Finanza mondiale e “populismi”

E’ quello che già si sapeva da tempo. Adesso il sociologo Pino Arlacchi dà la sua autorevole conferma con il suo nuovo libro “I padroni della finanza mondiale – Lo strapotere che ci minaccia e i contromovimenti che lo combattono (ed. Chiarelettere, 2018), ma che le economie nazionali di molti Paesi europei e non europei siano letteralmente dominate dall’alta finanza internazionale era risaputo da diversi anni non tanto grazie agli studi specialisti degli esperti che generalmente vengono pubblicati solo “sul far del tramonto”, ovvero quando ormai talune evidenze storiche non si possono più nascondere neppure ai ciechi, quanto ad analisi, intuizioni, denunce e previsioni che corrono anarchicamente ma non sempre distruttivamente sulla “rete”.

Wall Street è il centro direttivo di poteri finanziari ramificati in Europa, leggi Commissione Europea e BCE ma anche nella City londinese e in tutte le banche di investimento disseminate nel mondo e a questa situazione si è giunti gradualmente attraverso un processo estesosi tra gli anni ’70 e la fine degli anni ’90 nel corso del quale, come tutti sanno, la finanza non sarebbe più stata al servizio dell’economia ma, al contrario questa sarebbe stata asservita in modo sempre più stringente ai giochi spericolati di una finanza aggressiva che avrebbe preteso con successo l’attuazione di iniziative statuali volte a deregolamentare, liberalizzare e privatizzare. Stando cosí le cose si sarebbe forse potuto sperare ragionevolmente in un miglioramento della vita economica della maggior parte degli stati europei ed extraeuropei?

Era intuibile che per i popoli sarebbe iniziato un periodo di lungo e costante decadimento sul piano economico come su quello sociale e culturale. Sì, perché quei poteri finanziari non erano lì per caso ma erano lì come espressione di una vecchia ma mai storicamente sopita e rinunciataria ideologia mondialista, fondata sull’idea di una unificazione mondiale dei popoli da attuare sotto l’egida di un pensiero unico, di una legislazione unica per tutti gli ambiti della vita o della convivenza civile (da quello economico a quello scolastico ed educativo, da quello giuridico a quello igienico e sanitario, da quello edilizio a quello industriale, da quello sessuale a quello nutrizionale, e infine a quello religioso sempre più suscettibile quest’ultimo di essere sostituito con una mentalità laica di tipo tendenzialmente ateistico o, come può esprimersi un cristiano, decisamente pagano).

L’uniformità, il conformismo di massa, l’espropriazione esercitata da questi superpoteri, quasi anonimi ma terribilmente efficienti, ai danni delle identità nazionali, delle autonomie governative degli Stati, delle risorse naturali e della ricchezza dei popoli nonché dei loro diritti decisionali, è quello che per anni non tanto gli studiosi, gli specialisti, i professionisti delle scienze economiche quanto spiriti liberi e non manipolati non hanno tardato a denunciare sia pure con modalità e linguaggi diversi anche se mai sofisticati e sibillini.

Poi, per carità, Arlacchi ci spiega bene attraverso quali decisioni o provvedimenti adottati direttamente o indirettamente dalla politica estera americana verso l’Europa si sia venuta concretizzando la superiorità della finanza USA su tutte le regioni del globo terrestre, ad eccezione naturalmente di altre potenze mondiali come Cina e Russia, ma, per quanto riguarda le dinamiche che avrebbero portato all’odierno stato di cose, esse potevano ben essere comprese per tempo e soprattutto evitate con atteggiamenti politici più qualificati ed ispirati, meno avventati e meno servirli, per cui in tal senso certi studi sensazionalistici che ci vengono oggi propinati per motivi prevalentemente editoriali e commerciali sono non solo tardivi ma assimilabili ad un vero e proprio pianto greco di cui non si avverte affatto la necessità.

 

 

populismi nell’interregno della crisi globale

 

D’altra parte, adesso che i popoli fortunamente hanno alzato la testa con i loro pur disordinati ed improvvisati movimenti populistici, i potentati finanziari sono costretti a cambiare strategia: finora si è sbagliato, si è tirata troppo la corda pensando di favorire lo sviluppo che non c’è stato o c’è stato in forme distorte e inefficaci, bisogna quindi correggere la rotta, in particolare la UE deve essere più flessibile e farsi carico in modo più consapevole e responsabile delle primarie necessità dei popoli. Questo è, in apparenza, il mea culpa, Junker in testa, che si viene recitando oggi al cospetto dei disastri provocati dall’insaziabile ma mai riconosciuta avidità dei mercati e dei mercanti di cui il mondo è pieno e che per l’appunto sono i soggetti materiali di quegli astratti poteri finanziari internazionali costretti ora a concedersi una pausa.

Una pausa, perché in effetti non c’è alcun vero pentimento, alcuna intenzione di cambiare registro, di modificare la strategia per assumere posizioni più umane, più responsabili e costruttive. Nulla di tutto questo: è solo la guerra dei forti contro i deboli, dei ricchi contro i meno fortunati o i poveri, che, costretta oggi dalle contingenze troppo sfavorevoli a cambiar tattica, è suscettibile, come storicamente è sempre avvenuto e sempre avverrà, di riprendere più violenta di prima non appena gli eventi lo consentiranno.

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