Chiesa, islam e futuro dell’Europa

gli-ultimi-giorni-dell-europa-186x300“Muslims around the world convert to Christ!” o, più semplicemente, “Muslims convert to Christ“: con questa esortazione evangelica, scritta alla fine dell’articolo, voglio rendere subito chiaro il mio pensiero di indegno ma fedele seguace di Cristo. Studi internazionali molto attendibili prevedono che in Europa molto presto, e si allude a non più di due o tre decenni, risiederanno più di 70 milioni di musulmani, ci saranno più chiese che moschee e il cristianesimo sarà ormai minoritario rispetto all’islam. Oggi non abbiamo a che fare solo con romanzi e interventi giornalistici come quelli di Elena Chudinova o della nostra Oriana Fallaci che profetizzavano una graduale ma inesorabile conquista islamica del continente europeo: abbiamo a che fare con analisi e previsioni dotate di un grado molto elevato di attendibilità scientifica che muovono da dati storico-empirici inoppugnabili: a Parigi e in altre grandi città francesi esistono sempre più estesi quartieri musulmani dove la gente comune e in particolare le donne non mettono piede per paura di poter essere vittime dell’intolleranza e della violenza che sempre più spesso coloro che vi risiedono manifestano verso i non musulmani; in un paese europeo tradizionalmente cattolico come il Belgio, solo per dirne una, non si celebrano più il Natale e la Pasqua, e anzi in esso come in Gran Bretagna e Paesi Bassi la Shari’a è stata ormai incorporata nei rispettivi codici civili, per non fare poi riferimento ai paesi scandinavi le cui politiche oltremodo favorevoli all’immigrazione hanno determinato una vera e propria islamizzazione dei loro territori; in Germania, la comunità musulmana ha acquisito ormai un peso politico talmente forte da non poter essere ostacolata dal governo nelle proprie richieste oltre un certo limite; in Italia, infine, si assiste recentemente ad un vertiginoso incremento di immigrati di fede islamica.

Se poi si tien conto dell’alta fecondità delle donne islamiche e quindi della frenetica crescita demografica tra gli islamici, le previsioni potrebbero risultare errate o imprecise persino per difetto. E’ pur vero che, male che vada, tra circa mezzo secolo non più del 12-15 % della popolazione europea sarà musulmana, ma quello che non può non preoccupare già ora è la tendenza dei musulmani europei ad imporre con violenza, pur come minoranza, la loro fede, le loro regole in diversi centri urbani images (21)europei: con i loro tribunali islamici che si sostituiscono ai tribunali legali e con pressioni politiche cui non di rado alcuni governi nazionali devono sottostare. Se ottengono questo oggi che sono appena il 5%, cosa faranno quando la percentuale sarà salita al 10 o al 20%? Gli stessi imponenti investimenti finanziari che alcuni potenti e ricchi paesi delle regioni mediorientali fanno sempre più frequentemente nei paesi occidentali ed europei non possono non creare, sia pure indirettamente, in Europa brecce sempre più significative di potere islamico sugli Stati e sulle società europei.

Si può dunque fare qualcosa per arginare l’islamizzazione del nostro continente? Certo che sí: almeno per l’immediato, basterebbe che i governi degli Stati europei pretendessero, con disposizioni legislative e misure di prevenzione adeguate, il rispetto dei princípi fondativi e costitutivi del diritto occidentale, secondo i quali ovviamente la shari’a è totalmente illegale. Prepotenze e pretese musulmane, oggi fatte avanzare semplicemente per presunto calcolo politico, solo per questo potrebbero essere neutralizzate e messe a tacere. Ma poi si potrebbero espellere gli immigrati irregolari con accompagnamento forzato nel loro paese d’origine, si potrebbe togliere qualunque sussidio alle famiglie numerose extracomunitarie che si troverebbero misteriosamente in difficoltà nonostante mettano al mondo tanti figli, si potrebbe e si dovrebbe senz’altro respingere per un elementare senso di dignità le loro pretese come quella di togliere simboli religiosi cristiani da tutti i luoghi pubblici.

