Democratici da strapazzo!

Di riforme costituzionali, istituzionali ed elettorali nel nostro Paese si parla da alcuni decenni, da quando cioé si cominciò a capire che, senza una sostanziosa revisione dell’architettura costituzionale relativa al modo di funzionare del Parlamento, al ruolo e ai poteri del Governo, ai rapporti tra il primo e il secondo, ai rapporti istituzionali e di potere tra ordine giudiziario e ordine politico e più segnatamente tra attività giudicante della magistratura e attività decisionale dell’Esecutivo, al rapporto tra Capo dello Stato e Presidente del Consiglio, e infine al sistema elettorale proporzionale pensato con molta saggezza dai Padri costituenti in un particolare contesto storico-politico in cui era necessario ricostruire ab imis fundamentis la democrazia italiana dopo il lungo e tormentato periodo fascista, molto difficilmente ed imperfettamente si sarebbero potute garantire in Italia due condizioni essenziali della vita democratica: la stabilità del quadro politico e in particolare delle compagini governative di volta in volta chiamate ad esercitare il potere e la governabilità del Paese o meglio non una governabilità lenta, farraginosa, soggetta a continui condizionamenti parlamentari e giuridico-burocratici, ma una governabilità rapida ed efficace e quindi realmente capace di assumere decisioni immediate per questioni nazionali prioritarie e di dare risposte puntuali ed adeguate alle diverse problematiche inerenti la vita economica e sociale del popolo italiano.

Io ricordo ancora che in un comizio tenuto da Enrico Berlinguer nel corso degli anni ’70 a Cosenza, il leader comunista, nell’illustrare l’idea di “compromesso storico”, pronunciava queste parole: “noi vogliamo andare al governo con alcuni importanti partiti democratici borghesi non per dar luogo ad alleanze organiche con essi ma per liquidarli definitivamente”.images (87)La democrazia, per il Berlinguer non televisivo o giornalistico ma appassionatamente impegnato sulle piazze italiane, era o doveva essere l’anticamera del socialismo (non importa qui dire di quale socialismo), era il miglior sistema politico possibile non solo ai fini di una vita economica e sociale sufficientemente ordinata e proficua ma anche e soprattutto ai fini di quella presa del potere da parte del partito comunista che da solo avrebbe potuto finalmente e integralmente attuare tutti i suoi programmi.

Molti celebrano oggi Berlinguer come campione della democrazia repubblicana, e si può senz’altro riconoscere che di fatto per molti aspetti lo sia stato. Tuttavia, ho voluto riportare questo ricordo personale per evidenziare che Berlinguer, il Berlinguer per cosí dire “notturno”, non pensava alla democrazia come ad un valore in sé ma come ad un valore subordinato a quello di un partito politico vicino alle masse che, nell’acquisire gradualmente un’egemonia culturale sul piano nazionale, fosse sempre pronto a trasformarsi in un partito-Stato tatticamente accorto ma necessariamente portato a relegare le opposizioni in ambiti e ruoli politici sempre più marginali e ininfluenti sull’approvazione delle leggi dello Stato e sull’adozione delle politiche economico-finanziarie e fiscali con particolare riferimento al mondo del lavoro e al problema primario dell’occupazione.

Ecco: si può dire che le cose da allora, per molti versi, non sono cambiate. Ad eccezione della Democrazia Cristiana, che su posizioni rigorosamente centriste e moderate teneva molto a conservare sia pure ambiguamente gli equilibri esistenti tra le varie forze politiche del cosiddetto “arco costituzionale” e temeva  scossoni istituzionali troppo traumatici che avrebbero potuto compromettere le sue non sempre felici politiche interclassiste, i Craxi, i vari leaders della sinistra parlamentare succedutisi dalla fine del PCI sotto nuove sigle e in nuove formazioni politico-parlamentari, i Berlusconi, i Bossi, i Grillo, non hanno fatto altro che coltivare segretamente l’idea berlingueriana di una democrazia non come fine ma come mezzo per perseguire fini autoritari o dittatoriali sia pure diversamente motivati.

Ovviamente, non si può mancare di sottolineare la profonda differenza di sensibilità umana e di cultura politica intercorrente tra il leader del partito comunista italiano e i suoi epigoni qui di seguito citati, fermo restando che diverse e non uniformi sarebbero state e sono le stesse personalità di questi ultimi.

Il che comporta che, se per Berlinguer la democrazia implicava necessariamente una prevalenza almeno relativa del pubblico sul privato, del lavoro sul capitale, della giustizia sociale sul profitto individuale, della distribuzione sulla produzione, per gli altri esponenti politici nominati, uno più autoritario dell’altro e uno più ostinatamente fissato dell’altro nel voler riformare profondamente lo Stato italiano in senso totalitario, la democrazia può venir coniugandosi molto disinvoltamente e di volta in volta con i più disparati modelli economici e sociali purché ad essere garantito sia l’esercizio del potere personale e il facile conseguimento di vantaggi e privilegi privati per sé e per gli esponenti più influenti del proprio o dei propri gruppi politici di appartenenza.

