Renzi e l’Europa dal basso

di Fabrizio Mutti

Un fatto è certo: Renzi ha in mente un’idea d’Europa molto diversa da quella che ha trovato concreta applicazione dal 2000 ad oggi. Non tanto nel senso utopistico, come ingenuamente si potrebbe pensare, che egli auspichi un’Unione Europea totalmente libera da burocrazia e tecnocrazia, ma nel senso realistico di un’Unione Europea in cui burocrazia e tecnocrazia non siano più altari su cui tutto venga sacrificandosi ma semplici anche se importanti strumenti finalizzati a perseguire il maggior benessere possibile di tutti i cittadini dei Paesi membri.images (51)

Renzi sta ripetutamente e giustamente osservando che, come peraltro stabiliscono gli stessi Trattati europei, non ha senso parlare di “stabilità” economico-finanziaria senza preoccuparsi realmente della “crescita”, perché, per citare le sue testuali parole, «la stabilità senza la crescita diventa immobilismo», né è pensabile che la costruzione europea possa reggersi semplicemente sulla moneta unica, «perché  non basta avere una moneta unica per condividere un destino insieme». D’altra parte, puntualizza efficacemente il nostro premier, «o l’Europa è in grado di assumere la battaglia contro la disoccupazione o non ci sarà alcuna stabilità possibile».Anche su concetti-chiave della scena politica europea quali rigore, austerity, stabilità, lotta al debito pubblico, Renzi mostra di non volersi conformare affatto alla mentalità dominante in Europa, ritenendo che tutti questi elementi, da cui pure non si può prescindere in sede economica, debbano essere intesi non in senso dogmatico e statico ma in senso critico e dinamico, ovvero come momenti e funzioni di un progetto economico europeo che non perda mai di vista le concrete e specifiche condizioni materiali e morali in cui versano i diversi popoli dell’Unione e che non si possa quindi pretendere di realizzare a colpi di “regole” assolute, di “vincoli esterni” inamovibili, di diktat implacabilmente indifferenti ad indilazionabili urgenze economiche, sociali, esistenziali dei popoli maggiormente sofferenti.images (53)

In altri termini, o l’Europa smette di essere l’Europa di mercanti e banchieri, di oligarchie finanziarie e di élites politiche totalmente sganciate dalle masse popolari, di furbizie nazionalistiche e di oscure e ciniche operazioni espropriatrici, o è molto meglio ritornare agli Stati nazionali che non sarebbero necessariamente più poveri di quanto lo siano oggi e che potrebbero pur sempre istituire tra essi fecondi scambi industriali, commerciali e culturali. La storia dell’Europa unita che avrebbe sventato per sessant’anni pericoli di nuove guerre continentali, è una di quelle panzane che, per quanto accreditate irresponsabilmente in Italia anche da figure istituzionali di primo piano, sarebbe assolutamente necessario archiviare al più presto, mentre in ben più seria considerazione dovrebbe essere tenuta l’evidenza storica che quest’Europa non sia stata affatto voluta e costruita dai popoli europei ma semplicemente da quei potenti europei che, pur senza farne parola, si richiamano all’aristocratico austro-ungherese Richard Coudenhove Kalergi, che ho visto opportunamente citato in questo blog, come al vero padre dell’Unione Europea.

Ora, bisogna sapere che il paneuropeismo o pancontinentalismo di Kalergi era esattamente antitetico alla prospettiva comunitaria che alcuni pochi padri nobili dell’europeismo contemporaneo (tra cui non includerei né i Prodi, né i Napolitano, né buona parte della vecchia nomenclatura del PD, né in generale tutti gli iscritti a logge massoniche secondo criteri di trasversalità politica, a clubs economico-finanziari esclusivi e assolutamente chiusi alla pubblica opinione, a lobbies di varia natura), avrebbero voluto in buona fede assicurare ad una vera Europa democratica e popolare.

Per motivi di spazio non posso dilungarmi sul progetto di Kalergi, ma basti sapere che per questo signore gli abitanti dei futuri “Stati Uniti d’Europa” non sarebbero stati «i popoli originali del Vecchio continente, bensí una sorta di subumanità resa bestiale dalla mescolanza razziale». Egli infatti affermava senza mezzi termini che sarebbe stato necessario «incrociare i popoli europei con razze asiatiche e di colore, per creare un gregge multietnico senza qualità e facilmente dominabile dall’élite al potere».images (54)

Ecco: forse è il caso che anche sul doloroso problema dell’immigrazione ci si soffermi a pensare, meno emotivamente di quanto forse in Italia ancora non si faccia, come ad un aspetto da non sottovalutare non solo sul piano economico ma anche e soprattutto dal punto di vista del futuro politico-sociale, culturale e religioso del nostro continente. Come cattolico, non posso naturalmente non condividere l’etica caritatevole della Chiesa cattolica e la stessa energica richiesta di Renzi di fare in modo che tutta l’Europa si faccia finalmente e solidarmente carico di questo problema (vedi Frontex), sia in termini di soccorso in mare aperto che in termini di accoglienza e di successiva ed equa dislocazione degli immigrati nei vari Paesi europei. Ma giudico indispensabile riflettere sul fatto che c’è un europeismo nobile, a mio avviso nettamente minoritario, e un europeismo mondialista e ignobile alla Kalergi che ancora oggi tenta di progredire sull’intero pianeta, con la complicità di tante menti ottuse o semplicemente ingenue, e da cui pertanto ci si deve guardare molto attentamente.

Non so se Renzi ne sia consapevole, ma l’europeismo non è solo quel che pensa o che vorrebbe lui, bensí anche il portato storico-culturale di antichi, segreti e scellerati progetti mondialisti che vorrebbero condannare l’intera umanità ad una condizione di perenne schiavitù. Non so se sarà capace di opporsi validamente ai “poteri forti” europei e di segnare una svolta di maggiore vivibilità per l’Italia e molti altri Paesi europei. Certo, è augurabile che riesca nei suoi intenti, anche se non ci si può non riservare di dimostrare in un prossimo futuro che l’Europa renziana dal basso potrebbe non bastare a rimettere significativamente in moto l’economia e la vita civile delle nazioni europee e più segnatamente dell’Italia.

Fabrizio Mutti

 

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