Il Regno tra Dio e Cesare

La fede in Cristo non può imporre nulla a nessuno, perché essa si nutre solo di un messaggio di salvezza che può essere o non essere accolto ma che, se accolto, comporta dei doveri, dei vincoli, degli obblighi da cui il fedele in quanto tale non può derogare. Nel momento in cui dico e professo di credere in Gesù, nel suo insegnamento e nella sua Chiesa intesa nel senso strutturale e non contingente del termine, io devo sentirmi spinto non solo ad accettarne intellettivamente ma anche a porne in essere almeno nella mia vita personale la dottrina, i sacramenti e insomma ogni verità di fede scaturiente dalla Parola di Dio-Cristo. In particolare, il vero credente o, se si vuole, il credente non errante, non potrà e non vorrà mai rinunciare alla Santa Messa come al momento più alto e inamovibile della sua vita di preghiera come della vita di preghiera dell’intera comunità cristiana.

Tale momento è per lui intangibile, nel senso che non potranno mai sussistere motivi, situazioni, avvenimenti umani, sociali, storici in senso lato, talmente gravi e devastanti da rendere indispensabile o necessaria l’abolizione o la sospensione anche se provvisoria delle funzioni e delle adunate spirituali e religiose, e quindi della vita ecclesiale a cominciare dalla pratica eucaristica e dal concreto esercizio di ogni altro sacramento. Non c’è pestilenza, guerra, emergenza economica o sanitaria che, alla luce della fede in Cristo, possa legittimare la decisione libera o indotta di astenersi dalla cena eucaristica come ogni provvedimento politico e governativo volto per un qualunque motivo ad impedire materialmente non solo lo svolgimento della vita ecclesiale e sacramentale ma persino un esercizio responsabile e controllato di quanto essa comporti.

Anzi, per il credente quanto più gravi, preoccupanti, angoscianti, appaiono le condizioni di vita di una comunità, di un popolo o dell’intero pianeta, tanto più urgente diventa il bisogno religioso di raccogliersi in preghiera non solo privatamente ma anche apertamente e quindi pubblicamente per manifestare in modo coerente ed inequivocabile che nulla, né dolore né morte, né malattia né carestia né pandemia, può e potrà separarci da Lui, il Cristo, il Signore della vita e della morte, il Salvatore del genere umano: semplicemente perché dove Dio è presente e si consegna a noi, lì è la perfetta sanificazione, lì è la migliore salute possibile, lì è sempre la vita a trionfare sul male e sulla morte, anche se poi ci si ammali nel corpo e ci si spenga a questa vita terrena. Se un governo, non importa se tirannico o democratico, autocratico o costituzionale, sia pure per presunti o reali motivi sanitari o di ordine pubblico, ritiene di dover prescrivere il divieto di qualsivoglia genere di manifestazioni religiose e quindi di fatto del libero esercizio della fede cristiana che è qualcosa che va anche al di là della semplice libertà di culto, i seguaci di Cristo devono sentirsi legittimati, ove non sia possibile percorrere strade pacifiche di dialogo e di reciproca comprensione, ad infrangere norme e divieti, quali che siano, e a professare in tutto e per tutto la propria fede persino in forme di clandestinità, perché, non sarà mai scontato il ribadirlo, a Dio quel che è di Dio, a Cesare quel che è di Cesare.

Non si può pensare di tutelare la salute pubblica estromettendo Dio dal novero delle terapie che vanno adottate appunto per tutelarla, per ripristinarla, per potenziarla. Anzi, il seguace di Cristo sa bene che l’obliterazione del divino nel sociale come nella storia degli uomini non può che favorire in seno all’umanità forme sempre più virulente e mortali di malattia. Questa è la risposta cristiana e cattolica che oggi bisogna dare a quei giornalisti che scrivevano di non capire la reazione dei vescovi italiani alle nuove misure decise dal governo tra cui, a parte la possibilità di ripristinare la normale celebrazione dei funerali, non figurava l’autorizzazione al ripristino delle ordinarie funzioni religiose della Chiesa cattolica a cominciare dalla Santa Messa.

Ma come: i vescovi hanno già sbagliato la prima volta ad accettare i decreti governativi che praticamente hanno paralizzato la vita religiosa dei cattolici italiani già per due lunghissimi mesi e questi intelligentissimi esponenti della grande stampa laica affermavano che “la posizione della CEI suscita più di una perplessità e anche un certo stupore” (Il Sole 24Ore del 27 aprile 2020)? Ma, a ben riflettere, non c’è di che stupirsi: i “tiepidi” hanno sempre la tendenza a sfruttare ogni minima occasione per depotenziare la presenza di Cristo e della sua Chiesa sulla faccia della terra. Purtroppo, a volte costoro trovano alleati nello stesso campo cattolico, o tale almeno nominalmente, perché ad esempio anche un dotto ed eminente accademico cattolico come il torinese don Giovanni Ferretti dava manforte in quei giorni al vastissimo e agguerrito fronte laicista ed ateo, che nel coronavirus ha trovato oggi un insperato alleato nella lotta contro la Chiesa, con queste inappropriate e insensate parole: “La Chiesa non ha uno statuto privilegiato nello stato democratico, che le dia il diritto di sottrarsi alle norme del vivere civile … Il disaccordo dei vescovi è uno sbaglio politico. Siamo in mezzo a una pandemia, bisogna tutelare la vita delle persone” (“La Stampa” del 27 aprile 2020). Si rimane senza parole e con tanta amarezza nel cuore! Perdonaci Signore!

Francesco di Maria

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