Ideologia del sesso. Note critiche *

L’educazione sessuo-affettiva si configura inevitabilmente come ideologia educativa o piuttosto pseudoeducativa e profondamente distorsiva dei naturali meccanismi di crescita del bambino e della bambina, tutte le volte che si pretende di affidarne in modo esclusivo e unilaterale la titolarità, la responsabilità, ai genitori piuttosto che alla Chiesa, alla Chiesa piuttosto che alla famiglia, all’asilo o alla scuola, a specifici insegnamenti piuttosto che a dirette e non controllate o pilotate esperienze di vita quotidiana, a strategie educative innovative o “alternative” piuttosto che a preesistenti, tradizionali e non necessariamente insane strategie pedagogiche1. Sul mercato educativo esistono varie opportunità, diverse modalità di cura e di intervento sui delicati processi di formazione e di sviluppo che caratterizzano in particolare l’infanzia e l’adolescenza, ma quel che un elementare principio di razionalità e di ragionevolezza non potrebbe e non dovrebbe mai legittimare è la pretesa di negare aprioristicamente la possibilità che l’educazione genitoriale e familiare non possa in alcun caso bastare da sola ad assicurare una crescita psicologica ordinata, equilibrata e consapevole dei figli, o che il meglio di un processo educativo non possa derivare dall’influenza spirituale esercitata da un sacerdote, da un maestro, da un docente o da una qualsiasi altra figura che abbia saputo imprimere positivamente nello spirito di determinati giovani un ricordo indelebilmente proficuo ai fini di una vita interiore sufficientemente stabile, motivata e capace di curare sia gli spazi più intimi che le reti relazionali. 

Tutte le volte che si vengono assumendo in modo preconcetto, dogmatico, unidirezionale o riduttivo, non solo per l’educazione sessuo-affettiva ma per l’educazione in generale, idee-guida, princìpi o criteri direttivi, regole comportamentali o norme relazionali, si viene facendo inevitabilmente opera di indebita generalizzazione conoscitiva, etica ed assiologica, e privilegiando paradossalmente, pure nel nome e per conto di una asserita filosofia educativa dell’intero, del tutto, della globalità, un particolare punto di vista su altri possibili e ugualmente legittimi punti di vista, una parziale forma di sapere critico rispetto ad un sapere critico sempre in movimento e mai riducibile ad alcuna delle sue forme storico-fenomenologiche. In altri termini, ogni volta che, nel segno del pluralismo scientifico, didattico e pedagogico, si viene ponendo in modo perentorio e tassativo, nel pubblico dibattito, l’istanza di una necessaria introduzione, nelle istituzioni  scolastiche di ogni ordine e grado, di specifiche discipline sul gender, con relativa sostituzione di un’etica ancora prevalente “del dover essere” con un’idea più semplice e meno opprimente del “sii te stesso”, quasi che l’identità del sé non possa e non debba prevedere anche una ricerca continua di norme e valori che trascendano sensazioni momentanee e provvisorie, aspetti emozionali persistenti ma non definitivi,  impulsi sentimentali intensi ma transitori, ogni volta che orientamenti così netti, così fortemente caratterizzati, vengono prendendo quota nel quadro del libero confronto critico-culturale, il rischio di una concreta ideologizzazione della conoscenza e della scienza a favore di disegni politico-culturali altamente ambigui e inconfessati, tende a diventare piuttosto elevato.

