Scandali della Chiesa cosentina e ipocrisia mediatica

Il giornalista Gabriele Carchidi, direttore del noto giornale cosentino on line “Iacchité” e ormai assurto al ruolo di intrepido, ma a volte anche irriflessivo e avventato, giustiziere informatico della vita politica giudiziaria e religiosa cosentina, affronta sempre apertamente e senza giri di parole problematiche di interesse pubblico senza dubbio scottanti e meritevoli di essere divulgate ed esaminate a mezzo stampa o via Internet. Ultimamente, Carchidi ha ritenuto di dare manforte ad alcune “croniste” del gruppo televisivo “Le iene”, che a ragione o a torto, ma con modalità sicuramente censurabili, hanno portato alla luce una torbida vicenda di sesso intercorsa diversi anni fa tra un prete di San Vincenzo La Costa e una giovane donna, certa Francesca, qui residente, allo scopo di dimostrare che il prete dopo averla messa incinta  l’avrebbe abbandonata, condannandola ad un destino di irredimibile solitudine, con la diretta e pressante complicità della Chiesa cosentina nella persona dell’allora vescovo Salvatore Nunnari.

Ora, a prescindere dal fatto che le “Iene”, come la stessa denominazione lascia intendere, non solo sono talmente aggressive da ritenersi invincibili, per cui è davvero curioso che esse, solo perché in questo caso malmenate dai parrocchiani del paese suddetto, abbiano richiesto l’aiuto di Carchidi (che vorrà meglio riflettere, spero, anche su questo aspetto della triste vicenda), ma sono anche portate a violare sistematicamente la libertà personale di molti cittadini nel nome di una malintesa e fraintesa libertà di stampa (che, come Carchidi dovrebbe sapere, ha appunto nella prima un limite invalicabile), esse, nel loro servizio si mostrano piuttosto carenti in materia religiosa e non meglio attrezzati da un punto di vista logico. Perchè?

Perché la storia di seduzione, salita alla ribalta delle cronache, contrariamente al presupposto da cui muove il servizio televisivo cui ci si riferisce, non ha un significato e un esito scontati, aprioristicamente determinabili: ovvero, non è solo l’uomo-prete che seduce la giovane donna, per il fatto che egli è a sua volta sedotto da questa, dalla sua bellezza ed avvenenza, e questa a sua volta seduce e si lascia sedurre tranquillamente e scientemente da quel giovanotto che si è donato a Dio e che, come rappresentante del sacro, può aver accresciuto in quell’animo femminile un senso di trasgressività e di passionalità.

Questo dice una logica non preconcetta, non anacronistica, non discriminante, non vittimistica. Un uomo e una donna si innamorano e, come spesso succede tra innamorati carichi di passione, non sono del tutto sinceri l’uno con l’altro, in quanto, come sembra sia accaduto nella nostra storia, lei cerca o finge di cercare sicurezze che lui non può dare in modo assoluto e lui promette eterno amore e fedeltà (ivi compreso un improbabile matrimonio di riparazione) qualunque cosa succeda solo perché in quel momento comprensibilmente travolto dai sensi. In amore, come tutti sanno, tranne forse gli ipocriti della stampa in genere, sono cose che succedono spesso. Quindi, perché colpevolizzare o non colpevolizzare uno solo dei protagonisti? O sono colpevoli entrambi o entrambi non sono colpevoli. E’ chiaro? Forse 40 anni fa, in un contesto storico-sociale molto diverso da quello attuale, si sarebbe dovuto fare ben altro ragionamento, ma oggi non più, e non perché le donne oggi non siano più discriminate rispetto agli uomini e rese oggetto di usi maschili spaventosamente illeciti e immorali, ma perché nel frattempo le donne in genere hanno saputo reagire ed organizzarsi storicamente, economicamente, culturalmente, psicologicamente, per cui sono molto meno ingenue e meno indifese di un tempo nei rapporti con gli uomini, per cui non è più possibile ipotizzare che esse non siano consapevoli quanto meno delle ambiguità e dei rischi che una presunta storia d’amore o semplicemente di sesso può sempre comportare.

Ma le “Iene”, costituite da giovanotti e ragazzotte in vero molto pieni di sé e di cui è molto dubbio se non inesistente il livello culturale, il curriculum scolastico e professionale, le competenze specifiche, sostengono che qui a mollare una donna, a farla abortire, sarebbe stato prima un prete e poi anche e addirittura un vescovo. Non si comprende perché, se la signora Francesca avesse desiderato veramente diventare madre della creatura che aveva in grembo, prete o non prete, vescovo o non vescovo, non avrebbe potuto e dovuto farlo. No, non si comprende affatto. Rinunce, sacrifici, umiliazioni: certo, forse avrebbe sofferto, ma non più di come soffrono per le ragioni più disparate migliaia e migliaia di esseri umani. Peraltro, dalle immagini televisive si intuisce che Francesca, benché il volto non fosse inquadrato, tenga ancora molto alla cura della sua persona (mani ancora levigate e prive di segni di particolare fatica fisica, portamento eretto con forme abbastanza procaci, eloquio  non rigoroso ma sufficientemente disteso e ordinato) e non stia facendo proprio la fame. Anzi, dopo lo scoop che la riguarda, starà certamente meglio e forse diventerà anche famosa. Chissà!

