Perché l’Isis minaccia seriamente Roma mentre tace su Israele?

E’ innegabile che, storicamente parlando, non ci sia stato e non ci sia musulmano coerente con il Corano e veramente degno di questo nome che non abbia coltivato e non coltivi il sogno che un giorno la bandiera nera dell’esercito di Allah, ben aduso a combattere e ad uccidere minoranze “infedeli” del Medioriente, a perseguitare cristinai-iraq-isis-crocifissione-577663violentemente gruppi religiosi più o meno vasti ritenuti eretici come i cristiani, a stuprare e scannare donne non disposte a convertirsi e ad obbedire alle leggi coraniche di Dio, a ridurre in stato di schiavitù uomini di ogni età e bambini impossibilitati oggettivamente a servire la causa islamica, possa sventolare sulla cupola di San Pietro.

Chi nega questo fatto, continuando a leggerlo come prodotto degenere ed aberrante della vera religione islamica, e quindi come manifestazione di integralismo o fondamentalismo islamico ben distante dalla sana fede dell’Islam, non conosce affatto, il più delle volte in malafede, il credo islamico in quanto tale, i fondamenti stessi della concezione islamica della vita e del mondo. Inutile girarci attorno: le cose stanno cosí e tutti coloro che si ostinano a fare distinguo e a sottilizzare di qua e di là, sia pure con nobili intenzioni, come sono almeno in parte quelle della Chiesa cattolica sempre in cerca di dialogo con tutte le religioni, sono decisamente in errore e lavorano contro il cristianesimo e la stessa civiltà occidentale e civiltà tout court.

A differenza della fede cristiana, che riposa su una distinzione di principio su uso legittimo e uso illegittimo della forza, riferendo il primo solo al caso in cui si tratti di tutelare la vita e i beni di soggetti innocenti e non certamente incriminabili a causa delle loro credenze religiose, e della stessa fede ebraica, che ritiene non solo legittima ma doverosa la violenza in quanto risposta necessaria e commisurata ad una violenza o ad un torto ricevuti, la fede islamica pone l’uso della violenza come il principio stesso di ogni azione umana e religiosa che, in presenza di comunità religiose menzognere o antitetiche alle sure coraniche e di individui non disposti a sottomettere rigorosamente ad esse il proprio comportamento, sia volta coerentemente a testimoniare e a diffondere quella che i Paesi musulmani considerano la “terza rivelazione” di Dio (dopo quella avvenuta sul monte Sinai con Mosé e quella avvenuta con Gesù Cristo).

L’Isis, piaccia o meno, è semplicemente Maometto che ritorna, è la fedele interpretazione del suo messaggio sanguinario di conquista e dominio, è il più puro riflesso dell’originaria avversione islamica al mondo cristiano ed occidentale ancor più che a quello ebraico, storicamente meno influente e temibile di quello cristiano.iraq-siria-califfato-tempi-copertina

I militanti dell’Isis sono criminali efferati semplicemente perché la religione islamica è nella sua essenza una religione fondata su un odio assassino e su una efferatezza di mentalità e di costume barbara e inumana. Ragion per cui non c’è dubbio alcuno che l’Occidente, in ossequio ad un umanitarismo spesso falso e demagogico invalso nella sua cultura e talvolta persino nella politica religiosa della Chiesa cattolica, stia correndo rischi molto seri nell’accogliere, praticamente senza alcun limite, migliaia di persone provenienti da culture e consuetudini non solo diverse ma opposte alle nostre.

Quando tutta questa gente si sarà insediata, più che “integrata”, stabilmente e tranquillamente con le proprie credenze e tradizioni nei vari territori europei, assumendo magari ruoli sociali e politici sempre più importanti nelle società europee ed occidentali, perché mai essa dovrebbe contrastare, esponendosi addirittura al rischio della morte, le armate del Califfato del Levante che, da qui a un secolo per esempio, potrebbero più realisticamente e concretamente di oggi trovarsi nella condizione di penetrare militarmente in Europa? Quanti sarebbero allora gli uomini e le donne non islamici, in un’Europa sempre più scristianizzata o decristianizzata, anche a causa di una crescita vertiginosa e imponente della popolazione di cultura e fede islamiche, ad opporsi con il pensiero e la vita ai deliranti squadroni della morte formatisi nella scuola di tutti quei fanatici ed odiosi personaggi che oggi sono fautori del grande Califfato nei Paesi arabi?