Ma, al di là delle previsioni scientifiche, sul duro terreno della storia vissuta resta soprattutto il problema di come arrestare o meglio stroncare il fenomeno Isis che, sebbene costretto dai suoi tanti e legittimi avversari a ripiegare su posizioni difensive, non rinunciano ai loro minacciosi proclami contro l’Occidente e in particolare contro l’Europa e potrebbero effettivamente minarne la sicurezza qualora ci si attardasse ancora a varare strategie militari puramente ipotetiche e mai prossime a concretizzarsi in atti di forza volti ad annientare fisicamente il pericolo. Da questo punto di vista, la Chiesa cattolica può dare un contributo decisivo, decisivo e beninteso in linea con princípi evangelici non interpretati ipocritamente, se non con tutta la sua tradizione ecclesiale che risente ovviamente di specifici e variabili condizionamenti storici.

In realtà, essa dovrebbe ormai far cadere opportunamente dalla sua agenda programmatica quel logoro e dannoso richiamo al cosiddetto dialogo interreligioso che può procurare immeritata visibilità ad un fronte islamico dottrinariamente e politicamente determinato a conquistare un mondo di infedeli e, in primis, il mondo occidentale cristiano e cattolico.

Se papa Francesco, pur condannando recentemente la persecuzione anticristiana in alcune importanti regioni islamiche del Medioriente, continua ad invocare quel dialogo come mezzo di possibile pacificazione tra mondi religiosi non solo diversi ma profondamente antitetici, alcuni suoi importanti emissari, nell’assoluto rispetto dello spirito evangelico, vengono proponendo diagnosi e soluzioni di certo più realistiche ed efficaci. Infatti, il 29 settembre del 2014, all’Assemblea generale dell’ONU a New York, il cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, ha detto chiaramente che «è lecito e urgente arrestare l’aggressione dello Stato islamico attraverso l’azione multilaterale e un uso proporzionato della forza», precisando che «come soggetto rappresentante una comunità religiosa mondiale che abbraccia diverse nazioni, culture ed etnicità, la Santa Sede spera seriamente che la comunità internazionale si assuma la responsabilità riflettendo sui mezzi migliori per fermare ogni aggressione ed evitare il perpetrarsi di ingiustizie nuove e ancor più gravi». Verso metà febbraio 2015, lo stesso Parolin, con il precipitare degli eventi, sollecitava l’ONU a farsi carico della sempre più drammatica situazione e a prendere in seria considerazione l’idea di intervenire militarmente, pur ribadendo che un intervento militare dovesse essere pur sempre valutato come “extrema ratio”.images (22)

Oggi, proprio in questi giorni, l’osservatore vaticano mons. Silvano Tomasi presso le Nazioni Unite a Ginevra, afferma senza giri di parole: «Siamo di fronte a un vero e proprio “genocidio”, perché quello che si sta verificando in Medio Oriente è la distruzione sistematica di un gruppo di persone identificate per la loro credenza religiosa o perché sono in disaccordo con le autorità che comandano il territorio. Davanti a queste tragedie scatta allora “l’obbligo morale”, cioè il dovere – come previsto nei regolamenti e nella giurisprudenza internazionale – di proteggere questa gente. Decidere le modalità per la protezione di queste persone, i cui diritti fondamentali sono violati, tocca alla comunità internazionale». Tocca alla comunità internazionale adottare le modalità per proteggere tutti quei civili innocenti, ma mons. Tomasi lascia chiaramente intendere che ormai sarebbe assolutamente necessario metter su «una coalizione di vasto respiro e che abbia un obiettivo chiaro, che è quello semplicemente di portare la pace e di rimettere nelle loro case e nelle loro proprietà le persone che sono state costrette a fuggire e che si trovano ora nei campi profughi dei vari Paesi della regione del Medio Oriente». Che poi è esattamente quello che tradizione e magistero della Chiesa, nella loro lunga storia, non hanno mai escluso in conformità ad un’interpretazione non farisaica del supremo comandamento evangelico dell’amore.10005864_10203341256076800_7011449011856024783_o_zpse496020f

Non possiamo sapere se l’Isis, attuale testa d’ariete della religione islamica, o qualunque altra avanguardia politico-religiosa islamica, riuscirà un giorno a sfondare le resistenze militari europee e a dar luogo ad un processo di egemonizzazione islamica della civiltà europea, anche se tale processo potrebbe essere accelerato dall’ulteriore intensificarsi di un parallelo processo di decristianizzazione se non addirittura di scristianizzazione della stessa civiltà occidentale ed europea.