Allora, io direi che sarebbe molto più saggio, più democratico o liberale, come si usa spesso dire nel gergo del “politicamente corretto”, che gli eventuali, inediti insegnamenti sessuologici non venissero imposti d’autorità ma semplicemente proposti, là dove già questa potrebbe costituire una pericolosa concessione sotto il profilo civile e formativo, e non codificati come materie obbligatorie di studio o di semplice ascolto per i discenti bensì come semplici e non vincolanti opzioni disciplinari nei limiti in cui famiglie, giovani, istituzioni sociali e religiose di varia estrazione, vengano democraticamente deliberando in tal senso. L’ideologia si può sconfiggere solo, anche in questo caso, con atteggiamenti e pratiche chiari, trasparenti, onesti, realmente pluralistici, e sempre suscettibili di essere controllati e riscontrati nel tempo e nelle concrete modalità attuative. Senonché, sebbene l’ipotetica adozione politica di una linea pluralistica, relativistica, soggettivistica, su un tema così delicato e centrale della vita individuale e collettiva, possa forse soddisfare un’esigenza culturalistica oggi molto diffusa nella società occidentale e una larga parte di opinione pubblica, appare umanamente e moralmente molto difficile sottovalutare la vitale importanza della questione relativa alla oggettiva veridicità o falsità della teoria gender, secondo la quale l’identità sessuale dell’individuo non dipenderebbe più dall’identità biologica ma sarebbe il risultato di un complesso processo psicologico e neurologico individuale in cui interagirebbero fattori educativi e socio-culturali, fattori acquisiti al di là di ogni condizionamento genetico originario, per cui in sostanza l’identità sessuale verrebbe a coincidere con quella che viene definita come identità di genere, un’identità sessuale determinabile su base psicologico-culturale più che su base biologico-sessuale: ogni individuo trova la sua identità sessuale non nei suoi tratti somatici, nelle sue caratteristiche vocali e gestuali, nelle sue stesse movenze fisiche, ma nel suo vissuto più intimo e profondo; la sua sessualità corrisponde non a dati oggettivi di natura ma al modo in cui sente di essere, al suo sentimento soggettivo di mascolinità o femminilità2.

Almeno da un rigoroso e coerente punto di vista cattolico non si può non contestare la natura manifestamente ideologica di una siffatta teoria, che infatti recentemente, nel quadro del dibattito culturale internazionale, è stata soppiantata dall’espressione ideologia gender. Certo, per teorici e fautori di movimenti e associazioni sessuali per così dire alternativi, come quelli di orientamento omosessuale, transessuale ecc., l’ideologia gender è solo un’invenzione cattolica, dal momento che la sessualità sarebbe in natura molto più varia, differenziata e ricca di potenzialità, di quanto la cultura cattolica non voglia riconoscere, ma in realtà si fa presto a capire che non possono essere che ideologici, e per niente razionali e scientificamente dimostrabili, i seguenti assunti: che tra uomo e donna non sussiste alcuna differenza e che essi sarebbero interscambiabili in ogni funzione, per cui in assoluto non esisterebbe tra l’uno e l’altro alcuna distinzione naturale di ruoli e il ruolo materno non avrebbe alcuna specificità rispetto al ruolo paterno; che il sesso biologico sarebbe molto più fluido di quel che si pensa per pura convenzione sociale e che è pertanto suscettibile di essere cambiato in ogni fase della vita e di essere adattato a scelte di genere che sono in sostanza quelle per cui ognuno possa sempre decidere se appartenere al sesso maschile o a quello femminile oppure al cosiddetto “sesso neutro” che può essere maschile e femminile ad un tempo; che la famiglia naturale, costituita da padre, madre e figli, sarebbe solo uno dei possibili e numerosi modelli esistenti di vita familiare, dovendosi essa ritenere piuttosto un semplice stereotipo culturale derivante dall’ancestrale “dittatura del maschio” che avrebbe dettato per secoli le sue regole di vita e organizzazione familiari, donde ormai si deve parlare non già di famiglia ma di “famiglie”; che, una volta declassata la famiglia naturale a puro stereotipo, ne segue altresì la desessualizzazione della genitorialità, per cui i figli possono essere generati nei modi e con le tecniche medico-scientifiche più fantasiosi, spregiudicati e aggressivi, in realtà anche più innaturali, che consentono poi agli omosessuali di poter avere figli loro; che, infine, sia necessario egemonizzare culturalmente la scuola e i mezzi di comunicazione di massa al fine di portare vittoriosamente a compimento questa presunta battaglia di civilizzazione e di civiltà di fatto coincidente con il tentativo di cambiare la stessa struttura antropologica del genere umano3.

