Per un elogio del patriottismo e dello spirito nazionale

I regimi comunisti ancora esistenti sono tutti, come furono quelli storici del passato, a prescindere dagli orrori di cui si sono macchiati, assolutamente identitari e nazionalisti, e nazionalisti in quanto antimperialisti, pur nel quadro di un fraterno rapporto di vicinanza solidale e di collaborazione con tutti gli altri popoli già o virtualmente soggetti ad ambizioni imperialistiche di Paesi capitalistici. Il Vietnam del leggendario Ho Chi Minh ha ancora oggi nel patriottismo nazionale il fondamentale presupposto della propria emancipazione sociale, del proprio progresso civile, della propria crescita economica. Lo stesso internazionalismo marxista non sarebbe possibile e non potrebbe essere praticato senza una difesa fiera e salda del patriottismo nazionale. Sul nesso tra patriottismo ed internazionalismo scriveva Mao Tse-tung  nel suo mitico Libretto Rosso: «un comunista per essere internazionalista deve per forza essere un patriota», perché solo custodendo e difendendo l’identità nazionale del Paese cui appartiene può consentire concretamente a tutti gli altri Paesi esposti ad influenze o a condizionamenti capitalistico-imperialistici di fare altrettanto e di erigere un solido baluardo contro le ingerenze straniere.

Non è dunque sbagliato, da un punto di vista internazionalistico e quindi marxista-leninista, pensare di dover proteggere le tradizioni nazionali, di dover promuovere la propria identità etnica, di dover tutelare strenuamente la sovranità e l’indipendenza del proprio Stato da ogni forma di influenza o prevaricazione esterna, sia essa quella di una potenza straniera o di una potenza sovranazionale o di grandi imprese multinazionali. A parte la Cina, di cui tutti conoscono la potenza economica e l’enorme potenziale ancora inespresso dal punto di vista tecnologico, commerciale e finanziario oltre che militare, non è un caso, come ben osservava già Luca Steinmann il 3 settembre 2014 sul sito on line “Controcultura” in un articolo intitolato “Quando il comunismo ha una patria”, che lo stesso Vietnam del Nord, uscito dalle immani rovine della vittoriosa guerra contro gli americani, sia, nonostante qualche leggera flessione economica negli ultimi tempi, un mercato in costante crescita «al quale stanno guardando con interesse imprenditori di tutto il mondo. Probabilmente è anche per questa attenzione economica che il Presidente vietnamita ha esortato i suoi cittadini a far prevalere l’interesse nazionale a quello particolare. Paradossalmente», ma io direi non tanto paradossalmente, «in questo paese comunista in veloce crescita, il patriottismo è il valore fondante della società e delle istituzioni» (ivi).

Naturalmente in Vietnam, in cui peraltro c’è una disoccupazione molto contenuta, non tutto è cosí brillante come mercato e consumi in continua espansione grazie ad una crescente domanda interna, a redditi in crescita e al calo dell’inflazione, variabili importanti e fortemente attrattive per diverse economie occidentali tra cui quella italiana, e grazie anche alle notevoli risorse naturali e ai prodotti agricoli di cui questo Paese asiatico gode, perché alcuni essenziali diritti civili non sono affatto garantiti e rispettati, come le libertà civili, la libertà personale, la libertà di pensiero e in particolare la libertà religiosa. Il Vietnam da questo non trascurabile punto di vista è uno Stato comunista, al pari di tutti i regimi comunisti del 900,  fortemente autoritario e repressivo. E’ uno Stato completamente ateo e, più segnatamente, anticattolico, uno Stato in cui e a causa di cui i cattolici, specialmente nei decenni scorsi, sono stati duramente perseguitati e hanno avuto molto a soffrire anche per quanto riguarda i loro diritti di proprietà, i loro beni e le loro attività economiche e commerciali.

