Renzi plaude a Prodi: stiamo freschi!

Prodi ha pubblicato su “Il Messaggero” del 22 giugno 2014 un articolo in cui formula 8 proposte per il rilancio dell’attività industriale in Italia. Salutate da Matteo Renzi addiritturaimages (41) come manifesto di un rinascimento industriale italiano, tali proposte, pur non conoscendo e non aspirando io a conoscere l’economia come la conosce il prof. Prodi, mi sembrano francamente generiche e fumose, astratte ed evasive, e soprattutto riconducibili a certo consueto liberismo “illuminato” che, soprattutto per quanto riguarda i Paesi europei e l’Italia, nell’ultimo quindicennio ha prodotto solo regresso produttivo, vertiginosa disoccupazione e povertà economica.images (42)

La sua prima proposta per una nuova politica industriale può essere cosí riassunta: le aziende non devono finanziarsi solo attraverso le banche ma anche attraverso fonti alternative di capitale ivi compreso un incremento di autofinanziamento aziendale da parte degli stessi proprietari o associati imprenditoriali. Poiché Prodi sa benissimo che le aziende, a giudicare da quel che è accaduto specialmente nell’ultimo decennio, hanno in genere moltissime difficoltà ad essere rifornite finanziariamente dalle banche, è come se egli dicesse che le aziende di domani faranno bene a cercarsi altre fonti di finanziamento senza confidare troppo nei crediti e nei prestiti bancari. Magnifico! E lo Stato?

La seconda proposta suggerisce di varare buone politiche pubbliche e bancarie volte a favorire fusioni e concentrazioni industriali al fine di diminuire i costi di produzione, di aumentare il profitto e di accrescere la competitività delle strutture produttive italiane nei nuovi mercati globaliEcco: lo Stato qui esercita la funzione di supportare finanziariamente con il concorso delle banche, in tal caso più certo perché più interessato, non tanto la piccola e media imprenditoria quanto principalmente la grande imprenditoria privata, ovvero i gruppi industriali privati più forti destinati a mangiarsi come al solito i più deboli.

images (43)In sostanza, lo Stato, pensa Prodi, dovrebbe, con la politica delle fusioni e delle concentrazioni, favorire la crescita e la tenuta sul mercato internazionale di poche e grandi imprese, senza preoccuparsi di calcolare i costi sociali e indirettamente economici di un’operazione del genere, a cominciare da un’altamente probabile e ulteriore contrazione dei posti di lavoro e quindi da un incremento della disoccupazione con inevitabili ricadute negative sul consumo, per non dire poi che i grandi gruppi industriali potrebbero anche non reggere alla lunga la concorrenza internazionale.

La terza proposta prevede un adeguato soccorso finanziario, per esempio attraverso fondazioni private di controllo, finalizzato a garantire la continuità delle imprese anche nel caso in cui i proprietari familiari di quest’ultime vengano a trovarsi in difficoltà. Ritengo non necessario dimostrare il carattere del tutto aleatorio di questa proposta, la cui ispirazione però, come si vede,  muove ancora una volta dai presupposti privatistici e liberisti dell’intera teoria economica prodiana che sembra richiamarsi allo Stato quasi esclusivamente per richiederne la disponibilità a sostenere, direttamente o indirettamente, l’iniziativa e gli interessi privati soprattutto nelle loro forme più aggressive dal punto di vista finanziario.

La quarta proposta contiene un invito a procedere ad una revisione del diritto fallimentare in modo tale da consentire una seconda chance agli imprenditori che sbagliano e non raggiungono adeguati obiettivi produttivi ed economici, cioè la possibilità di riprovare con una nuova iniziativa economica. Formulata in questi termini, questa proposta potrebbe avere delle serissime controindicazioni non solo economiche ma anche e soprattutto morali, ma può darsi che il professor Prodi, sempre bravo a mettere pezze postume ai suoi ragionamenti spesso lacunosi e campati in aria, scriva prossimamente un altro articolo per precisare bene il senso delle sue parole.
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La quinta proposta spiega che noi potremmo essere un Paese attraente o attrattivo per le grandi multinazionali senza bisogno di ridurre il costo del lavoro, essendo esso già competitivo rispetto ai grandi Paesi europei, ma rimodulando le modalità dello stesso lavoro produttivo in modo da renderlo “più flessibile, cooperativo e logico”, ovvero semplificando la burocrazia, creando moderne infrastrutture, combattendo la criminalità, riducendo il peso fiscale su aziende e lavoro, dove però continua ad essere completamente latitante la preoccupazione prodiana per la tutela del lavoro e dei lavoratori rispetto agli interessi non sempre o quasi mai legittimi del capitale.