L’essere di sesso maschile o femminile non equivale necessariamente all’essere di genere maschile o femminile: si può essere sessualmente maschi ma, strada facendo, l’identità sessuale dell’individuo può rivelarsi di genere femminile, e allo stesso modo anche una femmina per sesso può scoprirsi uomo per genere. D’altra parte, come scrive il dottor Martino, tutto è in continua evoluzione e tutto può continuamente cambiare: può cambiare il dato biologico primario, la cellula, e può cambiare il dato psico-neurologico e culturale, ovvero la percezione soggettiva della propria identità sessuale, la quale pertanto dipenderà dal modo in cui ogni individuo sente di essere, dal suo sentirsi donna oppure uomo. In tal senso, nessuno mai potrà essere sicuro di essere veramente uomo o veramente donna: si potrà sempre scoprire di essere omosessuali pur dopo aver a lungo esercitato un’attività eterosessuale oppure eterosessuali pur avvertendo forti pulsioni omosessuali, ma poi, siccome in natura esiste una varietà molto ampia di inclinazioni sessuali sempre in divenire, la sessualità potrà venire declinandosi in una pluralità, indefinita ma perfettamente conforme a natura, di identità e comportamenti sessuali: di tipo bisessuale, multisessuale, intersessuale, transessuale. 

Ne esce fortemente sovvertito tanto il concetto di sessualità quanto quello di natura, ma solo in virtù di un argomentare alquanto artificioso, capzioso, lambiccato, logicamente carente o difettoso oltre che moralmente nullo, perché è vero che il sesso non sempre implica il genere e l’identità sessuale di genere può venire talvolta divaricandosi rispetto all’identità biosessuale originaria, ma quel che, in relazione a certi  possibili o ipotetici passaggi evolutivi della sessualità, si omette arbitrariamente di rilevare o precisare è che, almeno per quanto riguarda gli esseri umani, tali passaggi o processi evolutivi non avvengono mai in modo meccanico, automatico, inerziale, ma pur sempre attraverso la mediazione, passiva o attiva che possa essere, di una fondamentale componente di ogni identità personale, ovvero la coscienza, la libertà del giudizio e del volere, il senso etico di responsabilità. Ogni essere umano è sempre necessitato in qualche modo sul piano fisico-biologico ma questo non significa che debba essere schiavo della sua costituzione genetica, quale che essa sia, se non per il fatto di volersi passivamente, e tuttavia anche in tal caso attraverso un libero esercizio di volontà, adeguare, adattarsi, assuefare ad essa. Se il tuo sesso biologico è maschile e ti rendi conto che, sia pure a causa di pesanti condizionamenti familiari, ambientali, educativi, ecc., il tuo corpo e la tua psiche sono frequentemente attraversati da pulsioni di natura diversa, due sono le possibilità: o reagisci per riappropriarti sufficientemente della tua identità di base o di nascita oppure ti disponi ad accettare la spinta più o meno consistente a vivere in modo difforme dalla tua natura biologica.

In altri termini, quel che manca completamente nelle indagini degli ideologi del gender è la componente morale, etica, volitiva, della soggettività umana, la quale abbandonata a se stessa, e persino ai suoi impulsi e alle sue voglie più istintivi e irrazionali, non può che assumere giudizi arbitrari o unilaterali e compiere scelte sbagliate e controproducenti. In senso cristiano, anche la volontà soggettiva della persona, persino nelle più difficili condizioni di vita, può e deve essere educata, certo con tatto e intelligenza, al rispetto di valori evangelici impegnativi ma salvifici4. Invece, tutte le volte che si confonde la natura, la naturalità o la naturalezza dei bisogni umani con la loro mera soggettivizzazione, con un uso esclusivamente o nudamente  soggettivo, e dunque scarsamente ricettivo dei significati oggettivi della vita e del mondo, la stessa facoltà soggettiva di discernimento e di scelta della persona ne esce enormemente impoverita e depotenziata, al punto che giudizi e atti di quest’ultima risultino necessariamente inattendibili o privi di qualunque dignità teorica e pratica.

