di Stefano Guerin
L’economista Emiliano Brancaccio, in alcuni articoli scritti e pubblicati tra il gennaio e l’agosto del 2014, si è divertito a prendere in giro il premier Renzi per aver questi definito “gufi” e quindi in sostanza “iettatori” in malafede tutti coloro, compreso Brancaccio, che, da quando è diventato presidente del Consiglio, non hanno fatto altro che criticare tutte le sue iniziative governative, tutti i decreti e i provvedimenti economico-finanziari adottati per far uscire l’Italia dalla crisi, per alleggerirne il debito pubblico, per ridurne il gap rispetto ai Paesi europei più sviluppati, per riformare il mondo del lavoro e rilanciare l’occupazione giovanile, senza trascurare i ceti sociali più deboli della popolazione. Poiché la manovra obiettivamente non è riuscita se non in parte, Brancaccio lo prende in giro perché, dice, “i gufi avevano ragione”, alludendo principalmente a se stesso. Infatti, argomenta, contraddittoria sarebbe quella “flessibilità nel rigore” chiesta da Renzi in Europa perché, a parte il tentativo di “rinviare le scadenze”, non intende cambiare né i parametri finanziari fissati dai burocrati di Bruxelles, né il Fiscal Compact, né tutti gli altri “patti” su cui si regge l’Unione Europea, per cui, «ammesso che Renzi riesca a spuntarla» con le Commissioni UE ed Ecofin, la sua alla fine sarebbe «una conquista risibile rispetto alla gravità della situazione».A parte il fatto che la ricostruzione di Brancaccio non è del tutto veritiera, avendo Renzi dichiarato ripetutamente anche in qualità di presidente del Consiglio che, proprio perché l’Italia si impegna a rispettare le regole oggi vigenti, essa ha anche il diritto di chiedere che le regole nel tempo possano essere riviste o cambiate in funzione di un’economia reale e non più puramente speculativa, e avendo egli precisato che l’Europa non deve fare solo i conti ai suoi Paesi membri ma deve concretamente impegnarsi in una concreta opera di investimenti e di forte rilancio dell’occupazione giovanile a livello continentale, è stupefacente la sottovalutazione dell’economista campano circa la richiesta renziana di “rinviare le scadenze”, a meno che egli non presupponga che l’unica mossa vincente di Renzi sia quella di cercare uno scontro frontale e definitivo con i poteri europei costituiti.
Evidentemente, per Brancaccio, avere qualche anno di tempo in più per raggiungere gli obiettivi di pareggio del bilancio è poca cosa, mentre in realtà scadenze più comode o meno stringenti potrebbe significare la possibilità di non dovere usare tutte le tasse introitate dallo Stato per pagare il debito pubblico ma di poterne dirottare una parte verso investimenti interni e necessari a finanziare in qualche misura le imprese in crisi, le infrastrutture, la scuola e la ricerca, il rilancio del lavoro specie di quello giovanile.
Ma, soprattutto, Brancaccio dice il falso nell’attribuire a Renzi la volontà di proseguire, solo con qualche variante irrilevante, la politica dell’austerità sin qui imposta dalla UE e posta in essere dai suoi predecessori. Anche prima che si sapesse del relativo ma significativo calo della crescita francese e soprattutto tedesca, Renzi non aveva fatto altro che sbracciarsi contro l’Europa dei burocrati e dei banchieri e a favore dell’Europa dei popoli e dei bisogni reali della gente, dove non dobbiamo essere certo noi a spiegare all’economista Brancaccio cosa questo possa venire implicando sul terreno squisitamente economico e finanziario o meglio sul terreno dell’economia reale. Non sono più sicuro, come lo ero sino a prima che Renzi prendesse in mano le redini del PD e del governo italiano, che Renzi, secondo l’allusione di Brancaccio, sia un fautore del “liberoscambismo di sinistra”.
Ancora è presto per dire, ma a me sembra sempre più imprudente sostenere che Renzi tenga più agli interessi della finanza nazionale ed internazionale che a quelli reali del popolo italiano, non foss’altro che per aver chiaramente capito che i governanti che si legano alle oligarchie finanziarie prima o poi vengono travolti dalla indignata volontà popolare, mentre solo i governanti che si rendono, sia pure in diversa misura, organici alle necessità della gente, hanno qualche buona probabilità, se capaci e non tracotanti, di restare per qualche tempo sulla scena politica ai più alti livelli.
Renzi non può essere tacciato, come fa disinvoltamente Brancaccio, di facile “ottimismo”. Al contrario è molto realista e sa bene che di solo “rigore” si muore, ma, proprio perché realista, sa altrettanto bene che le rivoluzioni non si fanno dall’oggi al domani contro potentissimi apparati di potere ma gradualmente, cercando di convincere quest’ultimi, magari anche con l’aiuto di fenomeni economici del tutto inattesi nel breve periodo, che le oligarchie finanziarie possono difendere i propri interessi molto meglio col consentire agli Stati e ai popoli di riprendersi e di ritrovare la via di un sufficiente benessere che non con il reprimere sistematicamente ogni legittima richiesta di aumenti salariali o di mantenimento dei posti di lavoro.
Non so se sia completamente vero che, come più recentemente ha affermato Brancaccio, «il bonus degli 80 euro è servito a far vincere le elezioni europee a Renzi e a dargli la convinzione, alimentata e diffusa da tanti servi, di essere l’uomo della Provvidenza ma non hanno minimamente influito sulla situazione economica…». In effetti, «è illusorio pensare che gli 80 euro in più in busta paga si possano interamente trasformare in consumi. Ma soprattutto, occorre ricordare che la famigerata manovra degli 80 euro si inscrive in una politica di bilancio che nel complesso rimane depressiva. Il governo continua a sottrarre all’economia più di quanto eroghi: l’obiettivo generale della politica economica resta infatti quello di attuare un prelievo fiscale che eccede la spesa pubblica al netto degli interessi. Questo significa che i cittadini e le imprese si trovano da un lato con 80 euro in più, ma dall’altro lato registrano tagli ulteriori ai servizi e aumenti delle tariffe. E temono incrementi di altre voci di imposta. L’effetto finale sulle capacità complessive di spesa resta dunque negativo».
Io penso che Brancaccio sia un economista serio, anche se fa troppo affidamento sulla scienza economica che, orientata a destra o a sinistra, resta pur sempre altamente fallibile e non può pretendere in nessun caso di plasmare o orientare la realtà a proprio piacimento perché essa contiene costitutivamente troppe variabili per poter essere ingabbiata o “anticipata” persino nelle reti teoriche e nelle previsioni “scientifiche” più solide e collaudate. Le sue analisi sono sempre interessanti e utili, ma quello che appare stucchevole in lui è la nascosta saccenteria con cui pensa di impartire grandi lezioni di economia a Matteo Renzi che probabilmente di economia ne sa più di lui soprattutto perché nel mondo economico ci lavora come politico che si sporca le mani per trasformarne pragmaticamente, tra tentativi
ed errori, processi e regole, e non si limita a contemplare teoricamente e criticamente tale mondo. Non aver colto la sostanziale differenza intercorrente tra Renzi, nonostante i suoi evidenti limiti, e i suoi predecessori, è il peggiore e imperdonabile limite del molto teorico Brancaccio.
Stefano Guerin