Quale populismo?

E’ inutile continuare ad inveire contro i populismi come se fossero una semplice degenerazione della normale prassi politica, anche perché la storia politica e sociale dell’umanità è disseminata di movimenti populistici poi consolidatisi in veri e propri regimi di Stato. Semmai, si potrebbe dire il contrario: che i populismi irrompono sulla scena politica quando l’attività politica ordinaria non solo degenera ma tende a fossilizzarsi nei suoi processi degenerativi. In questo senso, i populismi, non tutti evidentemente nello stesso modo, rappresentano sintomi importanti di una malattia in corso che possono consentire di curarla e di impedirne una letale irreversibilità. Come al solito, non si tratta di generalizzare ma di distinguere e di leggere nello specifico di determinati fenomeni storici.

Il populismo pentastellato non era affatto l’antipolitica, la negazione della democrazia rappresentativa, la fine della logica parlamentare del confronto ipocrita, dell’accordo gesuitico, della mediazione interessata, del compromesso ad ogni costo, e la pur demagogica affermazione della democrazia diretta. Si può discutere se fosse un movimento politico autenticamente o solo opportunisticamente (come io propendo a credere) popolare, realmente radicato nelle masse o semplicemente asservito ai disegni di un ristretto ma agguerrito gruppo di avventurieri capaci di agitare la causa popolare in modo e per scopi semplicemente strumentali, ma non c’è dubbio che esso sia nato e si sia sviluppato come espressione di individualità borghesi frustrate ma non marginali e ben integrate nel sistema e nel quadro dell’idolatria occidentale del potere, dell’arricchimento, della visibilità e del successo, e mosse da un istintivo spirito di rivolta contro ceti politici indubbiamente inerti e corrotti ma soprattutto rei ai loro occhi di non essere stati e di non essere abbastanza sensibili alle tante ambizioni sociali e individuali esterne o estranee a segreterie di partiti, di uomini politici e di sindacati e per troppo tempo rimaste insoddisfatte.

Si è trattato, a differenza del movimento leghista apparso da subito ben più strutturato politicamente e radicato nel territorio, di un ammutinamento popolare utilizzato strumentalmente da pochi nel nome del popolo per una compartecipazione non certo disinteressata all’esercizio di questi stessi poteri. Già questo può spiegare forse perché i 5Stelle abbiano oggi più che dimezzato l’originario consenso popolare, mentre la Lega salviniana ha visto triplicare i suoi voti. Un ammutinamento è stato quello pentastellato, di indistinto e contraddittorio colore politico e di ancor più confusa ispirazione culturale, morale o religiosa: segno evidente non già di una ben definita identità politica, di una precisa volontà di cambiamento della prospettiva politica data quanto di una bramosìa di potere fine a se stessa e semplicemente mascherata da veemente e impavido assalto collettivo ad un sistema corrotto e ormai indifendibile.

Come spesso accade, anche in questo caso vasti settori della popolazione avrebbero seguito fiduciosi il nuovo corso senza porsi il problema di capire cosa stesse esattamente accadendo e, soprattutto, da chi successivamente sarebbero state rappresentate e difese le loro diffuse aspettative di riscatto economico e sociale, per cui nulla sarebbe stato fatto preventivamente affinchè l’avvento dei nuovi arrivati al potere e al governo del Paese non coincidesse sostanzialmente, oltre che con un apparente scardinamento del tradizionale assetto politico-parlamentare, con una corsa alla conservazione ad oltranza della poltrona, ad un concreto incremento dei propri profitti personali, ad una stagione di vantaggiosi seppur taciti o segreti intrallazzi per diverse realtà umane e paraistituzionali gravitanti attorno ai vincitori delle ultime elezioni politiche.