Peraltro, si trascura spesso di considerare che non tutte le forme di vita esistenti in natura sono naturali, normali, ugualmente integre e funzionali, perché la natura produce sia fenomeni e forme di vita normali e regolari, sia fenomeni e forme di vita anomali, abnormi o aberranti. Tuttavia, non è che le forme abnormi, anomale o irregolari di vita umana, quando siano dovute fondamentalmente a fattori genetici, possano venire discriminate e criminalizzate sul piano morale, sociale e culturale. Ci mancherebbe altro! Bisognerà anzi potenziare il sistema politico-educativo di educazione al rispetto e all’accoglienza, anche in termini giuridici, di forme oggettive e conclamate di diversità, senza che tuttavia tale doverosa apertura debba comportare un implicito riconoscimento della presunta naturalità e normalità di vissuti sessuali difformi dagli oggettivi dati biologico-sessuali di riferimento e coincidere con un’apertura aprioristica e indiscriminata a qualsivoglia genere di diversità ovvero anche a condizioni di diversità sessuale deliberatamente e arbitrariamente ricercate e poste in essere rispetto alla propria originaria sessualità biologica.

In senso evangelico, viene preclusa qualunque possibilità di libera autodeterminazione rispetto alla natura assegnata per nascita, qualunque possibilità di libera scelta sessuale nel contesto delle proprie relazioni interpersonali sotto il profilo specificamente affettivo. Ciò implica un dovere di rispettare e tutelare integralmente le diversità involontarie e oggettivamente irreversibili, ma anche l’obbligo morale e religioso di far fronte alla proliferazione contemporanea di modelli e stili di vita per così dire eterodossi che, pur cercando legittimità scientifica e morale nel segno della categoria ideologica della diversità, altro non siano in realtà che manifestazioni patologiche camuffate di ancestrali meccanismi perversi dello spirito umano. Si danno certo, sotto il profilo psichico-sessuale, situazioni personali complesse e dolorose ma tale doverosa constatazione non potrà mai inficiare l’assunto intorno a cui gravita l’importante documento voluto ed emanato dalla “Congregazione per l’educazione cattolica”, in cui viene ribadita la “radice metafisica” della differenza sessuale5, cioè che la realtà ontologica della persona umana viene estrinsecandosi unicamente nelle due specifiche e non interscambiabili modalità dell’essere uomo e dell’essere donna. Questo è il discrimine tra l’antropologia cristiana e qualsiasi altro approccio antropologico al problema, anzi questa è, dal punto di vista cattolico, l’insuperabile linea di demarcazione tra scienza e ideologia della sessualità umana6.

Beninteso, non si vogliono forzare i termini e i toni della controversia per affermare a tutti i costi che il gender sia espressione di mera ideologia senza aver nulla di teoricamente plausibile e di scientificamente valido. Ove si parli di gender in quanto insieme di studi volti a stabilire se le nozioni di genere maschile e genere femminile possano considerarsi corrispondenti a realtà naturali oppure siano solo il riflesso di  costruzioni meramente convenzionali e socioculturali, non si può fare altro che accreditarlo, sia pure in termini congetturali, come campo di esperienze, osservazioni, riflessioni e ipotesi sulla cui base venga pur svolgendosi un’attività in qualche misura scientifica, ma le difficoltà nascono dalla duplice pretesa dogmatica di identificare sic et simpliciter la negazione dell’esistenza di una ben definita identità di genere con un dato oggettivo o una verità scientifica, e di qualificare come antiscientifica e ideologica la posizione di chi non accetti questa perentoria asserzione. In realtà, nel caso della teoria gender, essa contiene una serie di implicazioni psicologiche, relazionali, etiche, sociali, che non tutti gli esseri umani, non tutti gli esseri pensanti e senzienti, sono disposti a ritenere funzionali ad una ordinata e proficua convivenza civile, per cui, già solo per la mancanza di un’unanimità almeno relativamente ampia di consensi, di una significativa base intersoggettiva di giudizio condiviso, qualche dubbio dovrebbe almeno sfiorare la mente dei suoi sostenitori, ed è appunto per la sua unilateralità di ricerca, per l’approssimatività e la frettolosità delle sue conclusioni, che tale teoria viene esercitando una evidente funzione ideologica7. Questo, peraltro, come anche il ritenere inutile e fuorviante la distinzione tra sesso biologico e genere, non significa che si voglia o si debba abbassare la guardia nei confronti di tutta una serie di discriminazioni, diseguaglianze, violenze, legate alle differenze sessuali non necessariamente identificabili come differenze di genere, che oggi imperversano nella scuola, nel mondo del lavoro e nella vita quotidiana, e che certo devono essere affrontate e risolte con intelligenza e sensibilità.

