Contro il perfezionismo democratico

di Sofia Ventura

(pubblicato in “Europaquotidiano.it” del 10 Ottobre 2013)

Il più importante scienziato politico italiano, Giovanni Sartori, ci ha insegnato a non costruire feticci, a non fare di princípi come “sovranità popolare” e “separazione dei poteri” degli assoluti avulsi dalla realtà e dal cambiamento

Sorretto dal rigore logico e analitico che ha sempre contraddistinto i suoi lavori scientifici…, Sartori mantiene sempre una chiara distinzione tra “descrizione” e “prescrizione”. L’”essere” e il “dover essere” della democrazia, la democrazia così come concretamente funziona e che deve essere compresa attraverso le lenti di un sano realismo, e l’ideale democratico sono posti in una relazione dialettica, non nel senso hegeliano del termine, cioè una dialettica che mira ad una sintesi, ma in un rapporto di continui confronti e aggiustamenti.images

Il “realismo cognitivo”, scrive Sartori, “è il sostegno di qualsiasi politica attesa a riuscire” e viene da lui contrapposto al razionalismo, che sottomette il reale al razionale e se un programma non funziona ne imputa la responsabilità alla pratica. L’empirista si preoccupa della ragionevolezza, il razionalista della coerenza, a costo di essere irragionevole. E’ con queste lenti che Sartori, ad esempio, guarda alla preferenza per il proporzionalismo, figlia di un atteggiamento razionalistico che dall’idea di sovranità popolare fa discendere la necessità di rappresentare “in proporzione” e colloca tale sovranità nel parlamento dove si esprime questa proporzione, lasciando al governo una mera funzione di esecuzione. Con buona pace dell’efficienza e della governabilità.

La relazione tra essere e dover essere conduce Sartori a denunciare i pericoli del “perfezionismo democratico”. Se la democrazia non può essere ridotta ai suoi strumenti, così come non può prescindere da una teoria della democrazia che ne disegni la sua dimensione ideale, al tempo stesso gli ideali devono essere intesi e impiegati correttamente. imagesIn particolare, estremamente pericolosa per la stessa democrazia, il suo funzionamento e la sua sopravvivenza, è la pretesa di far coincidere il reale con l’ideale, la democrazia così com’è con la democrazia come dovrebbe essere, rifiutando poi la prima se non coincide con la seconda (perfezionismo democratico), o denigrando la seconda in nome di un’effettiva conoscenza di come funzionano davvero le cose (il cattivo realismo del quale furono responsabili per Sartori esponenti del realismo italiano come Pareto e Michels e il primo Croce nei decenni precedenti all’affermazione del fascismo).

Il perfezionismo democratico, dunque, tende a costruire la “città ideale”. Ma così facendo l’ideale diventa “sordo e cieco”, non conosce il mondo nel quale opera e diviene – come scrive Sartori citando Constant – un principio che “distrugge e sconvolge”. Mentre la funzione dell’ideale è quella di essere posto di fronte al reale per costituirne un incessante parametro critico ed eventualmente trasformarsi esso stesso nel divenire di questo processo.

Le riflessioni qui sinteticamente evocate rappresentano un riferimento cruciale per chi voglia oggi riflettere sulla democrazia, tanto più in un’epoca ove la crisi della politica rischia di trasformarsi in una crisi dei regimi democratici. I meccanismi di funzionamento di tali regimi (così come di ogni regime politico) possono essere soggetti a tensioni. Si tratta inoltre di regimi in divenire, che si trasformano a fronte dei cambiamenti economici e sociali.images (5)

Partendo dall’insegnamento di Sartori, possiamo affermare che a nulla serve (anzi è dannoso) costruire feticci, fare dei principi della democrazia – come ad esempio la sovranità popolare, la separazione dei poteri – degli assoluti avulsi dal concreto agire delle istituzioni e degli uomini per demonizzare il reale, per trasformarlo forzandolo dentro una coerenza solo teorica e magari per impedire un ripensamento dei meccanismi democratici o arrestare il cambiamento perché il mutamento costringe a immaginare nuovi modi di declinare la deontologia democratica.

Ciò che è utile e consente alla democrazia di sopravvivere è piuttosto procedere ad aggiustamenti e gestire il cambiamento, commisurando reale e ideale e intervenendo sull’uno e sull’altro all’interno dei parametri della ragionevolezza e non perdendo mai di vista i valori fondanti, non le retoriche, del governo democratico e della società liberale.

Sofia Ventura

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