Ma il punto che qui si vuole fissare è la mentalità ugualmente autoritaria e dittatoriale, nonché la concezione meramente demagogica e strumentale, spesso espressa in forme becere e triviali, di due leaders ancora viventi dei giorni nostri come Berlusconi da una parte e Grillo dall’altra, che in questo momento storico si trovano ad esercitare una funzione politico-parlamentare disgraziatamente e ugualmente importante anche se per motivi opposti rispetto al governo Renzi e al suo testardo progetto di riformare il Senato e la legge elettorale, la pubblica amministrazione e il mondo del lavoro. Berlusconi è con Renzi in questo momento solo perché ritiene di poter trarre dei vantaggi molto concreti da un piano generale di riforme, che non riguarda solo l’organizzazione dello Stato e il mondo del lavoro ma si estende anche al delicatissimo tema della giustizia in senso giudiziario, qual è quello che in parte i due leaders concordarono tempo fa nella sede del PD; Grillo, dopo aver tentato inutilmente di dimostrare pubblicamente la non disponibilità renziana al dialogo e alla trattativa per mezzo di incontri da lui chiesti e ottenuti tra una delegazione capeggiata dallo stesso Renzi e una delegazione del Movimento 5 Stelle, ha dovuto gettare alla fine la spugna per la cordiale rocciosità argomentativa opposta dal leader PD ai delegati pentastellati ai quali non resta altro da fare che ritornarsene in parlamento con un pugno di mosche.images (84)

Il tentativo, peraltro scomposto e scopertamente strumentale, di neutralizzare o rallentare l’incedere tumultuoso di Renzi che, sia per ciò che concerne la riforma del Senato sia per ciò che concerne la possibilità di varare una nuova legge elettorale, potrebbe fare molto male al partito di Grillo, non poteva che fallire: vuoi per le continue parole di scherno indirizzate sul suo blog al presidente del Consiglio, vuoi anche e soprattutto perché Grillo e i suoi parlamentari sono troppo inferiori a Renzi sia per visione politica d’insieme, sia per competenza economica e giuridica, sia per capacità tattica e strategica di rapportarsi all’Europa e al problema di come cambiarla in funzione dei legittimi interessi nazionali e popolari, sia per dinamicità ideativa e operativa. Ma anche Berlusconi, una volta che vengano attuate le riforme di cui Renzi ha bisogno per rendere quanto più possibile rapida ed efficace la sua azione di governo, potrebbe scoprire di essere stato sempre e solo una pedina nelle mani dell’ex sindaco di Firenze la cui massima ambizione personale consiste senza alcun dubbio nel voler assurgere ad artefice massimo di un cambiamento politico-istituzionale ed economico-sociale epocale dell’Italia democratica e repubblicana contemporanea.

Da questo punto di vista, anche Renzi tende a ricalcare le orme di Enrico Berlinguer. Anche lui infatti da cattolico un po’ sui generis, come il comunista sardo, non esita oggi, sia pure di soppiatto, ad usare la democrazia per poter ridimensionare quel parlamentarismo della chiacchiera e delle cricche di potere che troppe volte negli ultimi vent’anni ha impedito ai governi, ammesso che ne fossero capaci, di prendere decisioni importanti e necessarie a rallentare quell’emorragia economico-finanziaria che ha fatto crescere a dismisura il nostro debito pubblico indebolendo altresí il potere contrattuale dell’Italia con i suoi partners europei.

Rispetto a Berlinguer forse Renzi ha l’attenuante di voler riformare un Senato non solo funzionalmente e sostanzialmente ripetitivo in rapporto alla Camera dei deputati ma oggi, molto più di decenni or sono, costituito da personale politico in gran parte raccogliticcio, improvvisato, umorale, culturalmente approssimativo e superficiale, sprovveduto e insipiente; tanto che, obiettivamente, ci si può chiedere chi veramente potrebbe rimpiangere domani la mancanza di un Senato cosí insignificante e inutile come quello che ancora abbiamo. In cosa mai consisterebbe il temuto vulnus alla democrazia?

Perciò Renzi, che in prospettiva punta a formare un governo interamente formato da uomini e donne del suo partito, non è probabilmente un democratico da strapazzo come lo sono i Berlusconi e i Grillo che invocano la democrazia solo ad uso e consumo personale, anche perché, a differenza di quest’ultimi, gli ideali democratici egli li attinge non già da una conoscenza sommaria degli elementi costitutivi della democrazia ma da una consapevole riflessione sulla grande tradizione del cattolicesimo democratico del ’900.

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Questo, certo, non lo pone aprioristicamente al riparo da scelte azzardate o rischiose di cui un giorno per primo potrebbe pentirsi. Tuttavia, in ultima analisi, se egli debba essere annoverato tra i democratici da strapazzo oppure tra i veri democratici che avranno talvolta conferito un orientamento autoritario alla prassi democratica solo per neutralizzare i nemici del bene comune e per acquisire maggiore credibilità dal punto di vista politico internazionale, potrà accertarsi solo sulla base dei risultati che saprà o non saprà conseguire e del futuro tenore di vita dei cittadini italiani.


 

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