Bisognerebbe sfatare altresì un modo di pensare ormai diventato luogo comune o assunto dogmatico: quello di credere che tutto ciò che appartiene alla tradizione sia per ciò stesso da considerare come tabù, come qualcosa che non può essere più pronunciato e che deve essere bandito dal novero delle cose intelligenti e ancora proponibili nell’epoca contemporanea. E’ vero che gli ideologi del gender replicano ai loro critici cattolici che, se la loro teoria è ideologica, non meno ideologica sia la rappresentazione che essi danno della sessualità e può darsi che non abbiano completamente torto. Resterà tuttavia pur sempre da verificare se l’ideologia gender sia più o meno funzionale dell’ideologia religiosa cattolica ad un’idea universale di umanità integrale. E a chi si diverte ad irridere talune argomentazioni cattoliche finalizzate a dimostrare il significato e le implicazioni ideologiche della teoria gender, sostenendo la natura innocua e inoffensiva degli studi gender senza tuttavia mostrarsi capace di neutralizzarne adeguatamente la vis critico-confutativa, va fatto semplicemente notare che parlare di gender come qualcosa di distinto e diverso dal sesso introduce nel dibattito culturale innumerevoli criticità di natura esistenziale conferendo al singolo individuo piena facoltà di decidere quale debba essere la sua identità sessuale, il che significa, in sede strettamente logica, porre a repentaglio, lo si voglia o no, i fondamenti antropologici della specie umana, per il semplice fatto che la sessualità originaria e manifesta di ogni individuo ha la funzione antropica oggettiva di prefigurare lo specifico orizzonte esistenziale in cui esso è già biologicamente sollecitato a dare un senso razionale alla sua vita, là dove ridurre la sessualità a semplice genere culturale non può che contrastare i semi sessuocaratteriologici e i segnali ontogenetici costitutivi di ogni vita in fieri8.

Il problema non è quindi quello evidenziato dalla studiosa cui si è qui alluso e che viene citata nella relativa nota, quello cioè per cui il gender non decreterebbe affatto l’inesistenza di qualunque differenza tra maschio e femmina, ma quello ben più grave di consentire, sia pure virtualmente, a chiunque, proprio in base ad una facoltà soggettiva di manipolare la propria identità personale con motivazioni di assai dubbio valore esistenziale, di comportarsi da uomo o da donna in conformità alla bizzarrìa di semplici voglie umorali. E’ pertanto falso affermare che «“Ideologia del gender” (cioè del genere sessuale) non vuol dire nulla. È come dire ideologia del sapone o del cielo. Tra l’altro è ancora più insensato se si pensa che è attribuita a chi vuole alleggerire la pressione del dover essere – perciò in caso dovrebbe essere “anarchia del gender”, o “relativismo del gender” visto che per alcuni è un insulto essere relativista»9. Va bene: in qualunque accezione lo si voglia intendere, il gender non potrà non produrre effetti oggettivamente indesiderati, né potrà evitare di indurre il mondo sociale ad avere in qualche modo paura di perdere «il controllo sulla morale, sul comportamento, sull’educazione»10.