Un cattolico come chi scrive non può certo essere indifferente ad una situazione del genere e ritiene che questa problematica non solo non possa né debba essere trascurata ma sia anzi essenziale ai fini di un discorso globale sul grado di maturità civile, sociale, spirituale e religiosa di un popolo o di una civiltà, ma per noi occidentali e noi italiani che ci riempiamo sempre acriticamente la bocca di globalismo, di mercatismo, di europeismo, di sovranazionalismo, tutto e sempre in opposizione a parole come patriottismo, sovranismo, identitarismo, nazionalismo e via dicendo, la consapevolezza che altrove, ovvero in altre parti del mondo in cui noi stessi viviamo, si danno altri e più fruttuosi modi di pensare e di agire politicamente, economicamente, e socialmente, anche o soprattutto in rapporto agli altri Stati o continenti, dovrebbe costituire un potente stimolo a riflettere criticamente sui modi attuali della nostra complessiva prassi politica in rapporto al grado di benessere del popolo italiano e di ogni singolo popolo europeo in cui solo un cieco, un demente o un baro, può non vedere un surplus di nazionalismo non già in solidale cooperazione ma in feroce competizione con i nazionalismi e soprattutto con le risorse altrui.

E’ dunque ora di dire basta alla mistificazione globalista, europeista, turbocapitalista che tutto aggredisce, tutto falsifica, tutto divora nel quadro di quel caotico e variegato universo di illegittimi quanto inconfessati e voraci interessi riconducibili ad anonime ma reali aristocrazie finanziarie che, sia che coincidano sia che non coincidano strettamente con i benefici o i vantaggi economico-finanziari di questa o quella grande nazione, sono oggi ben più di ieri i veri nemici della libertà e della sovranità statuale di popoli che, come l’Italia, sono particolarmente appetibili tanto per motivi economici e commerciali quanto per motivi geopolitici. Ed è tempo di opporre all’internazionalismo di ingentissimi capitali privati e liberi di circolare e dettar legge dovunque senza vincoli di sorta l’internazionalismo popolare di nazioni che vogliono essere libere di decidere e costruirsi il proprio destino.

E’ altresì opportuno ricordare a ex comunisti e a cattolici democratici italiani ormai affetti da un’inveterata abitudine di proclamarsi europeisti in opposizione all’idea di nazionalità, di patriottismo nazionale e di difesa delle tradizioni e degli interessi nazionali, che essi sono ormai lontani anni luce da quello spirito nazionale e patriottico che, sia pure sulla base di diverse motivazioni e finalità politiche, caratterizzava circa mezzo secolo fa la visione politica europea e mondiale di alcuni illustri esponenti dell’internazionalismo operaio tra cui ovviamente lo stesso Palmiro Togliatti e del solidarismo personalistico e comunitario cattolico quale venne sviluppandosi sin dal pontificato di Leone XIII per trovare poi, attraverso significative ed ispirate esperienze teorico-pratiche come quella elaborata sin dal 1919 da don Luigi Sturzo,  il suo definitivo consolidamento nelle decisioni e nei documenti del Concilio Vaticano II, il quale avrebbe fortemente avvertito l’urgenza di solidarietà, di sussidiarietà, di mutua interdipendenza e cooperazione tra i singoli e le nazioni affinché ogni essere umano e ogni popolo potessero svilupparsi non secondo necessità estrinseche ed imposte dall’alto per ragioni strumentali e per occulti motivi economico-finanziari ma secondo il libero seppur responsabile sviluppo delle necessità interne alle persone e ai cittadini non meno che alle singole e diverse comunità nazionali, anche in funzione di una vera, profonda e sostanziale unità materiale e spirituale di tutte le nazioni del mondo.

