Referendum costituzionale. Perché bisogna votare sì

imagesL’Economist, la nota rivista economica dell’alta finanza inglese ed internazionale, che definì “pagliacci” Grillo e Berlusconi, intervenendo ancora una volta sulle vicende politiche italiane , ha spiegato qualche giorno fa perché a suo giudizio “l’Italia dovrebbe votare no al prossimo referendum costituzionale”. La riforma costituzionale che Renzi vorrebbe fosse approvata dal popolo italiano non inciderebbe, secondo gli esperti del settimanale britannico, su una più efficiente legislazione, anche perché essa non favorirebbe più di tanto la velocizzazione dei provvedimenti legislativi italiani rispetto a quelli che vengono adottati da altri importanti parlamenti e governi europei, in cui sia già vigente un quadro normativo costituzionale più agile e funzionale appunto a decisioni più rapide soprattutto da parte dell’esecutivo.

downloadPeraltro, osservano, la riforma costituzionale in Italia sarebbe di gran lunga meno importante di altre riforme “strutturali” che il premier italiano, nei suoi due anni di governo, colpevolmente non avrebbe fatto: quella, per esempio, “dell’indolente magistratura” o quella della scuola che resta ancora segnata da troppe pastoie burocratiche e da un sistema educativo ben poco formativo e scarsamente finalizzato a un sicuro ingresso dei giovani nel mondo del lavoro e nello stesso mondo istituzionale. E ciò dimostrerebbe che, anche con Renzi, l’Italia continua ad essere un Paese molto riluttante a riformare se stesso.

D’altra parte, la riforma auspicata da Renzi è pericolosa perché non c’è dubbio che essa renderebbe possibile l’attuazione di un sistema autoritario guidato da “un uomo forte” che però potrebbe essere soggetto a movimenti populistici di qualunque genere e questo è un rischio che l’Italia dei Mussolini e dei Berlusconi non si potrebbe proprio permettere.

Ma, soprattutto, e sta qui il vero motivo dell’indebita interferenza del giornale britannico, la riforma costituzionale non consentirebbe affatto a Renzi di poter assecondare più liberamente le direttive europee, in particolare quelle più specificamente economico-finanziarie, rivolte all’Italia, che, a causa dei suoi indicatori economici costantemente statici ( per esempio l’alto debito pubblico o quello relativo ad una crescita quasi pari allo zero), tende a mettere in discussione la stessa sopravvivenza dell’euro e dell’Unione Europea.

Ora, è ben noto come il nostro premier sia sempre più guardingo e critico verso l’Unione e le sue politiche aggressive sotto il profilo fiscale quanto inefficaci ed inefficienti per ciò che si riferisce alla possibilità di una concreta e significativa ripresa economica e sociale di tutti i Paesi europei nel rispetto naturalmente delle priorità e delle oggettive potenzialità di ciascuno di essi.

Ecco, questo è il vero punctum dolens: l’alta finanza, dopo aver patrocinato a lungo il progetto renziano di riformare la Costituzione italiana in modo da permettere all’esecutivo di legiferare in un modo più spedito e soprattutto più consono per l’appunto alle esigenze della politica e della politica economica della UE, si è accorta che Renzi aveva mutato visibilmente atteggiamento nei confronti dei poteri costituiti di Bruxelles e che probabilmente cominciava ad accarezzare segretamente anche per l’Italia l’idea di svincolarla da quest’Europa ossessivamente conservatrice per restituirle un’autonomia di manovra non necessariamente meno vantaggiosa del suo attuale essere assoggettata ad una miope o cieca finanza europea ed internazionale oltre che ad un’ottusa politica europea in materia di politica estera e di immigrazione.

Ecco perché l’Economist  si preoccupa oggi di consigliare il popolo italiano a votare no: perché da una vittoria del sì Renzi uscirebbe enormemente rafforzato e quasi certamente determinerebbe la fine dell’euro e dell’Unione. Ma se questo è per altri il motivo per cui noi dovremmo votare “no”, per molti di noi italiani per questo stesso motivo sarà necessario votare “si”. Non solo perché, a questo punto, è del tutto ragionevole pensare che una via nazionale allo sviluppo, alla lotta contro la disoccupazione e per il lavoro, al perseguimento più redditizio di interessi specificamente italiani in tutto il mondo, potrebbe rivelarsi più conveniente per noi, ma anche perché, checché ne pensi il cattolico reazionario e disfattista Antonio Socci, non esiste al momento in Italia un uomo politico che possa fare meglio di Matteo Renzi, le cui indubbie capacità politiche e di governo, nonostante non marginali errori commessi, vengono platealmente disconosciute in modo solo pretestuoso e meschino dai suoi molti avversari politici e non politici.

