, fondata sulla comunione dei beni materiali e immateriali, tutto sarebbe possibile. D’accordo! Ma la realtà, nel frattempo, è un’altra, e questa realtà presenta problemi molto rilevanti di convivenza e di sicurezza, di ordine pubblico, di protezione anche sanitaria per le diverse comunità nazionali europee. Spetta ai governi, agli Stati provvedere a tutto ciò nel modo più saggio ed equilibrato possibile.

E’ Dio che ha concesso agli Stati l’esercizio del potere, l’uso della forza, la facoltà di difendere il proprio territorio e le relative popolazioni da pericoli interni ed esterni. Ogni Stato e ogni uomo risponderà a Dio stesso dell’uso che avrà fatto di questi “doni”, ma la coercizione, la violenza, i tribunali, gli eserciti, in sé considerati, sono legittimi perché hanno la loro origine nella volontà stessa di Dio. Essi diventano indebiti, antievangelici, se sono adoperati, come spesso accade storicamente, in modo indiscriminato, soprattutto per colpire la libertà di coscienza e di fede dei sudditi o dei cittadini.

Gesù disse: “A Cesare quel che è di Cesare”, non solo a proposito di tasse e imposte, ma anche per sottolineare che lo Stato ha il compito precipuo di legiferare e governare nell’interesse e per conto di tutti coloro che ne fanno o potrebbero farne parte secondo norme indubbiamente lacunose e imperfette e tuttavia necessarie ad assicurare un’ordinata convivenza civile. Certo, a Dio quel che è di Dio, ma questo significa che il conflitto, pur sempre non violento nei limiti del possibile, rispetto ai poteri dello Stato, è giustificabile solo nel caso in cui quest’ultimo venga adottando provvedimenti manifestamente e insopportabilmente disumani e iniqui, volti a perseguire unicamente interessi particolaristici e privati e non il bene comune o collettivo.

imagesIl Vangelo è anche questo: bisogna essere sempre e comunque misericordiosi ma nel riconoscimento che lo Stato ha tutto il dovere e il diritto di fare scelte quanto più possibile responsabili, seppur discutibili, per tutelare la collettività che è ad esso affidata.

Ma Luttwak critica il papa anche sul versante della lotta al terrorismo, la cui matrice in questo momento storico si chiama, inequivocabilmente, a suo giudizio, islamismo. Francesco, invece, persino dopo il barbaro assassinio del sacerdote cattolico Jacques Hamal a Rouen, continua a ritenere che altro sia il terrorismo altro sia l’islam, negando cosí, come da tempo hanno dimostrato autorevoli studiosi dell’islam, la natura intrinsecamente violenta di quest’ultimo.

Su questo punto, francamente, il pontefice, anche in casa cattolica, appare del tutto indifendibile perché persino le pietre, dopo diversi secoli di storia, hanno imparato che la fonte stessa della religione islamica, ovvero il Corano, altro non è se non un’evidente eresia anticristiana e anticattolica, fondata sull’odio verso quel Cristo che i suoi seguaci considererebbero in modo blasfemo e sacrilego quale Figlio di Dio e Dio tout court.

Al contrario, e, secondo chi scrive, giustamente, Luttwak sostiene che alla base di questo terrorismo ci sia proprio il credo religioso islamico: “terrorismo islamista. Il nemico va chiamato con il suo nome”. Di conseguenza, il papa cattolico, nell’escludere che sia in corso una guerra di religione, non solo sbaglia la diagnosi ma pecca anche, secondo l’analista romeno-statunintense, di “irresponsabilità”.

Francesco attribuisce il terrorismo alla “povertà” di gran parte del mondo islamico e di quelle stesse masse islamiche che, già da alcune generazioni, si trovano insediate nei Paesi occidentali. Ciò che arma la mano dei terroristi, sia pure in modo del tutto ingiustificato, sarebbe non già il credo o il fanatismo religioso, ma gli interessi economici e la recriminazione contro l’imperialismo occidentale. Ma questa impostazione di derivazione “marxista”, osserva Luttwak, ha fatto il suo tempo insieme a quella teologia della rivoluzione, risultata del tutto fallimentare in America Latina, e che Bergoglio avrebbe in qualche misura ereditato.