Pian piano tutto è venuto manifestandosi per quello che era sempre stata la vera natura del movimento grillino: non così aperta, come quest’ultimo ha continuato per molto tempo a ripetere per motivi propagandistici, a grandi e nobili idealità di giustizia e di eguaglianza sociale, né realmente interessata a trasformare la mentalità arrivista e corporativa da sempre dominante nel popolo italiano, ma ancora una volta chiusa in un’angusta ottica di guicciardiniano “particulare” cui ogni altro valore comunitario o collettivo, di buon governo e di saggia e disinteressata amministrazione del bene pubblico, di intransigente e coerente lotta morale ad ogni genere di corruzione ivi compresa quella giudiziaria, può e deve essere sacrificato.

Alla fine, si è visto cosa sia rimasto di tanti baldanzosi rivoluzionari. Ma quale rifondazione della magistratura? Prova ne è la clamorosa emersione di una vera e propria “mafia giudiziaria” per giunta in non trascurabile parte siciliana (che va da Palamara, a Pignatone, da Patronaggio a tanti giudici del tribunale dei ministri di Palermo, senza escludere ovviamente molteplici e compiacenti ramificazioni o collusioni nazionali di tipo apicale). Ma quale rifondazione del sistema scolastico e del sistema sanitario, di cui l’odierna pandemia ha evidenziato in modo drammatico inadeguatezze strutturali e spaventose carenze di organico oltre che di carattere specialistico alle quali ancora oggi non è dato sapere chi e come vorrà e saprà rapidamente ed efficacemente rimedio? Ma quale rifondazione delle istituzioni e dello Stato, visto che le oggettive criticità del sistema democratico-repubblicano fanno comodo soprattutto agli attuali partiti di governo, per i quali l’importante non è lavorare con equanimità e oculatezza nell’interesse della nazione, su questioni prioritarie come, solo per esemplificare, sicurezza e difesa dei confini nazionali, tutela del lavoro e promozione dell’occupazione giovanile, protezione e valorizzazione adeguate in Europa e nel mondo della ricchezza economica e di tutte le risorse artistico-paesaggistiche e culturali del nostro Paese, ma campare alla giornata e rimanere in sella almeno fino al prossimo turno elettorale?

Non c’è niente di niente, c’è solo l’ennesimo fallimento politico, ma non nel senso che il cosiddetto populismo non debba necessariamente trovare soggetti politici più organici, più motivati e meglio preparati e organizzati degli “sbandati” raccogliticci del partito di Grillo, bensì nel senso che c’è populismo e populismo e che una sinistra italiana, seria e responsabile, non grossolana e demagogica, non acquiescente ai poteri politici e finanziari internazionali ma capace di opporre ad essi una fiera, patriottica e proficua resistenza concepita non già nel segno di un gretto e retorico nazionalismo ma di una reale e sensata solidarietà internazionale, non potrà rinascere completamente rinnovata rispetto alle sue sinistre versioni storiche dell’ultimo trentennio se non da un ben più consapevole ed ispirato populismo etico-politico capace di rovesciare conservando, di innovare sapendosi mostrare e restando fedeli a valori vissuti di integrità e competenza, di coerenza e di abnegazione.

Come ha ben osservato la politologa belga Chantal Mouffe (Per un populismo di sinistra, Laterza 2018), qui ormai si avverte la necessità storica di una sinistra non più prona al liberismo di mercati e potentati finanziari ma di esso nemica e capace finalmente di combattere ogni forma di complicità e subalternità  rispetto ad ambigui e spesso nefasti programmi riformistici e ad evidenti politiche antipopolari della coeva socialdemocrazia europea. Naturalmente, bisogna stare attenti a non seguire gli ipocriti ragionamenti di politici come Massimo D’Alema che, pur essendo da tempo immemorabile prono alla logica capitalistica, va predicando che, ove la politica riscopra il ruolo di dettare le sue leggi all’economia e alla finanza, anziché subirle, il mondo economico-finanziario locale e globale sarebbe costretto ad “adattarsi”. Già: se la politica riscopre se stessa! Quella politica forse riscoperta da D’Alema, da posizioni di potere, in tanti anni di camaleontico adattamento alle magnifiche sorti e progressive della lunghissima e incontrastata stagione liberal-liberista?