Costoro hanno detto di voler conquistare Roma e, di questo passo, prima o poi, senza una reazione seria e responsabile delle leaderships governative europee, la conquisteranno. Hanno detto di voler conquistare Roma, mentre quello che dovrebbe essere il loro nemico giurato, il loro principale nemico, cioè Israele, non figura tra gli Stati da assaltare ed abbattere, almeno nell’immediato. Cercheremo di capire per quale motivo i jihadisti riservano questa disparità di trattamento a Roma, capitale della civiltà cristiana e della stessa civiltà occidentale, e alla comunità nazionale ebraica della regione mediorientale, la  comunità mediorientale più odiata dai popoli arabi e musulmani.ar_image_3221_l

Intanto, una premessa pare opportuna. Noi cristiani in genere continuiamo a parlare di dialogo interreligioso, senza renderci conto che il Corano non parla affatto di dialogo e che, anzi, gli “infedeli” hanno solo due possibilità: quella di convertirsi a Maometto oppure quella di essere decapitati. Non ci sfiora minimamente il dubbio che molti di coloro che, pur tra immani rischi e sofferenze, approdano alle nostre coste, più che essere dei “perseguitati” dai loro regimi di provenienza, siano indotti ad emigrare, sia pure in modi più o meno intimidatori ma non del tutto costrittivi, proprio da importanti strutture geopolitiche non appariscenti ma essenziali di tali regimi,  anche al fine di esportare la fede in Maometto oltre i confini della penisola arabica e di diffonderla quindi presso altri popoli: in questo senso tante masse mediorientali di immigrati sono fortificati dalla loro fede, non importa se convinta o abitudinaria, e, pur sapendo di rischiare la vita per attraversare il Mediterraneo a bordo di semplici “carrette del mare”, sono perciò psicologicamente molto più pronti di noi occidentali ad immolarsi in conformità ad un preciso insegnamento coranico secondo cui, nell’al di là, il destino più gioioso spetterà a coloro che saranno emigrati, pur sapendo appunto di poter morire, per testimoniare la fede in Maometto e Allah al di fuori dei propri Paesi d’origine.

Poiché molti di noi vivono superficialmente la propria fede in Cristo, ci sentiamo spesso autorizzati a pensare che anche gli altri, gli islamici appunto, ci somiglino e si comportino come noi, mentre in realtà sottovalutare l’impatto psicologico che la religione islamica è in grado di produrre sul comportamento della maggior parte dei  suoi seguaci è non solo profondamente sbagliato ma decisamente irresponsabile e pericoloso.

Ma come fa il mondo cristiano e cattolico a non vedere che l’Isis è ben più minaccioso verso i cristiani che non verso gli ebrei e verso “il governo” simbolico di Tel Aviv verso cui solitamente tutti i gruppi islamici eversivi e dediti a pratiche terroristiche si mostrano particolarmente aggressivi? C’è anzi da precisare che, per i jihadisti dell’Isis, di fede sunnita, ancora più pericolosi degli ebrei sono gli islamici sciiti, in quanto essi sarebbero il ramo eterodosso e perciò illegittimo della tradizione religiosa risalente a Maometto, in sostanza veri e propri usurpatori della vera volontà di Maometto soprattutto in ordine alla costituzione del Califfato, che dagli sciiti non è riconosciuto.isis

Questo spiega perché i sunniti jihadisti, che avversano peraltro gli stessi curdi, generalmente come loro di fede sunnita ma aspiranti alla costituzione di un loro Stato indipendente in Medioriente in antitesi all’idea di Grande Califfato (e per questo da sempre perseguitati o almeno osteggiati in tutti gli Stati mediorientali in cui sono disseminati, dall’Iraq all’Iran o alla Turchia), si stiano avventando sugli sciiti con la stessa ferocia con cui perseguitano i cristiani, mentre appaiono inclini ad accantonare, almeno per il momento, il problema ebraico.