Ma, poiché bisognerà fare sempre i conti con una folta schiera di sostenitori degli studi specialistici di genere, che contestano ai loro oppositori l’inconsistenza scientifica delle loro tesi antigender, a loro parere prive di evidenze empiriche, basate su ideologie e semplici opinioni valoriali, nonché funzionali a violenze, discriminazioni e odio di genere e quindi anche illiberali e intolleranti, bisognerà continuare a resistere con pazienza anche a questa ennesima ondata di deliberata e calcolata irrazionalità contro la civiltà umana. Nel frattempo, i cattolici potranno avvalersi anche dell’aiuto, insperato ma significativo, di un certo numero di intellettuali laici persino impegnati sul fronte progressista. Tra questi particolarmente importante è la presa di posizione del filosofo spagnolo, non certo sospettabile di simpatie cattoliche, Fernand Savater, contro lo spirito totalitario del pensiero gender11, sposato in pieno dalla sinistra di Zapatero e Pedro Sanchez, contro l’assurda pretesa di far passare subdolamente nella scuola e nella coscienza collettiva come preziosa conquista civile il principio dell’autodeterminazione di genere, secondo cui già i bambini e le bambine dovrebbero essere educati a scegliere tra una sessualità maschile e una sessualità femminile!

Ma anche, tra i filosofi più giovani, non manca chi non teme di esporsi alle sciocche critiche di qualche femminista incallita: è il caso di Diego Fusaro che, in un suo libro, ha dedicato una critica serrata all’ideologia gender12 e non ha esitato a sottolineare come essa, lungi dall’essere un innocente e innocuo insieme di studi scientifici, miri in realtà a distruggere la famiglia naturale e a violare le regole stesse della natura13.

Più di recente, l’intellettuale francese Eric Marty, nel suo libro Le sexe des Modernes. Pensée du Neutre et théorie du genre14, ha definito il gender come «l’ultima vera grande ideologia dell’Occidente dopo il comunismo», nel senso che esso avrebbe «preso il posto del marxismo nell’immaginario collettivo, come orizzonte non più di emancipazione collettiva, ma individuale». Oggi, secondo Marty, l’emancipazione occidentale trova nella teoria di genere sessuale il suo più alto vessillo simbolico essendo tale teoria capace di coinvolgere emotivamente non le ormai antiquate classi sociali sfruttate ottocentesche ma ogni individuo di qualunque classe sociale15.

Insomma, i cattolici illuminati dallo Spirito Santo, in questo caso, non sono soli nella loro doverosa testimonianza di fede, e già questa è una buona notizia. D’altra parte, essi non temono di poter rimanere permanentemente vittime di quella cancel culture che, pure sperimentata in tante occasioni, su molte altre questioni di vitale importanza storico-civile sta tentando di porre ossessivamente in atto progetti politico-culturali per niente innocui, nel nome di un sempre più sciatto e decadente pensiero unico di cui l’ideologia gender è parte integrante: non lo temono perché, per vocazione, indipendente-mente dal fatto che a pretendere di dettare i grandi temi della discussione pubblica siano gruppi di opinione minuscoli anche se influenti  o grandi e potenti, sanno di appartenere più ai valori autarchici e compiuti dell’eterno che alla contingenza spesso effimera e insignificante della storia. E, poiché lo Spirito soffie dove vuole, ecco che a dare una mano agli operai sempre troppo esigui che lavorano pur sempre indegnamente nella vigna del Signore, può giungere anche qualcuno che in essa non lavori o non lavori ancora e che, tuttavia, inaspettatamente pronunci parole amare ma del tutto veritiere nel constatare che l’umanità contemporanea vive tra le rovine della civiltà ebraico-cristiana senza più comprenderne il senso allo stesso modo di come nessuno conosce ormai il significato espresso dalla cattedrale di Chartres che ancora oggi esiste16.

