Zelensky, la guerra e gli ebrei

L’eroico presidente ebreo dell’Ucraina, Volodymyr Zelens’kyj, comico di professione, mentre sta onorando magnificamente il mandato ricevuto dal suo popolo, con un inedito e sorprendente spirito di resistenza nei confronti dei nazisti russi del terzo millennio, in realtà, suo malgrado, riesce anche a ridicolizzare gran parte del mondo politico internazionale che assiste in modo sostanzialmente ipocrita e passivo al massacro in corso nell’est europeo.

Va subito detto che sono davvero pochi i Paesi che escono moralmente illesi dai frequenti interventi e appelli radiofonici e televisivi di aiuto immediato e concreto rivolti dal premier ucraino all’intero emisfero occidentale: tra essi c’è indubbiamente l’Italia che, benché retta da un governo per più aspetti criticabile, e a differenza di una tradizionale linea di politica estera italiana improntata a criteri di grande prudenza ed equidistanza, in questo caso non ha esitato a schierarsi apertamente a favore del popolo ucraino, ben al di là della condivisione delle sanzioni europee antiPutin, sfidando in pratica l’arroganza minacciosa e criminale della Russia nazista, molto più che zarista (perché la Russia zarista fu più illuminata e liberale della Russia comunista di Lenin e soprattutto di Stalin), di un vecchio esponente del KGB, sempre più affetto da un delirio di onnipotenza ancor più amplificato dalla probabile patologia tumurale che molti osservatori gli attribuiscono.

L’Italia è, ad oggi, l’unico Paese europeo insieme a Polonia, Cecoslovacchia e Slovenia, ad essere stato dal premier ucraino elogiato apertamente e ad essere stato ringraziato con toni particolarmente commossi non solo per la grande e immediata ospitalità offerta a diverse migliaia di rifugiati ucraini, ma anche per le armi inviate, insieme a quelle di tutta l’Unione Europea, ai combattenti ucraini, e per le ferme, intrepide e reiterate accuse di genocidio indirizzate a Mosca. Dal punto di vista di chi scrive, Mosca non ha alcuna valida ragione da far valere legittimamente a sostegno del suo militarismo oltranzistico in questo drammatico frangente della storia europea e mondiale. Le ragioni geopolitiche, motivi di sicurezza legati alla garanzia che la NATO non ponga basi militari in Ucraina, proprio alla frontiera con i russi, il diritto storico al possesso della Crimea e ad avere assicurato uno sbocco sul Mar Nero: tutto quel che si vuole, ma, se e quando un popolo ormai indipendente dalla ex sfera d’influenza russo-sovietica decide di darsi una determinata forma di stato, di organizzare democraticamente le proprie istituzioni politico-giuridiche e di interloquire proficuamente a tutti i livelli con le potenze occidentali, non c’è altro da fare che rispettarne la volontà e gli indirizzi politici, senza che se ne debba per forza ipotizzare una volontà di aggressione ai danni del vasto e potente continente russo.

Una reazione militare, persino una invasione russa dell’Ucraina, sarebbe stata comprensibile se, di fatto, i confini della Russia fossero già stati intaccati militarmente, non a prescindere da un qualsiasi e concreto atto aggressivo. Seguendo la logica putiniana, il mondo sarebbe destinato a diventare in modo irreversibile, come in parte già avviene, una polveriera pronta ad esplodere da un momento all’altro, e questo non è né razionale, né etico, né politicamente ammissibile. Lo scrivente la pensa così, ed è per questo che non capisce certi uomini di Stato israeliani che hanno ritenuto di stigmatizzare duramente le parole rivolte da Zelensky al parlamento d’Israele, paragonando quello che sta accadendo oggi in Ucraina all’Olocausto, allo sterminio del popolo ebraico durante la seconda guerra mondiale: «La Russia vuole distruggere tutto ciò che rende ucraini gli ucraini», cioè la loro stessa identità etnico-culturale, questo ha detto il presidente ucraino, che ha poi aggiunto che Putin sta in effetti pensando a quella stessa “soluzione finale” che i nazisti posero in atto contro gli ebrei; ecco perché «uso il confronto con la vostra storia».

Questo paragone ha indignato i capi politici israeliani, che hanno accusato Zelensky di aver “rasentato il negazionismo”, disconoscendo la specificità dello sterminio antiebraico, sterminio da essi ritenuto unico e inconfondibile rispetto allo sterminio praticato in qualunque altra fase della storia umana e in qualunque altra parte del mondo. Chi scrive non è antisemita per il semplice fatto che è un cristiano, ovvero seguace di quell’ebreo Gesù, Signore, Salvatore e Giudice di tutta l’umanità, che gran parte del popolo ebraico di circa duemila anni or sono avrebbe appeso ad una croce, dando luogo all’olocausto più inumano e sacrilego dell’intera storia umana. Gli ebrei si sentono sempre speciali, come popolo eletto, come popolo perseguitato, come popolo che ha diritto ad occupare terre da cui mancavano da circa venti secoli, come popolo a cui deve essere riconosciuto da tutto il mondo il diritto a sparare contro qualunque popolo di cui sia dato percepire l’ostilità e ad uccidere chiunque sia percepito come nemico. Ma l’ebreo Zelensky ha ragione, come ha ragione tutte le volte che chiede un aiuto più ravvicinato, più concreto e stringente, a tutti i popoli civili del mondo, ivi compreso il popolo ebraico che più di altri popoli dovrebbe mettersi al suo fianco.

Può darsi che questo coraggioso uomo politico e patriota ucraino non sia esente da limiti, difetti, errori, colpe e responsabilità, ma non c’è dubbio, almeno in un’ottica cristiana, che se un fratello, se una comunità o un popolo, cioè un determinato “prossimo” individuale o collettivo, sono aggrediti non solo ingiustamente ma anche in spregio a regole elementari di umanità e civiltà, devono essere aiutati non con semplici buone intenzioni, di cui è notoriamente lastricata la via dell’inferno, ma con atti generosi e, se necessario, anche particolarmente costosi. La Chiesa di Cristo oggi è ucraina, vicino agli ucraini, anche se tra essi molti dovessero essere i peccatori non desiderosi né del perdono, né della pace di Cristo.   

Francesco di Maria

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