In realtà, qui la critica luttwakiana al papa sembra correre troppo e tutta da verificare anche sul piano storico, ma non c’è dubbio che Francesco, anche per molti cattolici, è in errore nell’affermare che l’Islam in sé non è violento e che il terrorismo nulla avrebbe a che fare né con Maometto né con il Corano, perché i veri islamici, da non identificare con i combattenti dell’Isis, non odierebbero né i cristiani né altri ma desidererebbero sinceramente la pace. Anche perché, ritiene di dover aggiungere Francesco, ogni religione ha i suoi “fondamentalisti”, ivi compresa quella cattolica, per cui non sarebbe eccessivo parlare “di cattolici violenti”.

Con tutto il rispetto per il papa, non ci si può esimere dal dire che qui davvero nelle sue parole la confusione regni sovrana, sia perché l’islam è obiettivamente e incontrovertibilmente una religione ferocemente anticristiana, sia perché il riferimento al fondamentalismo è ben poco pertinente.

La differenza tra la religione islamica e quella cristiana e cattolica è che la prima nasce “fondamentalista” ed è costitutivamente “fondamentalista”, sia perché sin dalle origini la politica è diretta emanazione del Corano e della volontà di chi, di volta in volta, si trova a garantirne l’interpretazione e ad imporne le leggi, sia perché la jihad include dottrinariamente tanto lo sforzo intellettuale per elevarsi verso Dio quanto la “guerra santa” del pugnale e di qualunque altro strumento di morte, anch’essa da intraprendere doverosamente “per la causa di Dio” e quindi per l’espansione in tutto il mondo dell’islam stesso, mentre la seconda, cioè la religione cattolica in quanto dottrina cattolica è assolutamente pacifica, non violenta, anche se include una lotta spirituale molto severa e tagliente, come “la spada” evangelica che la simboleggia, verso la propria inclinazione al male e verso ogni forma di menzogna e di iniquità presenti nel mondo.

I fondamentalisti cattolici, ammesso che siano realmente aggressivi e intolleranti, sono altro dal vangelo di Cristo e si assumono personalmente la responsabilità delle loro scelte, mentre i fondamentalisti islamici, come i combattenti dell’Isis, sono gli interpreti più veri ed ortodossi degli insegnamenti maomettani e coranici. Ed è sorprendente che il pontefice massimo della Chiesa cattolica, dopo secoli e secoli non solo di magistero cattolico ma anche di sempre più attenta e rigorosa ricostruzione storica e storiografica della genesi, dell’avvento e dello sviluppo della cosiddetta civiltà islamica, tenda ancora a disconoscere elementari verità che solo alcuni furbi imam, specialmente europei ed occidentali, si preoccupano di occultare per evidenti motivi di natura tattica e strategica. Chi disconosce il Cristo come Dio può amare veramente la pace?

Per esempio, in Italia un imam perfettamente “integrato” e all’apparenza pacifico ma pur sempre organico all’ideologia islamista, come Yahia Pallavicini, che pronuncia parole molto simili a quelle pronunciate dal papa, dice il falso quando afferma che “l’Isis uccide in nome di un Islam falso, che si avvale della religione per perseguire obiettivi barbari che i veri musulmani hanno in totale spregio”. Tuttavia, è vero che, come dice Francesco, esistono tanti musulmani che desiderano sinceramente la pace, ma questi musulmani, come ha notato giustamente Magdi Cristiano Allam, sono coloro che, ad un certo momento della loro vita, hanno voluto e saputo anteporre la ragione e il cuore a Maometto e al Corano, e, pur professandosi credenti islamici, in realtà essi credono in un Dio molto diverso da quello di tanti islamici “coerenti”.

La Chiesa cattolica, unica depositaria della volontà dell’unico e vero Dio, ha il compito precipuo di testimoniare sempre e comunque la Verità perché solo la Verità non solo è sempre rivoluzionaria ma è anche e soprattutto salvifica. Che lo Spirito Santo illumini papa Francesco e noi tutti affinché insieme riusciamo a ritrovare quella unità di giudizi e di intenti da cui dipende in gran parte la luce della fede per il mondo intero  e per ognuno di noi.

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