Quale governo dopo il 4 marzo?

di Vincenzo Granturco

Molti si affannano a spiegare le ragioni del clamoroso successo del Movimento 5Stelle e della sconfitta altrettanto clamorosa del PD, mentre più scontata e prevedibile era ed è stata la buona affermazione della Lega che è riuscita a prendere più voti del partito di Berlusconi. In realtà, il 5Stelle, nonostante ci sia stato parecchio tempo per constatarne evidenti carenze e limiti, è riuscito ad imporsi, soprattutto agli occhi di moltissimi giovani, come la grande illusione di questo momento storico e ha raccolto un amplissimo consenso che rispecchia da una parte le loro giuste e disperate aspettative e dall’altra l’incapacità del governo Gentiloni di dare risposte almeno decorose alle loro esigenze e agli innumerevoli problemi di questo Paese.

Ora, però, il problema è di vedere se e in che misura la suddetta incapacità governativa sia realmente colpevole considerando che il suo quadro politico di riferimento era pur sempre ed è l’Unione Europea e la sua Banca Centrale. Ecco, forse il motivo prevalente del trionfo pentastellato e leghista è proprio la diffidenza crescente di tanta parte del popolo italiano verso quella che da molti osservatori viene considerata come l’ineluttabile ed irreversibile sudditanza dei nostri interessi nazionali alle logiche finanziarie internazionali e transnazionali di cui per l’appunto Unione Europea e BCE restano formidabili catalizzatori. E bisogna quindi interrogarsi se, prima Renzi, che molto tuttavia ha fatto per restituire centralità internazionale all’Italia, e poi Gentiloni, abbiano conseguito risultati realmente utili a favorirne una ripresa economica e un rilancio occupazionale significativo.

In ogni caso, la domanda ormai è un’altra: sarà possibile formare un governo? Con quali forze politiche e con quali programmi visto che, anche nel caso di un governo di destra, il programma economico del 5Stelle prevede una nazionalizzazione bancaria e il cosiddetto reddito di cittadinanza, che ora gli esponenti politici del Movimento si affannano comprensibilmente ma di nuovo opportunisticamente a rinominare e a riformulare, mentre quello di Salvini e Berlusconi è incentrato liberisticamente sulla flat tax e su una deburocratizzazione fiscale che possano incentivare il consumo e quindi un aumento di produttività e di ricchezza?

Anche in tema di sicurezza, i programmi dei due raggruppamenti sembrano molto distanti, in quanto leghisti e forzisti berlusconiani si oppongono all’immigrazione in quanto tale, sia pure con qualche concessione, mentre i pentastellati vorrebbero l’abolizione del reato di clandestinità mostrandosi anche incerti sulla gestione dei flussi e propendendo alla redistribuzione dei migranti piuttosto che allo loro espulsione, e inoltre nulla esprimendo circa la legittima difesa o il radicalismo islamico. Infine, se i leghisti (meno Forza Italia) vogliono ripristinare la leva militare e propugnano una politica estera più “muscolare” di quella attuale, i seguaci di Grillo e Di Maio non nascondono il loro antimilitarismo proponendo di tagliare le spese per l’industria bellica e un graduale anche se pur sempre ponderato disimpegno dalle missioni internazionali.

 

Aveva ragione Di Battista: gli “italiani sono molto rincoglioniti, un popolo strano”. 

 

 

Forse un accordo potrebbe essere raggiunto sul tema delle pensioni, ma è troppo poco perché un ipotetico o improbabile governo tra centrodestra e 5Stelle possa funzionare e soddisfare le primarie necessità del popolo italiano. L’unica cosa certa e politicamente inevitabile è che il PD dovrà assolutamente starsene all’opposizione per riprendere fiato, mettere a punto nuove idee e nuove strategie politiche ed economiche.

Vincenzo Granturco

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