La lezione inglese alla demagogia globalista*

Alla mezzanotte del 31 gennaio 2020 la Gran Bretagna ha dato ufficialmente addio all’Unione europea. Dopo un periodo di transizione durato quattro anni – dal referendum popolare britannico consultivo del 2016, con cui la popolazione britannica ha democraticamente detto il suo “no” alla UE – dal 1° gennaio 2021 il Regno Unito è totalmente indipendente da Bruxelles. «Abbiamo ripreso il controllo delle nostre leggi e del nostro destino, questo è un momento straordinario per il nostro Paese, abbiamo la libertà nelle nostre mani e sta a noi sfruttarla al meglio» ha affermato il premier Boris Johnson.

Con il pragmatismo culturale e la lucida visione di real-politik delle relazioni internazionali propria del mondo britannico – lontana anni luce dalla utopica retorica da tavolino del pensiero progressista globalista – ha centrato il nocciolo della questione della Brexit: la riappropriazione della sovranità, del diritto legittimo e naturale di ogni popolo e nazione di decidere il proprio destino politico, istituzionale, senza che altre autorità estranee, prive di legittimità, se non ostili possano imporre la propria volontà ad una comunità civile. Sin dai tempi del Medioevo il principio di sovranità ha trovato una felice sintesi giuridica nel brocardo “auctoritas superiorem non recognoscens”: ovverosia la sovranità è il potere politico decisionale per eccellenza, che non conosce superiori a se stesso. BoJo, il vulcanico leader conservatore britannico ha portato a casa quella vittoria che era sfuggita al suo predecessore, l’ex premier Theresa May: in realtà Johnson ha assestato un duro colpo alle velleità sovranazionali globaliste della UE. Infatti Londra ha portato a casa il premio più importante della Brexit, ossia la possibilità di non sottostare ai regolamenti e alle direttive europee (l’equivalente giuridico UE delle leggi nazionali): Bruxelles potrà eventualmente imporre sanzioni così come il Regno Unito alla UE, ma le dispute legali, i contenziosi giuridici non saranno regolati unilateralmente dalla magistratura UE, la Corte europea di Lussemburgo, e nemmeno da un meccanismo automatico di allineamento agli standard dell’Unione, bensì da arbitrati indipendenti in cui Londra e Bruxelles saranno parti eguali e sovrane Ed è per questo che Johnson ha potuto rivendicare il pieno recupero della sovranità legale. «Alone but strong», amano dir di sé gli inglesi: soli ma forti.

In verità il punto realmente nevralgico della Brexit non consiste in una vittoriosa manifestazione di egoismo nazionalista fuori dal tempo – come vorrebbe far credere la grossolana vulgata massmediatica della disinformazione – ma esattamente nell’opposto: una lucida, consapevole, ponderata denunzia dei guasti e dei fallimenti del progetto geopolitico culturale della UE. Nato come un monstruum perché costruito a tavolino, sulla sabbia delle utopie lugubri dello spirito del mondo contemporaneo, a cui gli ottusi intellettuali e politici progressisti credono ancora ciecamente nonostante siano smentiti dagli eventi delle relazioni internazionali. L’idea paranoica di una umanità indistinta e globalizzata, unita nel segno della eliminazione delle identità e delle diversità storiche, culturali, religiose, giuridiche, avviata verso il sogno illusorio della fine della Storia – come aveva erroneamente preconizzato il politologo liberal USA Fukuyama – nel segno di una democrazia universale laica, illuminista, che ignora il ruolo di Dio, e che proprio per tali ragioni è destinata a crollare su sé stessa. Come rammentava acutamente S.Giovanni Paolo II, proprio nei giorni dell’acceso dibattito politico sulla citazione delle radici cristiano giudaiche nella bozza del preambolo del Trattato giuridico della Costituzione UE nel 2002 “senza slancio ideale ci si trova fragili e indistinti”: tradotto in gergo giuridico istituzionale, non vi sarebbe mai stata, e non vi è una metafisica comune dei costumi senza una fondazione metafisica delle regole, e la Brexit ne è una solare dimostrazione in seno alla UE. Prova provata della consapevolezza del fallimento del modello utopico globalista della UE viene proprio – con brutale franchezza – dai vertici della stessa UE: il presidente francese Emmanuel Macron ha riconosciuto che: «Questa scelta di lasciare l’Europa, questa Brexit è figlia del malessere europeo e di molte bugie e false promesse».

E rincara la dose Michel Barnier, il capo negoziatore dell’Unione europea nella trattativa Brexit: «è una sconfitta il doversi separare, soprattutto nel mondo di oggi, un mondo pericoloso e instabile dove dobbiamo stare insieme, credo, soprattutto per avere peso specifico contro gli Stati Uniti e la Cina» riconoscendo espressamente che Cina e USA sono i simboli tangibili del recupero del primato degli Stati e delle nazioni contro i miti della globalizzazione nella storia del III millennio. In questo affresco disincantato è necessario, per il cristiano impegnato nella battaglia politica della testimonianza della fede, compiere una consapevole attenta opera di analisi critica contro i demoni della dis-informazione e della de-formazione della storia contemporanea: la crisi della globalizzazione e della sua ideologia, il globalismo, è una realtà oramai conclamata e visibile, almeno agli occhi delle stanze del potere, nelle riservate cancellerie internazionali, nei think-tank del pensiero e dell’alta cultura accademica che guardano con approccio realistico a questo periodo storico. Invece, purtroppo,la società civile in Italia è ancora pericolosamente avvolta nella melassa di un milieu culturale quanto mai superficiale, grossolano, spocchioso e impreparato che arruola giornalisti e accademici, politici e intellettuali sotto le parole d’ordine oramai desuete del progressismo e globalismo, dell’internazionalismo umanitario, dell’odio per i concetti di popolo e nazione, di storia locale e identità culturale, che sono invece i presupposti ideali delle società politiche più strutturate e vincenti oggi: gli USA, la Repubblica Popolare Cinese. In questo quadro pericoloso di dis-informazione brilla purtroppo di luce tenebrosa ampia parte della stampa e delle cultura cattolica, avvilluppata passivamente ai falsi miti dello spirito del tempo, inchinata alla destrutturazione del valore fondante della metafisica della storia: il 26.12 sulle pagine di Avvenire, il quotidiano della CEI, è apparso un articolo a commento della Brexit in cui l’autore non ha trovato di meglio che tradurre la pochezza intellettuale del messaggio politico della CEI ricorrendo ad epiteti e luoghi comuni nel descrivere il processo democratico e sovrano della scelta del popolo britannico e il ruolo di rigorosa responsabilità assunto dal premier Johnson nel rispettare la volontà sovrana del popolo che rappresenta.

È lo spirito del tempo, lo Zeitgeist sulfureo che si è impadronito anche della Chiesa, come riconobbe amaramente Papa Paolo VI oltre quarant’anni orsono. Uno spirito che viaggia inconcludente come un treno senza macchinista verso un cupio dissolvi e di cui la disastrosa interpretazione attuale della Dottrina Sociale della Chiesa sarà chiamata a rendere conto.

* Pubblicato in “Corrispondenza Romana” del 13 gennaio 2021

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