Dopodiché, oggettivamente resta la miseria della storia in quanto tale, perché un sacerdote non dovrebbe cedere alle tentazioni sessuali e dovrebbe assumersi in qualche modo le sue responsabilità per eventuali conseguenze, una donna giovane ed equilibrata non dovrebbe andare in cerca di emozioni proibite proprio tra i ministri di Dio, un vescovo non dovrebbe minacciare mai nessuno in particolare ma dovrebbe limitarsi forse a consigliare a una povera sventurata di agire secondo coscienza offrendole in pari tempo la sua sincera e reale vicinanza spirituale e, nei limiti del possibile, anche materiale. Ma, poiché da miserie del genere non sono certo esenti innumerevoli uomini e donne (forse noi stessi che scriviamo, Carchidi cui si potrebbe chiedere se è sempre stato educatissimo con le donne o la signorina Valeria delle “Iene” alla quale si potrebbe chiedere se, dopo essere andata eventualmente a letto con qualcuno, sia mai stata lasciata o abbia lasciato il partner in malo modo e abbia mai dovuto abortire), dovremmo convenire che nessuno di noi ha il diritto di esprimere giudizi assoluti o perentori sugli altri, specie quando si voglia ficcare abusivamente il naso in vicende intime da trattare al più con tatto e non certo con bestiale irruenza.

Il giudizio spetta a Dio a cui prima o poi ognuno di noi, ripeto ognuno di noi (ivi compresi uomini di Chiesa e giornalisti), dovrà rendere conto delle sue azioni. In questo senso, è senz’altro ipocrita e riprovevole disprezzare e qualificare (senza invece limitarsi a criticare con civili argomentazioni) la Chiesa cosentina come «una cloaca invereconda, uomini di Dio corrotti e indegni, maiali senza pudore che ancora vorrebbero far valere il loro presunto carisma. Uomini di merda», definire poi don Giuseppe Leone «un prete senza coglioni» (dove si potrebbe ironizzare osservando che, se è senza coglioni lui che è riuscito a fecondare una vergine, allora come si dovranno definire tutti quei preti che non possono fecondare nessuno anche se volessero?), l’ex vescovo Nunnari «disumano e losco», il vescovo attuale Nolè “ambiguo e inaffidabile”.

Nessuno di noi può stabilire se Carchidi, la signorina Castellano e quel simpatico parroco anonimo che in televisione si è lasciato andare a commenti a dir poco irragionevoli e malvagi contro i suoi confratelli, siano più o meno “maiali” e “uomini o donne di merda” di coloro che sono stati da essi messi alla gogna, ovvero l’ex vescovo Nunnari, il sacerdote caduto in disgrazia, quasi tutta la chiesa gerarchica e istituzionale cosentina. Nessuno di noi può stabilirlo perché dei soggetti citati conosciamo poco e niente e non sarebbero certo loro stessi a fornirci eventualmente particolari inquietanti della loro vita. Di certo, non sono né Carchidi, né Castellano, né l’anonimo prete i veri e credibili eredi dell’insegnamento di Cristo, di cui non hanno capito molto e di cui, soprattutto i primi due, si riempiono la bocca in modo volgarmente strumentale e con spirito non già di carità ma di odio fanatico e violento.

La Chiesa è corrotta? Sì, lo è, ma è anche santa perché è stata voluta da Cristo, il tre volte santo, e perché continua ad essere voluta da tanti uomini e donne che, per quanto limitati e profondamente peccatori, si sforzano sinceramente di renderla santa, anche con critiche costruttive intrise di evangelica parresìa ovvero di limpida ed energica franchezza cristiana ma innanzitutto e soprattutto con una continua conversione spirituale e cercando di rendere quanto più possibile santa la propria vita. La Chiesa, ma la stessa società, non si migliora con storie pruriginose e andando a caccia di scandali più o meno artefatti. La Chiesa, non importa se centrale o diocesana, se è sempre la nostra Chiesa, anche con le sue brutture deve essere amata più che odiata e disprezzata, difesa più che attaccata e demonizzata, celebrata più che continuamente infangata e affossata dal più temibile e rovinoso dei peccati, che è l’ipocrisia del giudizio e del comportamento personali.

Anche per questo, a coloro che nella città bruzia tendono maldestramente ad identificare la migliore espressione della Chiesa cosentina con forme meramente ribellistiche e ostentatamente pauperistiche di spiritualità, tanto per intenderci alla Francesco Bisceglia (giustamente anche se con grave ritardo estromesso dal suo ordine religioso di appartenenza e privato della facoltà di celebrar messa e amministrare i sacramenti), è opportuno consigliare maggiore prudenza e minore volgarità, in sostanza meno moralismo deteriore, nel sentirsi anche solo inavvertitamente migliori di quella pur vasta e variegata platea diocesana di cristiani-cattolici “tiepidi”, dormienti o benpensanti, che non sempre è capace di testimoniare coerentemente la sua fede in Cristo Signore. Non me ne voglia il coraggioso Carchidi: dovevo solo testimoniare la mia fede in una difesa doverosa della mia Chiesa e della Chiesa di Cristo. E, grazie a Dio, l’ho fatto! Non come santo Stefano, ma in qualche modo l’ho fatto!     

 

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