Per l’Isis, infatti, il principio di derivazione coranica da seguire è che combattere gli apostati più vicini sia più importante che combattere gli infedeli lontani. La Palestina resta certo un problema importante dei popoli arabi e musulmani ma, al momento, non più importante di quello relativo alla necessità di raggiungere innanzitutto la totale unità dei popoli arabi musulmani sotto l’egida del Grande Califfato islamico.

E’ difficile affermare che dietro questa giustificazione non si nascondano altre ragioni, e ragioni magari molto meno confessabili, come per esempio quella di un possibile accordo segreto tra governo israeliano e jihadisti consistente nell’impegno israeliano a non appoggiare militarmente la coalizione occidentale antiisis in cambio dell’impegno di quest’ultimo a non attaccare né direttamente né indirettamente lo Stato israeliano.

Non può non suscitare un certo stupore, per esempio, che l’Isis non abbia preso deliberatamente di mira gli ebrei residenti in Iraq (circa 500.000): può darsi che qualche ebreo sia rimasto ucciso casualmente, insieme ad altri cittadini iracheni, in qualche attentato terroristico, ma al momento non c’è un solo atto terroristico compiuto dallo Stato islamico con cui si rivendichi l’uccisione di iracheni di origine o fede ebraica. Se sbaglio, sono pronto a correggere questa affermazione ma, in generale, non sembra proprio che gli ebrei siano nel mirino dei jihadisti.

D’altra parte, è ben nota l’avversione ultrasecolare degli ebrei per il cristianesimo e la Chiesa cattolica, benché nei rapporti politico-diplomatici con l’Occidente e la Santa Sede, si guardino bene dal riesumarla o dall’evidenziarla, per motivi di pura e semplice convenienza, ostentando al contrario sentimenti di rispetto e di amicizia. Un domani, in uno scenario internazionale destinato a conoscere nei prossimi decenni profondi mutamenti, a cosa potrebbe portare questa convergente ostilità di ebrei israeliani e jihadisti sunniti? Non potrebbero venire a trovarsi stretti l’Occidente e l’intera civiltà cristiana in una pericolosa tenaglia di “opposti estremismi” (perché quello israeliano-sionista è un estremismo) come quello ebraico e quello jihadista?

Fantapolitica? Chissà, forse. O forse no. L’importante sarebbe di non abbassare la soglia di attenzione e di analisi sia sulle dinamiche che sottendono i molteplici flussi migratori in atto, sia sugli appoggi politici internazionali e sulle fonti di finanziamento su cui potrebbe contare l’Isis, sia sulla vera strategia politica che Israele sta perseguendo sia in rapporto al Medioriente che nei rapporti con un Occidente che esso guarda sempre con maggior sospetto.

Sarebbe un bel guaio se il nostro Renzi, proprio riguardo ai possibili scopi inconfessati della politica militarista e coloniale, a dir poco, di Israele, dovesse ripetere in futuro le stesse parole che, come riferì il “Times of Israel” quando egli si recò in visita da Netanyahu, sembra abbia pronunciato per l’appunto in quell’occasione: «Resta il fatto che Israele deve attaccare i terroristi palestinesi per estirpare la piaga del terrorismo di Hamas anche a costo di qualche vita in virtù di un bene superiore»!

Le cose sono certo più complesse, come qualunque persona di buon senso può sin troppo facilmente e non da oggi constatare e come viene costantemente comprovato dalla stessa imperturbabile e provocatoria determinazione dello Stato d’Israele ad allargare a dismisura in Cisgiordania gli insediamenti urbani a tutto beneficio dei cittadini israeliani e a crescente detrimento degli interessi palestinesi.

Sono talmente complesse che sarebbe utile tenere presente l’analisi spregiudicata ma non insensata di un coraggioso giornalista freelance come Giuseppe Cirillo che recentemente, sul suo blog www.hescaton.com, ha scritto un interessante articolo dal titolo ben significativo: “Chi c’è dietro l’Isis?” (12 agosto 2014).

Quelli che seguono sono i punti essenziali intorno a cui ruota la sua indagine.

