Renzi, gli oppositori e il futuro dell’Italia

Contrariamente a quanto più volte dichiarato da alcuni faziosi pontefici massimi del giornalismo televisivo italiano, non è vero che Renzi, nei tre anni in cui ha governato, abbia usufruito della servile benevolenza della maggior parte della stampa cartacea e televisiva. Basta andare a guardare i titoli dei giornali del 2015 o certi commenti televisivi per rendersi facilmente conto come già allora gran parte della stampa nazionale, dei partiti, leaders politici e sindacali, membri dello stesso PD, intellettuali e via dicendo, si trovassero felicemente coalizzati contro il giovane parvenu fiorentino. Già allora era un bel tiro al piccione anche se il piccione, almeno esteriormente, dimostrava di sapersela cavare abbastanza con la sua divertita disinvoltura e, soprattutto, con l’enunciazione di programmi di governo, probabilmente non in tutto e non sempre da tutti condivisibili ma comunque ben articolati e apparentemente idonei ad incidere positivamente sulla statica situazione economica e sociale del Paese.

Dal 2015 alle sue recenti dimissioni, molti hanno continuato a criticare e dileggiare Renzi, quasi pregiudizialmente e con toni costantemente astiosi, nella sua opera di governo che però ad un molto cospicuo numero di cittadini mediaticamente invisibili è apparsa realmente incisiva, in modo particolare per un nuovo ruolo e un accresciuto potere contrattuale esercitati  dall’Italia in Europa e nel mondo, anche se non priva di limiti o di provvedimenti decisamente sbagliati (vedi per esempio le cosiddette unioni civili), che al momento opportuno (vedi referendum costituzionale) in casa cattolica avrebbero pesato molto negativamente.

Ora, che la personalità di Renzi non sia particolarmente conciliante ma piuttosto divisiva, è senz’altro vero, giacché non rifugge quasi mai dalla polemica e dallo scontro diretto, dalla battuta a distanza o viceversa da taluni silenzi irritanti e provocatori, cose che in politica, specialmente nei momenti difficili, spesso si pagano ma possono anche risultare efficaci e vincenti. Quindi, si può anche dire che in parte il “tutti contro Renzi” sia stato Renzi stesso a cercarselo, ma, poiché alla fine il giudizio dovrebbe riguardare i risultati di un’attività di governo, non c’è dubbio che, senza per questo voler sostenere che il governo Renzi abbia conseguito risultati sensazionali, l’antirenzismo deve essere considerato, anche al di là del pubblico relativamente ristretto degli addetti ai lavori, molto più come frutto di giudizio prevenuto e superficiale che non come esito inevitabile di una rigorosa e oggettiva analisi dei fatti.

D’altra parte, si può davvero ritenere che, tra i leader italiani di opposizione che a torto o a ragione oggi contano in Italia, si abbia a che fare con personalità più miti e misurate, più sobrie e modeste, più equilibrate e pacifiche, di quella renziana? I nomi, solo per farne alcuni, sono quelli di Grillo, Di Battista o Di Maio, quelli di Salvini e Berlusconi,  di Fratoianni o Vendola: li avete presenti, sí? Tutti individui che, di certo, oggi non darebbero lo stesso senso di fiducia dato da Renzi alle masse popolari medioalte nei suoi tre anni di governo e che ancora meno fiducia riuscirebbero a trasmettere da ipotetiche posizioni di governo ai ceti più poveri e alle masse giovanili, nonostante in quest’ultima direzione gli atti politici renziani siano risultati insufficienti e certo suscettibili di integrazioni oltremodo consistenti.

Ma, si dice e si legge, gli oppositori di Renzi, i suoi critici più acuminati, sarebbero proprio molti suoi compagni di partito anche dopo la fuoruscita dal PD della ex minoranza ideologica di Bersani, Speranza e Enrico Rossi: si pensi a Emiliano, Cuperlo, Fioroni, Andrea Orlando, Franceschini, Letta, Cirinnà e via dicendo, che insieme potrebbero riuscire a defenestrare Renzi e a dare una diversa leadership al PD. Certo, ma qui più che mai le critiche o le perplessità sono dovute a quella tacita ma smodata sete di comando, dalle forme molto diversificate ma non per questo meno reale e straripante, che affligge nascostamente le persone elencate ( e quanti ad esse si richiamano) che però, francamente, unite tutt’insieme, non raggiungerebbero ancora neppure la metà del valore intellettuale e politico espresso da Matteo Renzi.

Vorrebbero forse costoro derenzizzare il PD fino a farne qualcosa di simile a quella cosa morta, monotona, burocratica e insignificante che era stato il PD prima di Renzi? Si accomodino pure e il PD tornerà, nel migliore dei casi, al suo storico 15-20% di voti. Nel migliore dei casi, perché nel frattempo Renzi, consapevole di poter contare su un bacino elettorale molto ampio che lo identifica con il PD, potrebbe anche decidere di farsi un partito tutto suo per tentare di svuotare quasi del tutto, con buone probabilità di successo, le casse elettorali e politiche del PD. In quel caso, chi parlasse di partito di Renzi, di partito della nazione a conduzione renziana, non sarebbe più ricattabile e, finalmente, potrebbe forse aprirsi un capitolo veramente nuovo della travagliata storia d’Italia. Ma resta intanto la domanda oggi più attuale: è davvero saggio, per il futuro del nostro popolo, impedire a Renzi, ovvero a colui che, con tutto il rispetto per il volitivo Gentiloni, rappresenta l’espressione più avanzata dell’odierna intelligenza politica italiana, nonostante la sua incompiuta valorizzazione dell’elettorato cattolico?

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