“Critica Marxista” e Renzi. Un duello tra teoria e prassi

La democrazia ha bisogno di rinnovare continuamente le sue procedure, le sue forme giuridiche, i suoi assetti istituzionali, se vuole tenere realmente fede ai suoi princípi fondativi, ai suoi valori costitutivi, alle sue immutabili finalità che sono principalmente quelle della libertà personale, del diritto al lavoro e alla effettiva partecipazione alla organizzazione complessiva dello Stato, della eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge.images (4)

Renzi, forte di un largo consenso popolare, si è assunta la responsabilità storica di riformare a colpi di maggioranza la Costituzione, la legge elettorale, il mondo del lavoro e quant’altro, perché ritiene che la crisi economica e finanziaria in cui oggi versa l’Italia sia frutto anche e soprattutto di decenni di immobilismo politico-istituzionale, di sterile assemblearismo parlamentaristico, di rovinosa incapacità governativa. Egli si sente capo di una sinistra finalmente volitiva, non più affetta da mera verbosità programmatica, non burocratica, ma decisionista e capace di farsi interprete delle esigenze reali della società civile italiana. Molti lo criticano per questo suo spregiudicato modo di agire ritenendo che con lui la tenuta della nostra democrazia sia ormai a rischio.

Soprattutto a sinistra gli si muovono accuse di leaderismo, di plebiscitarismo, di autoritarismo, anche se nell’album di famiglia della sinistra italiana tutte queste tendenze non solo sono presenti ma si trovano fortemente radicate, ma la critica quasi sempre di matrice marxista che gli viene mossa è in realtà troppo poco disinteressata per poter essere considerata attendibile. Anche a prescindere dall’ostruzionismo, spesso personalistico ed autolesionistico, praticato dalla minoranza del PD nei confronti del suo segretario, persino le critiche provenienti da un’intellettualità più seria e distaccata di sinistra, come quella rappresentata dalla prestigiosa rivista “Critica Marxista”, appaiono incapaci di cogliere il valore profondamente morale della strategia politica posta in essere da Renzi e la vera portata storica della sua azione riformatrice, benché essa non sia certo immune da difetti e da ambiguità che converrà opportunamente correggere nel corso del tempo.Layout 1

Un intellettuale di provata e specchiata integrità, per esempio, come Aldo Tortorella, condirettore con Aldo Zanardo della suddetta rivista, non sembra cogliere affatto nel segno quando accusa Renzi di coltivare «l’idea di una democrazia priva di corpi intermedi e affidata a un capo e alla sua corte, una concezione del lavoro come pura merce, la pratica dei patteggiamenti segreti per decidere sulla sorte di tutti» (Editoriale in “Critica Marxista”, 5, 2014). La sua è una critica eterea, astratta, formalistica, preconcetta, tutta ideologica, interessata e pregiudizialmente avulsa da un’analisi obiettiva della specifica situazione storica italiana, la quale in realtà, stretta tra una concezione pragmatica ma bassamente privatistica della politica come quella di Berlusconi e una concezione politica grevemente burocratica e rigidamente allineata alle direttive repressive e depressive di Bruxelles come quella impersonata dai Prodi e dai D’Alema, dai Bersani e dai Letta o dai Monti, risulta pesantemente segnata da un ventennio di sostanziale immobilismo politico-istituzionale e di evidente incapacità politico-governativa. Lo stesso Bertinotti, pur avendo assolto per qualche tempo la funzione di Presidente della Camera dei deputati, sarà ricordato negli annali della storia politica nazionale per aver determinato l’improvvisa dissoluzione del suo partito: Rifondazione Comunista.