Ma qui, in un contesto storico-culturale in cui arbitrariamente e sciaguratamente si è deciso di usare il termine “sinistra” molto più in rapporto al versante dei diritti civili, che civili peraltro il più delle volte non sono affatto, che non a quello dei bisogni primari a cominciare da quelli del lavoro, e molto più in rapporto a princípi giuridico-formali di libertà ed eguaglianza di individui e gruppi ben circoscritti che non a princípi sostanziali di sovranità, autonomia e indipendenza di un intero popolo, mi preme concludere ricordando principalmente il pensiero patriottico e lo spirito nazionale del comunista e internazionalista Palmiro Togliatti, che sul mensile e organo del partito comunista “Rinascita” scriveva cosí nel 1945: «Guardiamo al nostro Paese, che noi amiamo, per il bene del quale abbiamo lavorato e combattuto e al quale vogliamo dare e daremo, con la vittoria della democrazia e del socialismo, felicità, benessere e progresso, sicurezza, indipendenza, libertà e pace. Assai spesso i nemici dei lavoratori tentano di contestare il patriottismo dei comunisti e dei socialisti invocando il loro internazionalismo e presentandolo come una manifestazione di cosmopolitismo, di indifferenza e di disprezzo per la patria. Anche questa è una calunnia. Il comunismo non ha nulla di comune col cosmopolitismo. Lottando sotto la bandiera della solidarietà internazionale dei lavoratori, i comunisti di ogni singolo paese, nella loro qualità di avanguardia delle masse lavoratrici, stanno saldamente sul terreno nazionale. Il comunismo non contrappone, ma accorda e unisce il patriottismo e l’internazionalismo proletario poiché l’uno e l’altro si fondano sul rispetto dei diritti, delle libertà dell’indipendenza dei singoli popoli. ….. I comunisti, che sono il partito della classe operaia, non possono dunque staccarsi dalla loro nazione se non vogliono troncare la loro radici vitali. Il cosmopolitismo è una ideologia del tutto estranea alla classe operaia. Esso è invece l’ideologia caratteristica degli uomini della banca internazionale, dei cartelli e dei trusts internazionali, dei grandi speculatori di borsa e dei fabbricanti di armi. Costoro sono i patrioti del loro portafoglio. Essi non soltanto vendono,ma si vendono volentieri al migliore offerente tra gli imperialisti stranieri» (corsivi miei).

E accade infatti che, per citare ancora il giovane intellettuale italo-tedesco Steinmann, «in Europa oggi a definirsi comunisti sono politici apolidi, senza nessun legame emotivo o materiale con la propria patria, che amano gli immigrati e l’imperialismo dell’Unione Europea (che chiede di cedere sovranità agli stati europei come facevano gli Stati Uniti negli anni sessanta nei confronti del Vietnam). In Vietnam l’evoluzione di un partito comunista di governo legato all’identità e alle tradizioni nazionali ha portato alla difesa della nazione e della sovranità politica ed economica». In Italia, come tutti sanno, proprio gli ex comunisti, insieme a presunti e anzi ambigui esponenti del mondo cattolico ma anche trascinati da larghi settori di una destra fortemente liberista e animata da smodati interessi privatistici, hanno fatto sí che, provocando nel frattempo la crisi irreversibile di una sinistra diventata ormai semplice esthablishment, il nostro Paese diventasse una filiale del fraudolento e fallimentare panrigorismo economicistico e finanziario europeo oltre che un triste e immondo ricettacolo di laicissime normative europee spesso improvvide, inopportune e destinate purtroppo ad essere applicate a tutti gli ambiti della nostra vita nazionale.   

Per Togliatti, i progressisti italiani di oggi sarebbero pertanto perfetti reazionari travestiti da riformisti democratici e rivoluzionari, perché chi è privo di un sentimento patriottico e non lavora se non surrettiziamente per gli interessi nazionali del proprio Paese, è solo un traditore del popolo oltre che di se stesso, è solo un mentecatto che vagheggia irrealisticamente e disumanamente un mondo senza frontiere, senza confini e soprattutto senza tradizioni civili e culturali identitarie, è solo un falso profeta laico di quelle magnifiche sorti e progressive dell’umanità che non si illude di poter perseguire integralmente neppure un’umile e combattiva minoranza storica di spiriti liberi e forti essendo essi responsabilmente consapevoli del fatto che questa terra è pur sempre, come scrive il poeta, quell’aiuola che ci fa tanto feroci: specialmente se vi si vive ed opera da sprovveduti cultori di falsi valori e di ideali ingannevoli.

Francesco di Maria

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