In effetti, se lo Stato semplifica la burocrazia, crea infrastrutture, combatte la criminalità e concede agevolazioni fiscali alle aziende, senza mettere al centro della sua agenda e della sua programmazione economica il problema di come offrire un posto di lavoro a tutti i cittadini che ne abbiano diritto e di come garantire loro il mantenimento del posto di lavoro e la regolare riscossione di salari adeguati alle proprie mansioni e competenze, tutte le misure sopra indicate non solo sono inutili ma sono ancora una volta funzionali a perpetuare situazioni di abuso privato, di iniquità sociale, di corruzione e criminalità.

La sesta proposta si potrebbe definire delle “buone intenzioni”, giacché consiste praticamente in un’esortazione, peraltro molto generica, a fare in modo che finalmente l’Europa investa nei settori industriali più convenienti attraverso una selezione intelligente e lungimirante. Ma, e la domanda è solo in parte polemica, un’Europa nata e cresciuta principalmente per derubare i popoli della loro ricchezza, potrà essere mai interessata a fare investimenti mirati nell’interesse degli stessi popoli che ne fanno parte? Forse sí, per tentare di neutralizzare l’ondata populistica che si è abbattuta recentemente su di essa, ma in che misura e per quanto tempo?

Infine, la settima e l’ottava proposta riguardano la politica energetica nazionale ed europea e quella formazione o educazione tecnica necessaria a favorire un virtuoso intreccio tra la domanda e l’offerta di lavoro con un rilancio della funzione primaria che l’industria energetica italiana potrebbe ben svolgere in tutta l’Europa. Proposte, quest’ultime, certamente condivisibili come auspicio ma molto più difficilmente condivisibili ove siano da considerare, come sembra pretendere Prodi, quali prodotti di un’analisi e di una valutazione realistiche e almeno tendenzialmente oggettive.

Ora, in tutto questo Matteo Renzi, beato lui, vede il manifesto di un rinascimento industriale italiano. Ammesso e non concesso che di rinascimento possa trattarsi, bisognerebbe rispondere ad un’altra domanda: rinascimento industriale fine a se stesso o rinascimento industriale suscettibile di convertirsi in un ben più importante rinascimento economico e sociale nazionale?

Per quanto mi riguarda anche o soprattutto come cattolico, resto molto critico nei confronti di quest’ennesima “uscita” di Prodi, che vorrebbe fare il modesto ma che è sempre lí a tentare di farsi notare per non perdere la speranza di occupare altre prestigiose poltrone oltre quelle che ha già occupato in passato spesso con demerito. In fondo, anche queste “otto proposte” sono il portato della sua storia che è forse, come qualcuno sostiene, una storia di arricchimento economico personale e di onori immeritati pure riconosciutigli in diversi Paesi del mondo, mentre è di sicuro una storia di clamorosi e oggettivi insuccessi.

Non c’è infatti dubbio che il curriculum di Prodi sia su tutti i fronti che lo hanno visto protagonista totalmente fallimentare: negativo è stato il suo ruolo di manager di aziende pubbliche e private; negativo è stato il suo ruolo di politico e di presidente del Consiglio; negativo il suo ruolo di teorico “europeista” e di artefice dell’introduzione della moneta unica in Europa; negativo il suo ruolo di economista, cosí negativo da meritare probabilmente quell’appellativo di “incompetente” dato dall’economista Lyndon LaRouche ad una moltitudine di economisti occidentali.

Un’ulteriore, pesante responsabilità, va attribuita a Prodi in quanto persona dichiaratamente cattolica, per aver egli contribuito a preparare il terreno alle odierne proposte di legge sui cosiddetti “diritti delle coppie omosessuali” con l’introduzione nel dibattito politico nazionale di quei DICO (Diritti e Doveri delle Persone stabilmente Conviventi) che rinfocolarono peraltro antichi e mai sopiti dissidi tra larga parte del mondo cattolico ed estese porzioni di mondo laico. Naturalmente, nessuno intende giudicare e ancor meno condannare Romano Prodi sotto un profilo spirituale e religioso, giacché l’ultimo giudizio al riguardo spetta a Dio, ma, anche data la sua rilevanza di uomo pubblico, era ed è doveroso, sotto lo stesso profilo evangelico, che chi abbia l’opportunità di esercitare una funzione critica nell’interesse del vero e del bene comune la esercitasse e la eserciti per contribuire a testimoniare, sia in senso politico ed economico, sia in senso etico e spirituale, tutto quello che sia o appaia giusto in perfetta buona fede testimoniare all’interno della comunità civile e religiosa.
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Ciò detto, sarebbe sperabile che Renzi non si affidasse troppo alle diagnosi e alle prescrizioni di Prodi, per evitare che altre sciagure debbano abbattersi sul nostro Paese.  

 

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