Certo, Renzi ha replicato e replica vigorosamente ed efficacemente alle frequenti contestazioni che gli vengono mosse dai cosiddetti corpi intermedi ovvero da tutte quelle formazioni sociali, come partiti, sindacati, associazioni di categoria, grandi giornali e televisioni, che sono chiamate a rappresentare i bisogni e le istanze dei cittadini e che per decenni hanno costituito l’ossatura della democrazia italiana. Renzi replica e non esita a scagliarsi contro di essi per sottolineare un dato storico oggettivo che li riguarda direttamente, ovvero di non essere più e non da oggi capaci di mediare tra politica e società civile, di non sapere più interpretare una società molto diversa da quella degli anni ’70-’80, di rappresentare ormai solo se stessi.
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E’ proprio per questo, per l’oggettiva perdita di centralità e di potere, che questo arcipelago di corpi intermedi che non mediano più niente ma tentano ugualmente di conservare con le unghie e i denti una qualche visibilità e di esercitare una qualche influenza sulla pubblica opinione, è cosí aggressivo verso Renzi che, in virtù di un ritrovato o riconquistato prestigio italiano in sede europea e di riforme volte a creare un asse quanto più possibile stretto e diretto tra masse popolari e sfera governativa, punta non solo a rilanciare l’economia nazionale, sia pure secondo modalità su cui probabilmente e anzi obiettivamente occorrerà ritornare, ma anche e soprattutto a realizzare tutta una serie di nuove condizioni costituzionali, istituzionali ed elettorali che favoriscano la governabilità del nostro Paese.pillole07

Ora, è indubbio che Renzi si stia assumendo la responsabilità storica di modificare in modo rilevante l’assetto costituzionale e istituzionale dello Stato e non è certo possibile affermare aprioristicamente che domani le cose andranno sicuramente meglio, ma era intanto necessario colmare una grave crisi di rappresentanza e il suo attivismo pertanto, per quanto non sempre forse ineccepibile e fruttuoso, tende a dare fiducia e speranza ai ceti medio-bassi non meno di quanto tenda a rassicurare i mercati finanziari: prova ne sono il largo consenso popolare di cui gode dopo un anno di governo e la sia pur lieve risalita degli indicatori economici.

Quella di Renzi non è una rivoluzione contro il sistema, come implicitamente ma velleitariamente vorrebbe certa critica di matrice marxista, ma una piccola e tuttavia significativa rivoluzione dentro il sistema, esposto a scenari terrificanti che non possono essere neutralizzati con un colpo magico di bacchetta ma potrebbero essere riorientati abilmente in termini di maggiore cooperazione tra Stati e di maggiore giustizia sociale. Ora, se il modo renziano di uscire dal pantano pseudodemocratico e sterilmente assemblearistico e parlamentaristico in cui ci siamo cacciati dovesse rivelarsi efficace e idoneo al conseguimento di buoni risultati economici e sociali, non sarebbe preferibile un capo e la sua corte di fedeli collaboratori all’esistenza di tanti capi e di tante piccole corti in perenne e improduttiva lite tra loro?

La democrazia presuppone maturità culturale e integrità morale senza le quali essa può solo degenerare in demagogia e in comune rovina di quanti l’esercitano da posizioni di potere e di quanti la esercitano dal basso. Essa non può essere staticamente e semplicemente alimentata da regole, procedure, formalità costituzionali e giuridiche, ma è il suo spirito che deve continuamente rinnovarsi e rigenerarsi per mezzo di un’ispirata e responsabile attitudine etico-politica a correggerla, integrarla, riformarla, guidarla, a seconda dei mutamenti non solo economici ma strutturali che tendono a intervenire in forme più o meno radicali nelle diverse epoche storiche e pur sempre in funzione di quei valori immutabili di libertà, eguaglianza e giustizia sociale, che sono e devono restare i cardini di ogni vera democrazia.

Anche di quei “patteggiamenti segreti” a Renzi imputati da Tortorella si rischia di non capire il significato, perché come i fatti hanno evidenziato il giovane Presidente del Consiglio non ha trattato con il furbo Berlusconi per sdoganarlo e ridargli visibilità politica ma solo per ottenere i suoi voti parlamentari utili a mandare quanto più avanti possibile la riforma costituzionale e la riforma elettorale e per far convogliare elegantemente sul PD una parte di consenso elettorale tradizionalmente orientato verso il partito dell’ex senatore di Arcore.

Il cattolico Renzi ha dimostrato cosí non già di essere ingenuo, sprovveduto o animato da mediocre spirito di compromesso con il nemico e da autoritarismo fine a se stesso, ma di essere al contrario un lucido stratega politico, supportato da una non comune perizia tattica: un “moderno Principe”, per usare l’espressione gramsciana, capace di apprendere la migliore lezione politica di un suo insigne conterraneo: di quel Niccolò Machiavelli che mentre esaltava il potere dispotico ne “Il Principe”, pensava, ne “I Discorsi”, a come poter costruire realisticamente un ordinamento repubblicano fondato su buoni costumi e solide virtù politico-amministrative.