1. Perché tanta risolutezza da parte dell’Occidente nel bombardare Gheddafi e nel determinarne la caduta al fine di proteggere il suo stesso popolo dalla sua volontà di sterminio oppure nel decretare la fine di Saddam Hussein sulla base del falso presupposto che questi fosse in possesso di armi chimiche, mentre ora gli Stati occidentali che costituiscono la coalizione antiIsis si stanno mostrando cosí poco efficaci nella neutralizzazione dei guerriglieri islamisti, a fronte di massacri ben più crudeli e disumani di quelli attuati dai due leaders sopra citati?

2. Come mai l’Isis cominciava ad attaccare il Libano subito dopo l’ultima e più recente invasione militare israeliana della striscia di Gaza, invasione che avrebbe potuto senz’altro provocare una reazione armata propria da parte dei combattenti libanesi? Non è curioso che in questo frangente, pur senza voler fare del facile complottismo, i guerriglieri o meglio i terroristi dello Stato islamico sembra abbiano voluto dare paradossalmente una mano proprio agli israeliani?

3. Non è possibile stabilire al momento chi ci sia dietro l’Isis. Ma chi potrebbe trarne dei vantaggi ed essere perciò propenso a sostenere, almeno indirettamente, lo Stato islamico e il nuovo Califfo del XXI secolo? E’ quasi certo che il primo beneficiario sia il Qatar, un Paese arabo piccolo ma ricchissimo di petrolio e gas naturale che non ha fatto mai mistero dei suoi rapporti conflittuali con Paesi vicini quali la Giordania, l’Arabia Saudita e gli Emirati arabi, i quali non a caso e per bocca degli stessi jihadisti costituiscono i prossimi obiettivi dell’espansionismo islamista. E’ pertanto probabile che il Qatar, che ambisce ad allargare la sua area d’influenza attraverso un ridimensionamento degli Stati confinanti e magari attraverso la creazione di un forte califfato e che significativamente ha finito per defilarsi rispetto all’alleanza antiIsis dei Paesi suddetti con gli USA, sia tra i principali finanziatori della suddetta formazione terroristica.

4. E’ un dato di fatto inoppugnabile che l’odierno governo israeliano sia costituito dai partiti più estremisti e nazionalisti e che un sogno accomuna tutti questi movimenti: la ricostruzione della Grande Israele biblica, uno Stato che si estenderebbe dal Sinai egiziano sino agli attuali territori israeliani e a tutta la Palestina e infine al Libano con l’inclusione di parti dell’Egitto, della Giordania e della Siria. Ora, il caso vuole che attualmente l’Egitto stia attraversando un periodo storico molto caotico, l’Iraq e la Siria siano sotto il frenetico ed implacabile assedio dei jihadisti islamici, mentre Giordania, Libano e Arabia Saudita siano, come già detto, nel loro mirino. Per ricostituire la Grande Israele, potrebbe forse lo Stato ebraico perseguire tale obiettivo aggredendo direttamente questi Paesi? Certo che no, perché non solo si inimicherebbe tutto il mondo arabo ma verrebbe immediatamente condannato e isolato dalla comunità internazionale molto più duramente di quanto quest’ultima non abbia fatto sinora a seguito delle frequenti violazioni israeliane del diritto internazionale.

Molto meglio, questa è l’ipotesi, è finanziare una formazione estremista islamica per farla combattere anche per i propri interessi nazionali, nel senso che il lavoro sporco verrebbe fatto dai criminali jihadisti che potrebbero a quel punto consentire ad Israele, sia pure con una loro opposizione formale, di “liberare” con qualche apparente azione di guerra i territori da essi precedentemente conquistati: in cambio, però, Israele potrebbe non ostacolare il piano jihadista di costituzione di un Grande Califfato nelle restanti e ampie zone mediorientali. A quel punto come potrebbe l’opinione pubblica mondiale sospettare che un rivolgimento cosí radicale dello scenario politico e territoriale del Medioriente potrà essere stato frutto di un imbroglio miserabile tacitamente concordato tra israeliani e jihadisti? Ci vorrà molto tempo per verificare l’attendibilità di questa ipotesi, ma sembra oggi ragionevole non accantonarla come semplice parto di fantasia.

