Idee cristiane sulla guerra

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Sorprende la presenza di una diffusa ignoranza sia tra i cattolici colti che tra quelli incolti del XXI secolo in materia di applicazione dei precetti biblici a questioni particolarmente delicate della storia degli uomini, come la guerra e la pace, l’amore per il prossimo, la sessualità legittima e la sessualità abnorme o perversa, la natura e il significato del matrimonio, l’aborto o le pratiche preposte ad impedire la procreazione, la liceità o illiceità del divorzio. Non che si abbia a che fare con tematiche per le quali esistano biblicamente soluzioni semplici o scontate, ma il fatto che, dopo oltre duemila anni di storia cristiana, di storia della Chiesa e di cultura cristiana, di civiltà cristiana, non si riesca troppo spesso a venirne a capo, a proporne letture o interpretazioni adeguate e almeno tendenzialmente univoche alla luce della sapienza biblico-evangelica, non può non costituire motivo di profondo rincrescimento all’interno di una comunità cattolica in cui ancora su troppe cose regnano contrasti e discordie francamente ingiustificate1. Continua a leggere

Togliatti e i cattolici

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MOSCOW, RUSSIA – 1930: Palmiro Togliatti – Italian politician and leader of the Italian Communist Party (1927-1964), member of the Communist International.

La “questione cattolica” attraversa da cima a fondo, da Gramsci a Berlinguer, la storia intellettuale e politica del Partito Comunista Italiano, anche se non è mancato chi tale storia abbia fatto iniziare, nel senso più nobile e significativo, a partire dal 1944, cioè al ritorno di Togliatti da Mosca e con la “svolta di Salerno” da lui promossa su consiglio di Stalin, quando il partito, per opera sua e a seguito della  sua ventennale riflessione sul fascismo, sarebbe venuto acquistando una dimensione nazionale oltre che una solida organizzazione interna (Togliatti, i cattolici, l’occidente. La lunga lezione della svolta. Intervista di A. Fabozzi a Luciano Canfora, in “Il Manifesto” del 21 gennaio 2021. L’intervista fa riferimento al libro, non di rado tendenzioso, di Canfora, La metamorfosi, Roma-Bari, Laterza, 2021). Egli avrebbe individuato lucidamente nella necessità di un’alleanza col mondo cattolico italiano l’aspetto centrale, il fulcro della politica comunista negli anni del dopoguerra, perché era evidente che, senza una disponibilità dei cattolici ad accettare la presenza comunista nella vita politica italiana, non solo non sarebbe stato possibile rifondare lo Stato in senso democratico ma difficilmente si sarebbe potuto uscire in modo non ulteriormente traumatico dalla guerra civile divampata negli ultimi anni di vita del regime fascista. Continua a leggere

La democrazia tra antifascismo di maniera e fascismo psicologico e morale

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Secondo me, Giorgia Meloni non dovrebbe mai preoccuparsi degli epiteti che spesso i suoi detrattori le riservano e delle loro accuse più o meno velate di fascismo mai rimosso o superato, perché in realtà ella, da questo punto di vista, resta accomunata a un personaggio come Alcide De Gasperi, oggettivamente estraneo a qualunque compromissione col fascismo, ma definito appunto “fascista” da Palmiro Togliatti, a seguito della decisione della Democrazia Cristiana di rompere l’alleanza di governo con i comunisti e quindi di porre fine al governo di unità nazionale per dare vita ad una nuova fase, nota come centrista, di governo. Se De Gasperi e il suo partito poterono sopportare attacchi così ingiusti e ignobili, a maggior ragione l’attuale Presidente del Consiglio potrebbe considerare un grande motivo di onore personale il sentirsi accomunata oggi al destino di quello che molti giudicano come uno dei più grandi statisti della storia d’Italia e d’Europa. Certo, il sentirsi dare del fascista da figure sciatte e insignificanti come il letterato Scurati e molti esponenti attuali del Partito Democratico è molto meno significativo dell’offesa arrecata nel ’47 a De Gasperi da Togliatti e dal suo partito, ma il poter condividere con uno dei numi tutelari dell’Italia costituzionale e repubblicana lo stesso destino di persona vilipesa dagli avversari politici, è comunque un buon motivo per non demoralizzarsi e per continuare ad impegnarsi nel miglior modo possibile al servizio degli interessi nazionali. Continua a leggere