Sappiamo però che i cristiani e cattolici europei non di facciata, indipendentemente dal loro numero, devono essere pronti sin d’ora a testimoniare persino con l’offerta della propria vita la loro fedeltà al loro unico Signore Gesù Cristo, e che tuttavia essi, mentre migliaia e migliaia di fratelli e sorelle cristiani e non cristiani innocenti vengono barbaramente assassinati in Iraq come in Siria e in Pakistan o in alcuni paesi nordafricani, devono avere il coraggio di chiedere insistentemente alle istituzioni politiche e agli organismi militari internazionali di portare soccorso anche con l’uso della forza a comunità completamente inermi e indifese della universale famiglia umana e della altrettanto universale Chiesa di Cristo.

Perché, come ha detto giustamente mons. Tomasi, «dobbiamo fermare questo tipo di genocidio. Altrimenti piangeremo in futuro domandandoci perché non abbiamo fatto qualcosa, perché abbiamo permesso che accadesse una cosí terribile tragedia». Al di là dell’ineludibile obbligo cattolico di fare di tutto per impedire ulteriori massacri di persone innocenti, resta altresí il principale obbligo evangelico: quello di annunciare a tutti i popoli della terra, a voce alta e chiara, senza superbia ma anche senza preventive ed ipocritiche intese diplomatiche, specialmente nell’epoca di una comunicazione digitale e multimediale che si irradia istantaneamente in ogni angolo di mondo, l’essenziale del vangelo di Cristo: «convertitevi e credete nel Vangelo» (Mc 1, 15).letture-22-gennaio-2012-7-728

Qualunque cosa succeda, non c’è essere umano e popolo della terra che non verrà condannato se, pur avendo avuto una concreta opportunità di conversione a Cristo, non avrà aderito alle sue parole:«Gesù riprese a parlare e disse loro: “In verità, in verità io vi dico: il Figlio da se stesso non può fare nulla, se non ciò che vede fare dal Padre; quello che egli fa, anche il Figlio lo fa allo stesso modo. Il Padre infatti ama il Figlio, gli manifesta tutto quello che fa e gli manifesterà opere ancora più grandi di queste, perché voi ne siate meravigliati. Come il Padre risuscita i morti e dà la vita, così anche il Figlio dà la vita a chi egli vuole. Il Padre infatti non giudica nessuno, ma ha dato ogni giudizio al Figlio, perché tutti onorino il Figlio come onorano il Padre. Chi non onora il Figlio, non onora il Padre che lo ha mandato. In verità, in verità io vi dico: chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna e non va incontro al giudizio, ma è passato dalla morte alla vita. In verità, in verità io vi dico: viene l’ora – ed è questa – in cui i morti udranno la voce del Figlio di Dio e quelli che l’avranno ascoltata, vivranno. Come infatti il Padre ha la vita in se stesso, così ha concesso anche al Figlio di avere la vita in se stesso, e gli ha dato il potere di giudicare, perché è Figlio dell’uomo. Non meravigliatevi di questo: viene l’ora in cui tutti coloro che sono nei sepolcri udranno la sua voce e usciranno, quanti fecero il bene per una risurrezione di vita e quanti fecero il male per una risurrezione di condanna. Da me, io non posso fare nulla. Giudico secondo quello che ascolto e il mio giudizio è giusto, perché non cerco la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato”» (Gv 5, 19-29).

Non ci sono testi coranici o testi difformi da quelli evangelici con cui sia lecito dialogare; non si danno politiche pastorali realmente efficaci che possano prescindere da una reiterata affermazione della assoluta centralità di Cristo nella storia del mondo e della salvezza universale dell’umanità, così come la pace deve potersi istituire tra i popoli ma non necessariamente tra le religioni. La nostra fede ci impone di annunciare e testimoniare, sempre e comunque, a credenti o ad atei, a ebrei o a musulmani, a induisti o a buddisti, che l’unico Dio della storia e della loro stessa vita è nostro Signore Gesù. E anche di rivolgere il seguente pressante e inequivocabile invito ai musulmani di tutto il mondo, anche se un giorno essi dovessero crocifiggerci come fu crocifisso Cristo Salvatore: “Musulmani di tutti i Paesi del mondo convertitevi a Cristo!” ovvero, in lingua inglese, “Muslims around the world convert to Christ!”. 

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