Ma, in effetti, quali e quanti politici troverebbero per se stessi conveniente una eventualità del genere, l’andare cioè controcorrente rispetto ad una mentalità politica e culturale ancora maggioritariamente condizionata dalla religione del libero mercato, della globalizzazione finanziaria e del mondialismo giuridico-politico, del profitto illimitato e della relativizzazione di tutte le fedi morali e religiose? Giacchè non c’è dubbio che, tanto a destra quanto a sinistra, e al di là delle diverse o opposte visioni del rapporto tra potere centrale e società civile ovvero tra Stato e cittadini, si tratterebbe di combattere contemporaneamente e incondizionatamente contro tutte quelle élites o oligarchie nazionali e più spesso sovranazionali di potere che, lungi dall’essere controllate e arginate in modo significativo dalle élites democraticamente elette e preposte all’esercizio del potere nei diversi e specifici contesti politici nazionali, continuano a godere sempre di ottima salute: dalle mafie alle molteplici lobbies massoniche, dalle multinazionali alla troika della UE, da noti e potenti gruppi finanziari internazionali facenti capo a Google, Amazon o ad altre realtà finanziarie capaci di esercitare una funzione dominante sulla rete alla lobby ebraica internazionale e ancora a quelle delle armi e del petrolio, non senza passare per le fin troppo equivoche agenzie di rating.

Ecco: una sana ed efficiente democrazia richiederebbe proprio questo, cioè la presenza di una classe dirigente ogni volta così competente e incorruttibile, lungimirante e intransigente, da riuscire a governare e neutralizzare con saggezza ma anche con risolutezza tutte le indebite prevaricazioni o ingerenze di tali poteri in questioni nazionali di vitale e indifferibile importanza. Piaccia o non piaccia a giornalisti e attenti analisti politici come Giuseppe Rinaldi (Populismi, ircocervi e sarchiaponi, in “Città futura” del 18 giugno 2019) ben capaci di disegnare la vasta e complessa rete tentacolare di questi poteri sebbene non sempre avveduti nel proporre sarcastici e scoraggianti modelli di realismo politico, ma il modello standard della democrazia viene oggi gravemente compromesso e vanificato proprio o principalmente da questi poteri di fatto dilaganti in ogni angolo del pianeta, per cui quella di saper resistere programmaticamente e tenacemente ad essi non è oggi una semplice opzione di carattere etico ma una vera e propria necessità per la sopravvivenza stessa delle democrazie occidentali.

Questo è il nocciolo del problema se si vuole evitare di scivolare, come al solito, verso ragionamenti troppo complicati, astrusi e di nessunissima utilità, verso quel sofisticato, sottile e velleitario discettare dialettico di cui sono maestri in modo particolare i teorici della sinistra, tanto di quella massimalista quanto di quella riformista e moderata, ma in cui il più delle volte viene dissolvendosi ogni concreto impegno di lotta democratica e ogni ragionevole speranza di rigenerazione morale, culturale e politica nella e della nostra comunità nazionale.

Chantal Mouffe, che è una teorica di sinistra ma orfana, al pari di tante moltitudini popolari, di una sinistra degna di questo nome, ha limpidamente percepito il verificarsi, e non da oggi, di un inatteso e paradossale travaso di valori forti della migliore tradizione rivoluzionaria della sinistra nei programmi politici della destra, anche se la studiosa inglese di origine belga non sembra essere ben consapevole dell’intero e profondo perimetro valoriale che per lunghi decenni avrebbe caratterizzato in particolare la storia del partito comunista italiano (in primis solidarismo internazionale e insieme energica e patriottica difesa del lavoro, del territorio e dei confini, della tradizione e della cultura nazionali,  lotta ad oltranza per i diritti sociali prima ed oltre che per diritti civili peraltro spesso opinabili o letteralmente inventati, opposizione sistematica ad ogni genere interno ed esterno di potentati economico-finanziari, ma poi anche difesa intransigente e non a corrente alternata per la libertà di pensiero e di stampa, da non confondere ovviamente con una libertà di insulto e di diffamazione, e ancora valorizzazione di una coscienza critica e anticonformistica quanto più possibile di massa e al tempo stesso energica volontà di contrasto su ogni forma di condotta umana individuale e collettiva ritenuta illecita e riprovevole e suscettibile di infliggere danni rilevanti alla società e allo Stato).