Banchieri, burocrati, magistrati: nessuno avrà vita facile sotto il governo Renzi, finché esso avrà il consenso popolare. Ma, nel frattempo, la sinistra marxista si attarda a criticarne preventivamente qualsiasi iniziativa. Per esempio, l’economista neomarxista Emiliano Brancaccio, e ospitato sempre più frequentemente nella rivista sopra citata, aveva scritto qualche anno fa che l’austerità è di destra e sta distruggendo l’Europa (E. Brancaccio e M. Passarella, L’austerità è di destra. E sta distruggendo l’Europa, Mi, Il Saggiatore, 2012). Oggi, in presenza di un Renzi realmente capace di battersi sapientemente ma energicamente contro l’austerità e le politiche depressive della UE, Brancaccio si preoccupa di minimizzare scrivendo che quella renziana sarebbe solo un’“austerità flessibile”, ovvero una «“conquista risibile” rispetto alla gravità della situazione» (in “Il Manifesto” del 28 giugno 2014), come se esistessero terapie scontate, a portata di mano, per fronteggiare la gravità della crisi.stop-austerita-

Ma non si dovrebbe avere piuttosto l’onestà di riconoscere che merito oggettivo di Renzi è stato quello di spostare gli equilibri di potere interni alla UE verso sinistra, verso una sinistra di certo più solidale ed egualitaria delle pur prevalenti forze di destra a livello di organi direttivi e decisionali? E Tortorella che rimprovera il politico fiorentino di coltivare “una concezione del lavoro come pura merce” non dovrebbe apprezzare lo sforzo renziano di mettere in tal modo proprio il lavoro al centro della sua agenda politica e dell’agenda politica europea?

Peraltro, per quanto europeista convinto, Renzi non è affatto un fanatico sostenitore dell’euro avendo pubblicamente riconosciuto che la moneta unica europea non abbia certo avvantaggiato l’Italia, per cui non è da escludere che, qualora la situazione non evolvesse al meglio, sarebbe pronto a chiedere per l’Italia l’uscita sia dal sistema monetario europeo, sia dallo stesso mercato unico europeo, che è proprio quello che rivendica ancora Brancaccio quando scrive che «una sinistra degna di questo nome dovrebbe prendere atto che l’euro è insostenibile» (L’UE è fallita, la sinistra ragioni sull’euro, in “Micromega” del 7 ottobre 2014) e che pertanto essa dovrebbe prepararsi a spingere appunto non solo per un abbandono dell’euro ma anche, in pari tempo, del mercato unico europeo. Solo che i tempi dell’economista non sono i tempi del premier, per il fatto stesso che quelli del primo sono tempi teorici mentre quelli del secondo sono tempi politici e perciò aperti a mediazioni che le congetture scientifiche non prevedono o tendono a sottovalutare.

Per questi motivi, appare gratuita anche l’affermazione in chiave antirenziana di un altro ospite di “Critica Marxista” come Alfiero Grandi che, in un articolo intitolato “Discutendo la sinistra”, cit., p. 15, scrive: «Il cambiamento ha bisogno della sinistra, ma la sinistra deve tornare ad essere sinonimo di un cambiamento e socialmente qualificato»; che, piaccia o meno, per quel che si è venuto sinora argomentando, è appunto quello che sta avvenendo proprio e solo grazie al cattolico Renzi.schermata_11-2456261_alle_01.52.25

Ma come la mettiamo con il populismo renziano? Il popolo è la forza di Renzi: egli sa che resterà in sella sin quando il popolo avrà fiducia in lui e nella sua leadership di governo e sa anche che le riforme che sta attuando avevano e hanno bisogno di un giusto contrappeso quale può essere una legge elettorale adeguata che blindi il sistema democratico rispetto a possibili sforamenti eversivi. Ora, se questo lo vogliamo chiamare populismo, si dica pure che Renzi è un populista, anche se un populista incomparabilmente diverso da populisti come Berlusconi o Grillo, ma d’altra parte quando i poteri forti, ivi compreso in parte un vecchio potere egemonico della sinistra marxista, diventano poteri morti, un certo populismo forse è la sola opzione possibile. C’è un duello in atto tra la sofisticata ma vecchia teoria marxista e la schietta e operosa prassi renziana. Ma non sarebbe scandaloso se anche i marxisti onesti che tengono veramente al bene comune della nostra nazione si augurassero che l’era renziana possa essere un’era di relativo benessere economico e sociale e di pacificazione nazionale ed internazionale.

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