Lettera aperta di un peccatore ai vescovi sardi e ai vescovi italiani

Come mai i vescovi della Sardegna, con a capo il presidente della CEI regionale mons. Antonello Mura, si sono risentiti e hanno protestato nei confronti del governatore Christian Solinas, dopo che questi ha giustamente ritenuto di autorizzare la ripresa delle sante messe sull’intera isola a partire dal 4 maggio ultimo scorso? Solinas, segretario e senatore del Partito sardo d’Azione, governa la Sardegna dal marzo 2019, e, avendo ben percepito il grave disagio del suo popolo a causa della prolungata sospensione delle funzioni religiose e in particolare di quella eucaristica, ha saggiamente deciso di ripristinare, non senza il conforto di quella scienza giuridica di cui è buon conoscitore, la riapertura di vari esercizi pubblici e commerciali e, tra questi, anche quella delle chiese con tutte le loro ordinarie attività liturgico-sacramentali.

Ci si sarebbe aspettati il plauso della gerarchia ecclesiastica sarda che, a causa dell’improvvisa passività morale e spirituale con cui la CEI nazionale, su decisione pontificia, aveva accettato e subìto le direttive governative di marzo con cui si decretava la sospensione di tutte le attività liturgiche e sacramentali della Chiesa cattolica su tutto il territorio nazionale, si era vista privare di quella libertà religiosa di cui non lo Stato o il potere politico ma solo essa medesima è unico titolare sotto il duplice profilo giuridico e religioso. Ci si sarebbe augurato quanto meno da parte del clero sardo una condivisione di quel senso di liberazione, di certo avvertito dall’isolano popolo di Dio, e di consolazione nel sapere che finalmente un potere dello Stato, sintonizzandosi con i bisogni spirituali dei suoi amministrati, se ne fosse fatto concretamente carico ripristinando pienamente la libertà di culto e tutte le manifestazioni religiose ad essa connesse.

E invece no: i vescovi sardi se la sono presa a male, perché ha detto mons. Mura, il governatore regionale non li aveva “consultati”, per cui, «pur apprezzando l’attenzione che il presidente Solinas ha rimarcato nella conferenza stampa verso l’apertura delle chiese alle ‘celebrazioni eucaristiche’», non poteva passare inosservato il fatto che non fossero stati preventivamente consultati dal momento che «decisioni di questo tipo competono unicamente all’Autorità Ecclesiastica». Ma come? Voi vescovi, avete irresponsabilmente taciuto e assentito la prima volta quando l’autorità politico-governativa vi ha ingiunto, più che chiedervi, sia pure in presenza di oggettive ragioni igienico-sanitarie, che tuttavia solo in via del tutto ipotetica richiedevano una tassativa e rigida interruzione di qualunque pratica cultuale ed ecclesiale, di chiudere tutti i luoghi di culto che per fede i cattolici sanno o dovrebbero sapere costantemente governati e protetti dalla presenza sovrannaturale di Dio, di nostro Signore Gesù Cristo e della sua santissima Madre, oltre che da un esercito angelico e dalla sempre attiva comunione dei Santi, e adesso che un laico, un uomo politico, il principale responsabile della vita civile comunitaria regionale, vi restituisce quel che a nessuno avreste dovuto consentire di violare o di intaccare o semplicemente di condizionare, voi sollevate una questione di procedura?

Ma voi che siete preposti a compiti di umile e mite servizio e non già di superbo e ostentato comando, non sentite imbarazzo nell’attardarvi a muovere o suscitare futili e mondane polemiche anziché correre di nuovo nelle sacrestie per indossare i sacri paramenti non più ad uso di telecamera e ad esclusivo beneficio dello spettacolo mediatico ma a beneficio e in funzione di inderogabili necessità umane, spirituali e religiose dei vostri fedeli in carne e ossa? San Paolo apostolo puntò per amore e solo per amore il dito verso il suo “superiore” di allora, cioè Pietro, e voi, per una questione di gran lunga più grave di quella per cui Paolo ritenne di dover rimproverare Pietro, non siete stati capaci di trovare nelle vostre fila neppure un’anima così schietta e leale verso Cristo da avvertire il bisogno e il coraggio evangelico di dire al claudicante papa regnante: “ma sei proprio sicuro che il popolo di Dio sarà aiutato più dalla chiusura della Chiesa che non dalla sua ispirata, determinata e caritatevole volontà di rimanere aperta, non solo “spiritualmente” ma materialmente e sacramentalmente aperta, a tutte le infermità e le malattie del mondo nel nome e per conto di Colui che può salvare sempre e comunque da qualunque malattia”?

