Quale politica religiosa? Nè Mattarella, né papa Francesco

di Tommaso Chiaromonti

imagesAl Meeting di “Comunione e Liberazione” il presidente Mattarella ha affermato che, anche al fine di sconfiggere il terrorismo contemporaneo e di salvaguardare gli Stati democratici occidentali, «il dialogo tra le fedi è oggi una necessità storica, è una condizione per conquistare la pace. Il dialogo tra le fedi è un atto di umiltà, che può riconciliarci con la storia dell’uomo. E’ questo un tema di grande valore spirituale, che ha fortissime implicazioni politiche e sociali. Dialogo tra credenti di religioni diverse, dialogo sul destino dell’uomo tra credenti e non credenti: ecco un terreno sul quale la cultura europea può dare, ancora una volta, un apporto straordinario». Ora, non per essere pignoli, ma solo per contribuire a chiarire un punto di fondamentale importanza nel quadro delle relazioni tra popoli e civiltà, nel messaggio di Mattarella due concetti molto diversi fra loro tendono ad accavallarsi e a confondersi. Infatti, una cosa è parlare di “dialogo tra le fedi”, altra cosa è parlare invece di “dialogo tra credenti di religioni diverse”. Almeno per quanto riguarda i cristiani, infatti, è del tutto lecito e anzi doveroso che essi, nelle ordinarie dinamiche della vita, dialoghino sempre con gli altri e con chiunque si faccia oggettivamente prossimo nei loro confronti, a prescindere dalle loro convinzioni personali, dalla loro cultura o religione. Un sorriso, una mano d’aiuto, un atto di comprensione e di generosità, in linea di principio, non possono essere rifiutati a nessuno: questo insegna Gesù.

imagesMa ben diversa è la situazione in cui si ritenga che tra i doveri cristiani vi sia anche quello di dialogare sul piano religioso e teologico con chicchesia, islamici, ebrei, indù e via dicendo, ritenendo in tal modo di contribuire concretamente non solo alla ricerca e all’approfondimento della verità in senso generale ma anche e soprattutto allo sviluppo di relazioni più serene e amichevoli tra popoli e individui di diverso credo religioso. E qui i cristiani e cattolici coerenti non possono che dissentire, perché sanno che il loro dovere è semplicemente quello di testimoniare la loro fede con parole e opere, non già di dialogare per condividere illusoriamente improbabili punti teologici o prospettive di vita che sono di fatto dottrinariamente incompatibili.

La storia degli ultimi quattordici secoli ha ampiamente dimostrato che la cultura europea si è dovuta sempre e necessariamente difendere, talvolta anche con le armi, dall’intolleranza e dai progetti islamici di conquista dell’Occidente cristiano, e in questo senso chi ancora si attarda ad equiparare la violenza islamica alla cosiddetta violenza cristiana vuole solo sollevare polveroni in cui non sia più possibile distinguere tra vero e falso, tra giusto e ingiusto, tra civiltà e inciviltà. Certo, nessuno intende negare che la storia cristiana abbia conosciuto momenti di decadenza morale, di corruzione spirituale, e forme di violenza del tutto gratuite e vergognose, e che d’altra parte l’islam abbia prodotto capolavori di ingegno artistico, scientifico e culturale, ma questa elementare consapevolezza non implica affatto che i valori religiosi evangelico-cristiani e i presunti valori religiosi islamici si equivalgano e avrebbero pari dignità.

Sostenere una cosa del genere è solo da ignoranti, da ingenui, da illusi, o anche da astuti e consapevoli agenti del male, è sostenere una cosa funzionale non alla pace ma ad un conflitto sempre più esasperato nel mondo. In ogni caso, è da irresponsabili inconsapevoli affermare che il dialogo interreligioso sarebbe una necessità storica e una condizione per conquistare la pace, per pacificare i popoli e assicurare le magnifiche sorti e progressive della civiltà umana.

La verità è solo Cristo, la pace è solo in Cristo, che peraltro è venuto a portare la spada, ovvero non un comodo ed ipocrita quietismo ma la lotta inesausta contro la menzogna e il male e una lotta energica ma pacifica se riguardante i singoli cristiani e tuttavia non disgiunta da una lotta anche fondata sull’uso della forza se riguardante invece la difesa della vita e della dignità di interi gruppi di persone inermi e innocenti.

Per un cristiano, è molto più probabile che “il dialogo tra le fedi” sia di fatto un atto di viltà che non un atto di umiltà. Qui, a mio avviso, noi cattolici, spesso senza rendercene conto, rischiamo di lavorare non per la salvezza ma per la distruzione del mondo. Non solo Mattarella, ma lo stesso papa Francesco sembrano essere talvolta più al servizio delle loro convinzioni personali, pur maturate in una lunga e meditata consuetudine di fede, che non al servizio della fede tout court quale appare oggettivamente fondata sulla Parola di Dio.

Eppure, sarebbe sufficiente ricordarsi che né gli ebrei, né gli islamici, né altri, riconoscono Cristo come Figlio di Dio e come Dio tout court, per escludere qualunque possibilità di dialogo religioso. Che senso ha infatti dialogare con uno che ancora è in attesa del Messia o con un altro che fa di Maometto il superatore di Gesù Cristo? Che cosa si può pretendere di guadagnare da un siffatto dialogo? Francamente, non è pensabile che Mattarella e il papa non abbiano letto con sufficiente attenzione il Corano. E allora? E allora c’è da ribadire solo il concetto che i cristiani europei e occidentali non devono abbassare la guardia: hanno sí il dovere di convivere con gli immigrati islamici che fuggono dalle loro terre devastate dall’odio e dal fanatismo, ma sapendo di dover continuare a testimoniare la propria fede in Cristo a testa alta senza temere di essere tacciati di intolleranza e fondamentalismo dalla grancassa massmediatica che affida tutte le possibilità della propria sopravvivenza alla capacità di intorbidire le acque all’infinito per disorientare le coscienze e distogliere l’umanità dal compito primario di perseguire le sue reali finalità etiche e religiose.

Tommaso Chiaromonti

Lascia un commento