Da quando, nel 1990, uscì “Gender Trouble” di Judith Butler17, cioè di colei che, per prima, mise radicalmente in discussione, da un punto di vista femminista, l’assunto tradizionale della natura biologica della corporeità e della sessualità considerando entrambe semplici costruzioni mentali e culturali, e quindi sostituendo l’identità sessuale con l’identità di genere, la letteratura critica e soprattutto la produzione editoriale che ne sarebbe derivata sono diventate ormai torrentizie e sempre più aggressive, soprattutto in considerazione dei proseliti sempre più numerosi, sebbene ancora relativamente esigui, che la filosofia di genere può vantare di avere oggi al suo seguito. Può darsi sia vero che, com’è stato scritto, ci sia «un fantasma che fluttua intorno all’istituzionalizzazione globale dell’identità di genere» e che «il suo nome» sia «transumanesimo»18. Dunque, bisognerà attrezzarsi in modo  adeguato anche su questo ulteriore e sofisticato fronte di scontro, pur non essendo certo di potermene ancora occupare personalmente. 

Francesco di Maria

NOTE

1 Sulla complessità di metodi e pratiche scolastico-educativi nell’ambito della sessualità infantile e adolescenziale, esiste già un’amplissima anche se non sempre attendibile bibliografia: tra i libri più attendibili e meno dannosi, si possono vedere M. Panzeri-L. Fontanesi, Educazione affettiva e sessuale di bambini e adolescenti, Bologna, Il Mulino, 2021; A. Pellai, Tutto troppo presto. L’educazione sessuale dei nostri figli nell’era di Internet,  Novara, De Agostini, 2021; G. Castelli-V. Mariani, L’educazione sessuale delle persone disabili, Milano, Ares, 2005.

2 Tra i teologi cattolici più aggiornati e qualificati nell’ambito degli studi sul gender, va ricordato indubbiamente il frate domenicano G. M. Carbone, Gender. L’anello mancante?, Bologna, Edizioni Studio Domenicano, 2015, in cui da una parte si evidenzia come il gender sia probabilmente, tra le ideologie contemporanee, la meno scientifica e la più dannosa, e, dall’altra, come sia proprio l’amore evangelico per il prossimo bisognoso e sofferente, qualunque prossimo, ivi compresi dunque omosessuali, bisessuali e transessuali, a motivare e legittimare la scelta di non accettare supinamente teorie sbagliate, ingannevoli e nocive, soprattutto quando, come nel caso delle teorie gender, contengono implicazioni nefaste e distruttive per la famiglia naturale e per una libera e responsabile educazione infantile e adolescenziale. Ma si deve vedere soprattutto, per l’elevato valore critico-scientifico e confutatorio, D. Soh, The End of Gender. Debunking the Myths about Sex and Identity in Our Society, Toronto, Threshold Editions, 2020, dove la “fluidità di genere” viene declassata a semplice moda e l’educazione “gender neutral” considerata come una epocale sciocchezza.

3 Esempi di ideologia gender a tutti gli effetti sono un libro di N. Vassallo, Il matrimonio omosessuale è contro natura. Falso!, Roma-Bari, Laterza, 2015 e un libro del neurologo G. Martino, In crisi d’identità. Contro natura o contro la natura?, Milano, Mondadori, 2014.

4 Da questo punto di vista, anche i più generosi e apprezzabili tentativi di cogliere le radici e le dimensioni etiche della problematica gender appaiono talvolta lacunosi e non esaustivi: si veda, per esempio, E. De Clercq, Etica del gender, Brescia, Morcelliana, 2018.

5 Tale documento è uscito col titolo Maschio e femmina li creò. Per una via di dialogo sulla questione del gender nell’educazione, Città del Vaticano, 2019, pp. 17-29.

6 Il dissidio tra approccio cattolico e approccio scientistico-ideologico alla questione del gender veniva esaurientemente sintetizzato in uno studio di Maurizio P. Faggioni O.F.M, L’ideologia del gender. Sfida all’antropologia e all’etica cristiana, in “Antonianum”, XC, 2015, pp. 385-401. Questo scritto si concludeva con un’amara constatazione: «La ideologia del genere non è limitata al movimento femminista o ai fautori della queer theory, ma si va diffondendo con il sostegno di potenti organismi internazionali inclusa l’ONU a partire, almeno, dalla Conferenza di Pechino sulla donna del 1995, attraverso interventi mirati sui programmi scolastici di tutti i gradi, attraverso modifiche del diritto di famiglia e legislazioni antiomofobia emanate con il pretesto dei diritti umani e della tolleranza civile, attraverso i mezzi di comunicazione sociale – soprattutto cinema, televisione, blog a tema – che “normalizzano” comportamenti e stili di vita sessuali e familiari “alternativi”. Sono messe in discussione realtà umane essenziali e irrinunciabili: l’uomo e la donna nella loro specificità e reciprocità, la corporeità maschile e femminile come espressione dell’esistere personale, il senso umano del procreare nel contesto della relazione fra uomo e donna, l’amore coniugale come vissuto umano totalizzante, la famiglia naturale come insostituibile comunità di vita e d’amore. Su questi terreni controversi si giocheranno alcune delle più grandi sfide per l’annuncio del Vangelo nel XXI secolo», p. 401.