Forse è vero che la riforma costituzionale di Renzi contenga germi di possibili svolte autoritarie, ma, come ho scritto in “La democrazia e i suoi anticorpi” pubblicato in questo sito, a volte anche le svolte autoritarie, ma non necessariamente dittatoriali, sono utili a sbarrare il passo a recriminazioni e gazzarre sociali e politiche di infima natura umana e corporativa (vedi Forza Italia, Lega e 5 Stelle, insieme ad un coacervo di piccoli e velleitari gruppi di una sinistra ormai meramente ipotetica) che non solo gettano continuamente e ingiustamente discredito sulla nostra nazione ma rischiano anche di paralizzarne seriamente la vita istituzionale e sociale.

Se è vero, infatti, che un eccesso di autoritarismo può far sí che un organismo democratico si ammali e si incancrenisca fino a trasformarsi in organismo totalitario, anche un eccesso di liberalismo  o, peggio, di libertarismo ottuso e indiscriminato può determinarne una malattia mortale. Oggi si può dire che in Italia per i partiti politici che siedono in parlamento non ci sia tema di dibattito che non sia destinato a diventare non solo e non tanto motivo di acceso scontro politico quanto occasione di reciproca e spesso preconcetta delegittimazione morale e politica. E, poiché in gioco c’è la governabilità del Paese e l’esigenza primaria di modernizzarlo secondo criteri di equità e di solidarietà non astrattamente e sterilmente egualitaria e livellatrice non meno che secondo criteri di giustizia e di valorizzazione meritocratica delle capacità professionali personali, bisognerebbe stare attenti a non concedere troppo spazio ai tanti campioni della facile e sistematica critica antirenziana, e soprattutto a non consentire che il potere passi nelle mani di noti opportunisti e demagoghi della politica nazionale, particolarmente sovrabbondanti in partiti tendenzialmente incolti e famelici solo di potere quali la Lega e il 5 Stelle.

Naturalmente, non si vuol dire che il PD di Renzi e lo stesso Renzi siano perfetti o che soprattutto in futuro non potranno produrre danni di nessun genere agli italiani, ma il buon cittadino è colui che, di volta in volta, si sforza di capire quali siano le forze politiche più credibili e gli uomini più degni e capaci di esercitare il potere nazionale in un determinato momento storico: e, in tal senso, non c’è dubbio che, per ragioni oggettive, la bilancia attualmente pende dalla parte di Renzi e del suo PD.

Quelli che si lamentano sempre, che dicono che nessuno ha mai governato cosí male come Renzi, che affermano essere i veri problemi da risolvere molto diversi da quelli affrontati o già posti nell’agenda renziana, che anziché proporre soluzioni e alternative realistiche e veramente produttive, stanno sempre lì a strapparsi le vesti e ad esercitarsi pubblicamente in invettive sciocche e improduttive di bassissima marca moralistica, devono essere lasciati ai loro piagnistei ipocriti.

D’altra parte, il giorno in cui la riforma costituzionale, nell’ipotesi che passi, dovesse generare, con o senza Renzi al governo, effetti sgraditi alla maggior parte del nostro popolo, ci si potrà sempre impegnare, in parlamento e/o fuori del parlamento, ai fini di mutamenti normativi ulteriori e ancora una volta corrispondenti ai reali e incomprimibili interessi dell’Italia come nazione tra nazioni e dell’Italia come popolo alle prese con sempre persistenti problemi: occupazione e lavoro, edilizia ed estensione del diritto ad una casa, assistenza sociale e sanitaria, riforma scolastica e universitaria, creazione e manutenzione di infrastrutture territoriali, lotta agli sperperi e ad ogni forma di parassitismo sociale, regolamentazione degli statuti professionali, incentivazione e innovazione della ricerca scientifica e tecnologica, controllo e bonifica ambientali, politica estera e dell’immigrazione, solo per citare alcuni dei grandi capitoli della vita nazionale che una politica seria e responsabile si troverà a dover fronteggiare ancora per lungo, lunghissimo tempo o, forse, per sempre.

Per questo stesso motivo, è Renzi che oggi, con il al referendum costituzionale, bisognerebbe rafforzare: perché è l’unico che oggi può difendere gli interessi nazionali da un’Europa invadente e rapace e da una rabbiosa, irragionevole e irresponsabile opposizione politica interna che per il presente come per il domani non offre né un chiaro ed organico progetto di riforme, né un programma preciso e articolato di risolutivi interventi economici e sociali.

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