5. Dunque, insieme al Qatar, altro indiziato di collusione indiretta col nemico jihadista è Israele. Il terzo indiziato potrebbero ben essere gli Stati Uniti. Perché gli USA, che pure hanno dichiarato guerra all’Isis, potrebbero trarre vantaggio da un’espansione politico-militare dell’Isis? Come grande sceriffo della civiltà occidentale, gli USA non potevano assistere passivamente alle sue azioni barbariche e contrarie ad ogni più elementare principio di umanità e moralità, e dunque hanno bombardato e bombardano qua e là le milizie islamiste senza tuttavia produrre loro danni troppo ingenti e tali da ridurne sensibilmente le capacità offensive. Anzi, gli USA mettono le mani avanti per giustificare la relativa inefficacia dei loro bombardamenti accusando gli alleati Paesi europei di non impegnarsi a sufficienza o di non sapersi o volersi coordinare adeguatamente con i comandi militari statunitensi.

Ma è invece possibile che gli americani non vogliano del tutto scoraggiare l’espansionismo jihadista (secondo quanto sostenuto anche da David D. Kirkpatrick, Chi c’è dietro l’Isis, in “New York Times” del 24 settembre 2014, che riporta la seguente congettura di derivazione irachena: «L’Isis è una creazione statunitense. Gli Stati Uniti stanno intervenendo nuovamente usando come scusa lo Stato islamico»), perché alla lunga esso potrebbe fare loro comodo, nel senso che i jihadisti, entrando in possesso in prospettiva dei ricchi giacimenti di petrolio esistenti in Arabia Saudita, Emirati arabi, Giordania e magari lo stesso Iran (non a caso l’avversario più temibile tanto per Israele che per Isis), oltre che in Iraq (le cui possibilità di produzione petrolifera sono state già drasticamente ridotte dalle precedenti guerre), finirebbero per ridurre sensibilmente la produzione petrolifera oggi in gran parte esportata nei Paesi occidentali ed europei ma che essi per l’appunto, almeno per un lungo periodo di tempo, interromperebbero proprio per creare danni all’economia e al fabbisogno energetico dell’Occidente in genere, e a quel punto gli USA, già ora autosufficienti, potrebbero vendere il proprio petrolio in Europa, azzoppando i loro avversari mediorientali.

E Giuseppe Cirillo conclude cosí la sua disamina: «Chi veramente sia il principale sostenitore dell’Isis noi non possiamo saperlo ma alla luce di queste considerazioni possiamo monitorare gli avvenimenti futuri per capire i veri scopi dei finanziatori di questi terroristi. Non è da escludere che questi tre stati siano tutti sostenitori dell’ISIS, dato che i loro scopi possono anche coincidere: una Grande Israele circondata da un grande Califfato che favorisce il greggio americano e ostacola se non proprio combatte Russia e Cina. Un ricchissimo e forte Califfato Islamico potrebbe far la guerra a Russia e Cina al posto degli Stati Uniti (ricordiamoci che i Russi hanno già in casa i Ceceni e i Cinesi hanno gli Uiguri) e perché no, anche l’Europa amica-nemica degli USA potrebbe essere un bersaglio» (ivi).

Già: l’Europa, l’Europa ancora in qualche modo cristiana, e soprattutto l’Italia, centro della cristianità mondiale: Europa e Italia, sembra opportuno aggiungere, non sarebbero solo nemici dei fanatici jihadisti sul piano politico, economico e militare, ma anche e principalmente sul piano umano, morale e religioso. Il giorno in cui, Dio non voglia, questi nuovi inviati omicidi di Satana, dovessero fare ingresso nella Basilica romana di San Pietro, i cristiani dovrebbero prepararsi ad immolare le loro vite come oggi fanno eroicamente in tanti Paesi mediorientali molti loro fratelli martiri  sperando nell’immediato e trionfale ritorno di Cristo in terra, mentre i non cristiani dovrebbero forse augurarsi di morire prima di diventare carne da macello nelle mani dei degni eredi del sanguinario Maometto.

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