Antonio Scurati e l’ossessione della visibilità politico-mediatica

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A me la gente supponente e stolta non è mai piaciuta, pur essendo anch’io, come ogni essere umano, “un legno storto”. Sono tentato di pensare che Antonio Scurati, pur celebratissimo da media e confraternite giornalistico-letterarie di sconosciuto spessore morale e intellettuale per quanto disseminate in alcuni particolari ambienti culturali, possa farne parte a pieno titolo. Se accademici come Luciano Canfora e Donatella Di Cesare rivendicano per se stessi, in quanto “intellettuali”, non solo la facoltà di censurare offensivamente una donna politica come Giorgia Meloni, inducendo alcuni osservatori a ritenere che ciò sia dovuto esclusivamente ad un incontrollato e livoroso sentimento di invidia per i sensazionali riconoscimenti internazionali riscossi in poco tempo da quest’ultima in qualità di capo del governo italiano, ma anche una speciale indennità giudiziaria rispetto a procedimenti penali intentati contro di essi, uno scrittore come Scurati, il cui valore intellettuale ed etico-civile non può ritenersi universalmente acclarato solo perché riconosciuto da pur estese corporazioni letterarie, presume di avere una penna così incisiva, tagliente e destabilizzante, da costringere addirittura il governo in carica a “silenziarne il pensiero”.   Continua a leggere

Luciano Canfora, teorico della Gestapo rossa

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A differenza di Giorgia Meloni che, con le sue sole forze, è riuscita a creare dal nulla un partito politico e a farne, in pochi anni, il principale partito politico italiano e di governo, lo storico Luciano Canfora, autore di brillanti e non sempre indiscutibili saggi di storia antica e contemporanea, nell’unica occasione in cui ha tentato di essere eletto nel parlamento europeo per i comunisti italiani (PdCI), cioè nelle elezioni europee del 1999, è andato incontro ad un clamoroso insuccesso. Nella sua vita di storico e di semplice cittadino si è costantemente distinto per aver tentato di ridimensionare fortemente le responsabilità di Stalin, la cui dittatura definiva nel 1994 altamente positiva per l’URSS, nei crimini da questi commessi in tale paese e nell’ambito della stessa storia europea del ‘900. Continua a leggere

Il cristianesimo tra critica gramsciana e nichilismo contemporaneo

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Per Antonio Gramsci, il cristianesimo, prima che diventasse l’ideologia del potere imperiale romano e struttura di potere nel Medioevo, era stato un grande movimento “di sollevazione delle masse popolari”, capace di sopportare lunghi periodi di clandestinità e persecuzione e di innescare al tempo stesso un vero e proprio processo rivoluzionario molecolare di popolo che sarebbe sfociato in una reale “riforma intellettuale e morale” dalla quale avrebbe avuto origine  «la creazione di un nuovo e originale sistema di rapporti morali, giuridici, filosofici e artistici», (A. Gramsci, Il Partito Comunista, in L’Ordine Nuovo, Torino, Einaudi, 1975, pp. 154 sgg., pp. 253-254). Alla luce di questo importantissimo riconoscimento storico, la critica antagonistica gramsciana nei confronti della religione cristiana e della Chiesa, dovuta all’«antitesi insanabile» tra trascendenza cristiana e immanenza marxiana, non si sarebbe mai trasformata in intolleranza ideologica o in anticlericalismo, anche in considerazione del fatto che la classe operaia, costituita sia da individui non credenti che da individui credenti, non avrebbe dovuto commettere l’errore di dividersi e di infrangere la sua unità politica nella decisiva lotta contro la borghesia capitalistica (G. Semeraro, I subalterni e la religione in Gramsci. Una lettura dall’America Latina, in “International Gramsci Journal”, 2, 2016, p. 255 e sgg.). Continua a leggere

Aleksandra Kollontaj tra marxismo “irregolare” e femminismo militante

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Che il marxismo abbia contribuito alla storia del socialismo e alla storia del femminismo, non c’è dubbio, come d’altra parte ha contribuito, sotto aspetti non irrilevanti, alla storia sociale e culturale del genere umano, ma il problema è di riconoscere, contrariamente a quanto sembra spesso accadere  nel relativo dibattito, che, nello specifico, la storia del socialismo e quella del femminismo sono storie diverse, spesso antitetiche, in quanto la prima è il portato di una teoria della rivoluzione pensata e proposta nel nome e per conto di un’umanità e di una razionalità “liberate” e “disalienate” in cui uomini e donne si trovino perfettamente accomunati sia pure sulla base di una naturale relazione dialettica peraltro intercorrente tra tutti gli esseri umani, mentre la seconda viene sviluppandosi non solo e non tanto come espressione di un antagonismo economico e socio-culturale del genere femminile, quanto soprattutto come espressione di un antagonismo femminile di natura psicologica e sessuale nei confronti del genere maschile o, comunque, alternativo a modelli socio-culturali di tipo, per così dire, “tradizionali”1. Ciò non toglie che, almeno nella prima metà del ‘900, alcune grandi personalità femminili come Clara Zetkin, Rosa Luxemburg, Inessa Armand, Sylvia Pankhurst, e appunto Aleksandra Kollontaj, si sforzassero lealmente, sia pure con esiti diversi da caso a caso, di rendere funzionale il loro femminismo, formalmente diverso da forme di femminismo liberale, ad un’idea di comunismo non afflitto da forme latenti di rivendicazionismo e conflittualità di genere. Continua a leggere