Voi, servi di Dio e degli uomini, tenete più alla vostra onorabilità, alla vostra rispettabilità personale ed istituzionale, che non al mandato apostolico, pastorale e missionario che avete ricevuto da nostro Signore? Non riaprite le vostre chiese e non somministrate i sacramenti solo perché qualcuno sarebbe stato indelicato nei vostri confronti? E’ per questo che un giorno pensaste di poter seguire Gesù e di chiedere di poter essere ordinati suoi ministri? Io mi riconosco più peccatore di voi, ma questo non mi impedisce, per grazia di Dio, di riconoscere ed evidenziare a fin di bene i vostri errori più evidenti, le vostre macroscopiche e avvilenti “deviazioni”, il vostro venir meno a quel dovere di testimonianza radicale cui fortunatamente non si sottraggono e non si sono sottratti in un tempo così doloroso di pandemia alcuni fratelli sacerdoti e alcune sorelle religiose, che non si sono rinchiusi nelle loro cappelle private a recitar preghiere e alzare canti e lodi di supplica e di ringraziamento all’Onnipotente ma che, al pari di tanti fratelli e sorelle laici generosi, l’Onnipotente hanno onorato realmente, in effettivo spirito di servizio, immolando la loro vita sul “campo di battaglia”.

 

Questo sì che è un grande uomo di fede!

 

 

Di voi ma non solo di voi sto parlando, vescovi della Sardegna: non è che tutti i vostri confratelli italiani stiano dando lustro al loro abito e soprattutto alla loro missione! E come potrebbero, ancor oggi, con quel loro grottesco e affannoso modo di concordare con l’autorità governativa e “scientifica” le modalità della “riapertura”, le nuove regole delle celebrazioni eucaristiche: il ferreo distanziamento in chiesa tra i fedeli ovviamente muniti di mascherina e pronti ad essere richiamati da appositi vigilanti in caso di infrazione, l’assoluto divieto per i partecipanti alle funzioni religiose di incrociarsi in chiesa e di sostare sul sagrato della chiesa, l’obbligo inderogabile per ministri del culto e celebranti di salire sull’altare bardati di tutto punto con tanto di mascherina e guanti igienici!

E’ così che i vescovi italiani pensano di essere “sale della terra” e “luce del mondo”? E’ così che, senza neppure osare di interrogarsi sulle vere ragioni di questa pandemia, pensano di poter essere “servitori della potestà di Cristo”? E’ con questo loro accomodante e irriflessivo assoggettarsi alle pur non banali “ragioni” sanitarie di questo mondo che sapranno essere veramente vicini, utili al popolo di Dio e assisterlo nei frangenti più drammatici della sua esistenza? Come faranno a coglierne e soddisfarne le prioritarie necessità e una non temporanea speranza di vita? Come faranno, così rassegnati al male e asserragliati, al di fuori di gratificanti ma insignificanti circuiti mediatici e televisivi, in un sempre più cupo silenzio pastorale e sacramentale, così barricati nei vuoti e desolanti spazi di chiese semichiuse, inospitali ed equiparate a comuni locali pubblici, a ripetere, anzi a gridare ancora una volta al mondo intero, con intrepida fede: “Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo”! Come faranno, se le porte della Chiesa di Cristo, ad ogni piccola o grande calamità naturale, verranno da essi rese invalicabili o trasformate nelle porte di un luogo potenzialmente pericoloso?

Francesco di Maria

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