7 Si può vedere, tra altri convincenti contributi, anche quello di M. Grimaldi, Gender e ideologia, in sito “Le parole e le cose”, 21 settembre 2015. Persino l’American Psychological Association, per quanto abbastanza concessiva nei confronti dei movimenti sessuali alternativi, ha dovuto ammettere che «non c’è consenso fra gli scienziati sui motivi esatti per cui un individuo sviluppa un orientamento eterosessuale, bisessuale, gay o lesbico»: la citazione è data nel primo capitolo, dedicato alla categoria dei gay, del libro molto onesto e anticonformista, anche in rapporto al “politicamente corretto” e alle diverse mode sessuali oggi in voga, di D. Murray, La pazzia delle folle. Gender, razza e identità, Vicenza, Nei Pozza, 2020. Murray è un pensatore omosessuale agnostico e molto lucido che ha avuto l’abilità e il coraggio di smontare criticamente, pezzo per pezzo, tutti gli assunti della mitologica e mistificante ideologia gender e transgender, senza rinunciare a lasciare un’avvertenza conclusiva: poiché viviamo nella stessa società, dobbiamo dialogare, le tante differenze devono dialogare, altrimenti resta solo la strada della violenza. L’ultima pagina del suo libro recita testualmente: “Minimizzare le differenze non è lo stesso che fingere che la differenza non esista. Sarebbe ridicolo partire dal presupposto che genere, sessualità e colore della pelle non significhino nulla. Però supporre che vogliano dire tutto sarebbe fatale” (p. 374).

8 Si allude in modo volutamente polemico a Chiara Lalli, Tutti pazzi per il gender, Roma, Fandango, 2016.

9 Ivi.

10Ivi.

11 F. Savater, Solo integral, Barcelona, Ariel, 2012.

12 D. Fusaro, Pensare altrimenti, Torino, Einaudi, 2017.

13 Come le teorie gender siano in realtà prodromiche a concezioni pansessualistiche o di polimorfismo sessuale e come esse siano finalizzate ad un’abolizione dei confini tra naturale e contro naturale e, in definitiva, ad una liberalizzazione oltranzistica delle opzioni e dei costumi sessuali, è ciò che viene sostenuto, con argomentazioni plausibili e convincenti, da L. Palazzani, Gender: presupposti filosofici e implicazioni giuridiche, in “Cuadernos Kóre. Revista de historia y pensamiento de género” (Primavera /Verano 2011) Vol. 1/Nº4, pp. 30-58.

14 E. Marty, Le sexe des Modernes. Pensée du Neutre et théorie du genre, Paris, Seuil, 2021.

15Ma persino una nota filosofa italiana di area progressista, come Adriana Cavarero, che tanti studi ha dedicato alle tematiche femministe, non ha voluto esimersi dall’evidenziare, in un’intervista pubblicata nel quotidiano veronese “L’Arena” l’8 agosto 2022 col titolo Gender, l’affondo della filosofa scuote la politica veronese, la propria distanza dalla teoria gender.

16 D. Murray, La pazzia delle folle. Gender, Razza e Identità, cit.

17Questione di genere. Il femminismo e la sovversione dell’identità, Roma-Bari, Laterza, 2017.

18 G. Meotti, Judith Butler, la papessa Zan, in “Il Foglio” del 10 luglio 2021.

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