La pace di Israele è solo la guerra

Peccherò forse di presunzione, ma non avevo alcun dubbio circa il fatto che i rapporti tra Israele e Palestina sarebbero tornati ad essere molto tesi all’indomani del cosiddetto “incontro di preghiera” tra israeliani, islamici, ortodossi e cattolici, promosso e organizzato da papa Francesco e svoltosi l’8 giugno scorso nei Giardini Vaticani, sul quale in questo blog avevo manifestato le mie riserve sia in senso religioso che in senso politico. Appena sette giorni dopo, gli israeliani si sono rimessi a sparare sui palestinesi causando nuove vittime e nuove distruzioni, procedendo ai consueti rastrellamenti e perquisizioni, procurando altro pesantissimo disagio materiale e spirituale al popolo di Palestina.

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Motivo? Perché pare che tre giovani coloni studenti di una yeshiva (scuola ebraica) siano spariti e probabilmente rapiti in un territorio ben controllato dalle ronde militari di Israele. Ma prove evidenti sul rapimento e soprattutto sugli autori del rapimento come sulle ragioni che ne
images (47)starebbero alla base non ve ne sono, ragion per cui devono essere considerati, come al solito, totalmente illegittimi e criminali tanto i bombardamenti dell’aviazione israeliana quanto i rastrellamenti e gli arresti eseguiti dall’esercito israeliano.

Anche se gli autori del rapimento fossero realmente i palestinesi la reazione israeliana, beninteso, sarebbe comunque sproporzionata e vile, visti gli esigui e inconsistenti mezzi di difesa di cui dispongono i palestinesi, ma essa è ancora più grave e completamente inescusabile se si dovesse accertare che la rappresaglia di Netanyahu, sotti i cui feroci colpi, sta bruciando la Palestina, sia la conseguenza di una farsa creata dagli stessi “servizi” israeliani per giustificare per l’appunto l’ennesima aggressione ai palestinesi. images (48)

Ennesima aggressione antipalestinese, sostenuta e giustificata dall’ennesima presa di posizione proIsraele da parte degli USA che, ber bocca del segretario di Stato John Kerry, prendono ipocritamente per buona la versione di Netanhyau: quella per cui il rapimento porterebbe la firma di Hamas, nonostante l’organizzazione islamica, attraverso il suo portavoce Dami Abu Zhuri, abbia smentito download (5)
categoricamente definendo “ridicole” le accuse israeliane. Fatto sta che, ad oggi, i responsabili dello Stato israeliano non hanno fornito alcuna prova della colpevolezza di Hamas. Quel che al più poteva essere un episodio da indagare in termini di polizia israeliana è diventato immediatamente, saltando ogni logica e doverosa procedura investigativa, un acclarato casus belli.

E l’Europa che fa? Forse non dorme perché sono ben note le sue riserve sul modus operandi degli israeliani in Palestina, ma certo non si può dire che sia attivamente e coraggiosamente impegnata a lavorare

                                                    images (49)per una pace effettiva in Medioriente e più specificamente in Palestina. L’Europa ha la possibilità o meglio lo strumento che gli consentirebbe di liberare Gaza dal blocco completo imposto dal governo israeliano attuando gli accordi di sorveglianza della frontiera in base per l’appunto a quell’“Eubam Rafah”, sottoscritta da israeliani e palestinesi con la partecipazione di garanzia della UE il 24 novembre 2005, al fine di monitorare le operazioni del valico di frontiera tra la striscia di Gaza e l’Egitto per garantire il ripristino della libera circolazione anche per via marittima di merci e uomini e lo spostamento di migliaia di persone palestinesi tra le due parti della Palestina al momento non comunicanti per l’interposizione armata di Israele. Questo del libero commercio e della libera circolazione umana in quell’area che penalizza pesantemente il popolo palestinese sia dal punto di vista economico che dal punto di vista umano e civile, corrisponde peraltro ad un autonomo progetto europeo approvato e finanziato nel 2000 e mai portato a termine.

E l’Italia? E’ ormai prossimo ad iniziare il semestre italiano di presidenza europea, e Renzi potrebbe assolvere una funzione molto importante a favore dei palestinesi e della pace in Medioriente. La speranza è che, anche come cattolico, sappia smarcarsi dalle notevoli influenze delle sue ben note amicizie con ambienti economici e politici israeliani, al fine di “costringere” lo Stato di Israele, in sede economica e politica, ad accettare finalmente la creazione dei due Stati, uno accanto all’altro, benché a Shimon Peres sia succeduto recentemente nella carica di presidente dello Stato d’Israele un certo Reuven Rivlin molto meno “dialogante” del suo predecessore (che pure non si era certo immolato sull’altare della pacificazione con il mondo palestinese) ed esponente dell’ala destra del partito nazionalista Likud.

Idealmente vicino a Netanyahu, anche se da lui distante per questioni personali, Rivlin vorrebbe un unico Stato comprensivo di Israele e Palestina, inglobante ebrei, cristiani e musulmani da mettere tutti sotto la stessa legge con uguali diritti e uguali doveri, ma il cui governo dovrebbe restare saldamente in mano agli israeliani di religione ebraica anche se dovessero essere minoritari rispetto agli altri gruppi etnici e religiosi.images (50)

Questa è dunque l’inaccettabile situazione in cui i palestinesi restano condannati a vivere non si sa bene ancora per quanto tempo. E la Chiesa? Cosa può fare la Chiesa visto che i suoi incontri interreligiosi di preghiera sembrano miseramente fallire? Anzi, è il caso di sottolineare che Israele, tornando ad essere particolarmente aggressiva verso il popolo di Palestina proprio all’indomani della “preghiera comune” nei Giardini Vaticani, ha inteso inviare un messaggio politico ben preciso al mondo intero: non ci sono né potenze politiche né potenze spirituali che potranno mai indurci a dividere con altri quello che riteniamo essere l’irrinunciabile “spazio vitale” della nostra esistenza, dei nostri diritti oltre che della nostra sicurezza, del nostro futuro di popolo eletto di Dio.

Penso che la Chiesa debba modificare il suo rapporto con Israele, che negli ultimi decenni si è andato facendo troppo sterilmente e mollemente dialogante, compromettendo probabilmente, sia pure in buona fede, non solo la sua funzione profetica ed evangelizzatrice nel mondo mediorientale ma persino quei concreti interessi economici e geopolitici che essa, forse sbagliando, ha ritenuto e ritiene di poter più efficacemente perseguire in Terra Santa attraverso una politica religiosa conciliante e compromissoria.

A Israele la pace di Cristo non interessa, per cui non può interessarle una pace fondata sul rispetto dei popoli vicini, sulla giustizia e sulla fratellanza, che però è proprio quello che la Chiesa cattolica è tenuta ad annunciare.                    download (6)Questa è la situazione che non potrà naturalmente mutare sino a quando l’Europa non sarà capace, anche con una ritrovata autonomia di vedute e d’azione rispetto al partner americano di oltre Atlantico, di assumere verso lo Stato di Israele iniziative politiche ed economiche talmente severe e al tempo stesso efficaci da accentuarne sensibilmente l’isolamento internazionale e da indurlo prima o poi a concedere ai palestinesi la loro sovranità statuale e nazionale, ma soprattutto sino a quando Dio consentirà per l’ennesima volta al popolo dalla “dura cervice” di perseguire disegni contrari alla sua volontà.

 

 

 

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