Per una filosofia della carità

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Il fondamento logico ed etico-teologico del concetto cristiano di carità è dato dall’incarnazione e dall’umanizzazione di Dio, dal fatto che la divinità si svuota dei caratteri di assolutezza, onnipotenza, eternità e trascendenza, pure ad essa riconosciuti dal giudaismo e dal cristianesimo ortodosso, configurandosi per ciò stesso come principio di mitezza, di affabilità, di carità. Dio, quindi, più che sovrannaturale e intransigente manifestazione di giudizio e di giustizia in rapporto al mondo e all’uomo, esprime la sua vicinanza, la sua prossimità, la sua amicizia, in sostanza la sua carità verso l’umanità finita, debole e sofferente. La stessa rivelazione, pertanto, consiste essenzialmente nella rivelazione di Dio come pura e semplice carità. Questa era l’interpretazione filosofica che del cristianesimo, circa venticinque anni or sono, dava Gianni Vattimo, teorico del pensiero debole (G. Vattimo, Credere di credere. E’ possibile essere cristiani nonostante la Chiesa?, Milano, Garzanti, 1998. Una provocazione per la riflessione teologica è stata definita l’intera elaborazione filosofica di Vattimo, tra gli altri, da C. Dotolo, La teologia fondamentale davanti alle sfide del “pensiero debole” di G. Vattimo, Roma, LAS, 1999, che interagisce criticamente con l’analisi corrosiva del filosofo piemontese, anche se non sostenuta da una adeguata conoscenza del pensiero filosofico e teologico cristiano-cattolico), senza tuttavia rendersi conto di proporre un approccio interpretativo molto limitativo e deficitario, perché fondamentalmente emotivo e sentimentale, al complessivo e articolato significato della Parola di Dio e del messaggio evangelico. Continua a leggere

Giovanni Gentile oggi: filosofia, politica, religione

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    1. L’apologia idealistica del pensiero operata da Giovanni Gentile non appare destinata ad avere un destino storico-filosofico di gloria per la semplice ragione che ciò che il teorico dell’attualismo è venuto esaltando non è il pensiero inteso nella vasta gamma delle sue potenzialità critiche ma una semplice, univoca e dogmatica forma di pensiero, verosimilmente incapace di rendere conto della proteiforme complessità della realtà e del sapere1. Ed è molto difficile che il pensiero gentiliano, non necessariamente a causa dell’ostinata adesione di Gentile al «partito dei vinti della storia», possa ancora influire sulla cultura italiana del XXI secolo e dei secoli a venire nella stessa misura in cui, godendo di una posizione politica di assoluto e preconcetto privilegio, potette influire sulla cultura nazionale dei primi decenni del secolo scorso2.Tuttavia, esso merita di essere ripensato criticamente perché se, sotto l’aspetto logico-linguistico-metodologico, appare irrimediabilmente anacronistico e inutilizzabile, e sul piano politico e ideologico il suo orientamento non può più essere equivocato3 dal punto di vista pedagogico, etico-civile e filosofico-religioso, appare ancora ricco di suggerimenti, spunti, provocazioni utili a rideterminare il grado di validità o di insufficienza teorico-pratica e spirituali di alcuni fondamentali paradigmi della vita civile e culturale di questo tempo. Continua a leggere

L’idea di nazione e di governo patriottico in Antonio Gramsci

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Sin dal 1928, quando viene condannato dal tribunale fascista a circa vent’anni di carcere, Gramsci è un comunista antidogmatico e democratico, convinto che il verbo comunista dovesse respirare con le anime di tutte le sue componenti storiche, di tutte le forze teorico-pratiche che vi si riconoscessero. Il comunismo, per lui, aveva nel liberalismo un presupposto imprescindibile, nel senso che il suo potenziale rivoluzionario, sul piano sociale ed economico, si sarebbe potuto pienamente esplicare solo ove gli ordinamenti giuridico-politici ed istituzionali liberali avessero già costituito un dato di fatto. Era tuttavia intransigente sulla fedeltà da prestare ai princìpi e ai fini programmatici del partito, ai valori etico-politici che ne erano a fondamento, e sulla integrità e coerenza morale con cui occorreva interpretare il proprio ruolo di militante rivoluzionario. La grande intelligenza teorico-politica, l’ingegnosa duttilità tattico-strategica,  si coniugavano in lui perfettamente con l’appassionata e coraggiosa vocazione missionaria ad onorare e a dare compimento, a qualunque costo, alla propria fede politica e alla propria causa di liberazione umana. Continua a leggere