  E’ proprio così: in senso rigorosamente storico, non è affatto vero che una sinistra internazionalista non debba essere patriottica, sovranista e “populista”. In realtà, il populismo non è affatto, rileva Mouffe, un’ideologia, una negazione irrazionale della politica, bensì un modo nuovo e non abitudinario di fare politica secondo il quale coloro che non hanno o non esercitano potere si sentano legittimati a mobilitarsi antagonisticamente nei confronti di quelle forze reali che, propagandando come “ineluttabile” lo stato attuale delle cose e decretando l’impossibilità della politica di poter essere altro dal suo essere “gestione dell’ordine costituito”, tendono ad irridere a tutte quelle correnti d’opinione alternative che, al contrario, non accettino come ineluttabile l’ordine di cose esistente e avanzino invece risolutamente istanze economiche e sociali del tutto antitetiche ad esso e quindi valori autenticamente democratici e egualitari, anche se fatti propri da partiti populisti nominalmente di destra. Al riguardo, annota opportunamente Chantal Mouffe, «classificare i partiti populisti di destra come di estrema destra o neofascisti, e attribuire il loro appeal alla mancanza di cultura di chi li sostiene è», come suole fare la stampa e l’informazione di sinistra, «una soluzione fin troppo comoda per le forze di centrosinistra … Tale strategia di demonizzazione dei nemici del consenso bipartisan può apparire di conforto sul piano morale, ma è politicamente castrante» (op. cit., p. 17).

Chi ha messo in discussione, nell’ultimo ventennio, l’ordine costituito, la situazione sociale attuale, il globalismo cieco e indiscriminato, l’europeismo servile delle classi dirigenti, la subordinazione della politica all’economia e alla finanza, la stessa marginalizzazione della fede religiosa dalla politica, è stata generalmente, anche se non sempre in modo coerente e convinto, la cosiddetta destra, peraltro sempre molto lontana da tentazioni autoritarie e dittatoriali a meno di non voler considerare intrinsecamente autoritarie e dittatoriali le sue aperture “populistiche”, non certo la cosiddetta sinistra, per cui in effetti proprio l’aver voluto quest’ultima ridicolizzare in modo preconcetto e sistematico tutte le idee, i valori, le proposte elaborate dalle forze di destra, quasi che ad osservare e a giudicare fatti e misfatti della scena politica italiana non ci fosse un popolo sufficientemente competente e capace di giudicare, avrebbe finito per rendere pressoché ineluttabile il declino irreversibile di una sinistra ciarliera, faziosa, supponente e autoritaria, oltre che non di rado corrotta e del tutto asservita ai grandi centri di potere politico e finanziario.

La sinistra, che con Renzi avrebbe potuto ancora giocare un ruolo storico-politico di grande importanza per l’Italia se il giovane leader fiorentino non si fosse improvvidamente e stupidamente alienato il consenso di una consistente parte del popolo cattolico, ormai evoca stabilmente la reazione politica, lo spirito di casta, il collaborazionismo antipatriottico con il nemico o con paesi in competizione con l’Italia, la sciatta retorica umanitaria e il modello più odioso e ipocrita di politically correct, il filantropismo strumentale e strappalacrime per ogni forma di “diversità” e il disamore per i propri connazionali più disagiati e oppressi, il vuoto formalismo istituzionale e la forma più emblematica di idiosincrasia non tanto antipopulistica ma antipopolare.

?!

Le cose stanno così e lo sventurato avvento dei 5Stelle al potere, che la studiosa citata ha il torto di considerare con simpatia, ha finito semmai per evidenziare la pochezza morale e l’inconsistenza politica di deputati e senatori del PD e della sinistra estrema, che di estremo ha ormai solo l’opportunismo e la stupidità. Non resta dunque che sperare in una nuova ondata populistica, questa volta diretta magari da spiriti liberi e forti di sana e coraggiosa ascendenza evangelica e cattolica.  

Francesco di Maria

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