Iacchité, un fiume in piena contro Nunnari

Certo, Carchidi, tutti dobbiamo morire, nessuno escluso. Esprimersi in questi termini è del tutto lecito, mentre sa di avvertimento mafioso il titolo da lei scelto: caro Nunnari, ricordati che devi morire (http://www.iacchite.com/caro-nunnari-ricordati-devimorire/).  

Anche perché, mi creda, monsignor Nunnari, che conosco senza esserne amico, sa fin troppo bene che deve morire e dovrà rispondere a Dio del suo operato di pastore del popolo a lui affidato. Spero, però, che lei ne sia altrettanto consapevole per se stesso e la sua vita personale, perché, come sa bene, il Signore non è mai stato tenero con i presuntuosi, i saccenti, i superbi di nessun genere, fossero o non fossero scribi, farisei, sacerdoti del tempio o semplici mercanti. D’altra parte, non servirà quel giorno dire a Dio: “Signore, Signore, io ti ho amato, a modo mio, ma ti ho amato perché ho combattuto per tutta la vita per la verità e la giustizia”, perché il Signore replicherà probabilmente che non bisognava amarlo a modo nostro bensí a modo suo, cioè secondo le sue leggi e il suo insegnamento evangelico, e non per le nostre ma per la sua verità e la sua giustizia che implicano la carità, la misericordia, non lo spirito di persecuzione e di vendetta.

Non so se e in che misura mons. Nunnari, che merita comunque rispetto anche da parte di coloro che non simpatizzano per lui, sia umile, ma è del tutto evidente che lei, Carchidi, che usa troppo spesso la parola come una sciabola da brandire a proprio piacimento a destra e a manca, umile proprio non è, e sicuramente san Francesco di Paola, che ha voluto incautamente scomodare, non esiterebbe a prendere a bastonate anche lei insieme ad ipotetici prelati che si fossero fatti beffe dell’invito evangelico ad essere miti, mansueti e operatori di pace, sia pur sempre in uno spirito di profonda giustizia divina.

Ora, se la prende con Nunnari anche perché l’ex vescovo annuncia querele rivolgendosi ancora una volta alla “blasfema giustizia terrena”: anche in questo caso le sfugge che quella che lei chiama “blasfema giustizia terrena” alla quale purtroppo, per il suo coraggio ma anche per la sua non utile e non necessaria temerarietà, lei stesso è costantemente esposto, in origine fu autorizzata ed entro certi limiti legittimata proprio da Dio, affinchè alla comunità umana, sempre soggetta a divisioni e contrasti dopo il peccato originale, fossero assicurati, in qualche misura, ordine e pace. Cosa deve fare, secondo lei, un vescovo che si sente usato maldestramente per uno scoop giornalistico, additato come un criminale e come indegno uomo di Chiesa, calpestato reiteratamente nella sua dignità umana e umiliato dinanzi alla sua comunità religiosa? Per un cristiano, ci sono momenti in cui tutto dev’essere sopportato e tutto deve essere patito in silenzio, finanche la morte più ingiusta, e ci sono momenti in cui invece ci si deve difendere e tutelare non tanto per se stessi ma per quel che si rappresenta spiritualmente o istituzionalmente e per una doverosa difesa di quella che si ritiene essere la verità. Prima di morire sulla croce quante volte Gesù si sottrae alla furia di gente che avrebbe voluto ucciderlo, quante volte risponde a muso duro ai suoi detrattori, ai suoi accusatori e calunniatori? E lo stesso san Paolo non si appella a Cesare, cioè alla giustizia imperiale per scampare alla pena capitale che avrebbero voluto infliggergli i suoi ex correligionari?

Vede, questo insegna il vangelo e questo insegna anche il catechismo cattolico. Lei ricorda giustamente le parole di Gesù: amate i nemici, fate del bene a coloro che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per chi vi maltratta. Certo, è un grande appello che Gesù rivolge a tutti, non solo ai Nunnari ma anche ai Carchidi, anche e innanzitutto a chi ci odia ingiustamente, a chi ci maledice continuamente, a chi ci maltratta per colpe forse reali ma non più gravi di quelle forse commesse dai nostri stessi nemici. Può darsi peraltro che Nunnari la ami, Carchidi, e che sia disposto a farle del bene e a pregare per lei e i suoi cari, ma la sua ipotetica amorevolezza, il suo ipotetico spirito di carità non escludono affatto, da un punto di vista evangelico, che egli possa ricorrere alla pur imperfetta giustizia terrena per tentare di arginare, con l’aiuto di Dio, quella che lo stesso prelato tende a ritenere un cumulo troppo gravoso e iniquo di menzogne e di calunnie indirizzato a distruggerne l’onorabilità personale. Ma, si obietterà, se Nunnari è davvero colpevole? Se è davvero colpevole, in rapporto alle accuse da lei mosse, dovrà risponderne ancora una volta al Signore cui nulla sfugge o già alla giustizia terrena ove se ne dimostrasse in modo incontrovertibile una qualche colpevolezza penale. 

Però, Carchidi, lei deve capire che, quando Gesù invita a porgere l’altra guancia, intende invitare i suoi seguaci a non cedere facilmente alle provocazioni, a non rispondere alla cattiveria altrui, presunta o reale che sia, con la stessa malvagità e con la stessa violenza di chi appunto li percuote; non intende certo dire che bisogna lasciarsi massacrare senza opporre alcuna resistenza. Le guance due sono: porgiamo l’altra guancia, una volta però per cercare di non accrescere la conflittualità tra noi e il nostro offensore. Dopodiché, Gesù non vuole affatto che, in ogni circostanza, si debba continuare a sottostare passivamente ai cazzotti o alle bastonate del nostro nemico e del nemico stesso di Cristo. Chiaro?

Sul resto sono d’accordo con lei: non «può definirsi un uomo di Chiesa colui il quale non è in grado di abbracciare chi soffre», né può definirsi «servo di Dio chi sta sempre dalla parte dei potenti». E non posso che augurarmi che Nunnari sia stato e sia capace di abbracciare i sofferenti e non sia mai stato succube dei potenti. Quanto alla sfortunata Francesca, troppo poco si sa di lei e dei rapporti dialogici realmente intercorsi tra lei e il vescovo Nunnari, per poter tentare di stabilire come quest’ultimo si sarebbe potuto o dovuto comportare con lei, fermo restando che le vicende amorose di cui tanto a sproposito si è parlato e si parla devono essere considerate solo un terribile incidente di percorso intervenuto tanto nella vita di questa donna quanto in quella del sacerdote, suo occasionale e sventurato amante.      

 

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