Quale pace per il Medioriente?

Anche quando si parla di pace in senso politico i cattolici non possono certo prescindere da Cristo e dalla sua Parola. Gesù proclama beati, cioè destinati ad essere eternamente felici, gli operatori di pace che non sono da confondere né con i pacifici, quelli che per carattere e per quiete personale tendono ad evitare ogni situazione di conflitto, né con i pacifisti, che pretendono generalmente di abolire la violenza e specialmente quella militare nella relazione tra Stati soltanto a colpi di dialogo e di trattative diplomatiche e indipendentemente da una valutazione oggettiva delle cause specifiche che sono alla base di determinati rapporti conflittuali.images (16)

Gli operatori di pace sono invece coloro che abitualmente e non saltuariamente lavorano a costruire la pace o a ripristinarla dove risulti perduta o compromessa, alla luce di uno spirito cristiano di verità e di giustizia. Al cristiano non interessa la pace per la pace, la pace che lascia che i violenti e i prepotenti continuino a fare quel che vogliono; al cristiano non interessa la pace solo affinché non si spari più e non ci siano più atti di terrorismo, ma affinché siano rimosse le ragioni dell’inimicizia e dell’odio tra le persone e i popoli.

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Non è senza significato che gli operatori di pace siano da Gesù proclamati beati esattamente come i perseguitati per la giustizia e per la giustizia divina, che non può non avere anche importanti ripercussioni sulla giustizia politica e sulle relazioni tra popoli e Stati, e come i miti che evangelicamente sono i non violenti che, benché consapevoli dei gravi torti subíti, sopportano pazientemente l’oppressione altrui ma senza rinunciare a tentare di far valere le proprie ragioni di oppressi e di sfruttati e soprattutto confidando sempre di poter essere liberati prima o poi da Dio.

Gesù dice chiaramente e programmaticamente: “non sono venuto a portare la pace ma la spada”, e la spada biblicamente, insieme alla bilancia, è il simbolo della giustizia, di una giustizia divina naturalmente cui tuttavia quella umana dovrebbe conformarsi il più possibile. Parlare di pace a prescindere dalla giustizia o addirittura in contrasto con essa significa proporre una pace ipocrita o, al più, una retorica della pace. Non può esserci pace, biblicamente ed evangelicamente, dove regna l’ingiustizia e dove vengono calpestati i diritti più elementari di uomini e donne. Certo, non è ancora sufficiente rimuovere le cause di iniquità strutturali o “di sistema” per creare vera e stabile pace, ma molto più difficile è preparare condizioni di pace se si lascia che ingiustizie e discriminazioni, forme di grave diseguaglianza etnica sociale o di censo, privilegi e prevaricazioni di vario genere, vengano radicandosi sempre di più sotto la spaventosa e costante minaccia delle armi.

Ora, non è proprio uno stato di intollerabile e violenta iniquità quello che sta perpetuandosi da circa mezzo secolo in Medioriente, in Palestina, a causa di uno Stato israeliano che, pur non mancando di commemorare ogni anno l’olocausto dei propri antenati, si è ormai e impunemente specializzato nell’alimentare, con sistematica freddezza e astuta perfidia politica, l’olocausto del popolo palestinese? Tutti sanno che Israele fa quel che gli pare e come gli pare: gli USA, l’Europa, i Paesi arabi e i Paesi africani, la Russia, l’Italia, la Chiesa. Tutti stanno assistendo più o meno passivamente, tra critiche e condanne occasionali, ad un genocidio progressivo della gente palestinese che, se non vivessimo nell’epoca dei grandi mezzi di comunicazione di massa, Israele non avrebbe probabilmente esitato ad attuare in un
images (22)colpo solo già da diverso tempo.

La cosa più tragicamente ridicola e indegna di questa importantissima storia mediorientale è che, senza essere contraddetti più di tanto e tranne rarissime eccezioni dal resto del mondo, gli israeliani giustifichino il loro massiccio e spregiudicato uso


della forza con gli attacchi “terroristici” islamici che di tanto in tanto hanno dovuto subire nel quadro del loro graduale e inarrestabile espansionismo imperialistico nei territori  mediorientali.

Non è più necessario documentare queste affermazioni: sui crimini, sulla ferocia, sull’arroganza di Israele esiste ormai una mole cosí impressionante di studi, di inchieste, di reportages, di ricostruzioni storico-politico-militari del tutto obiettive e affidabili, che solo gli ipocriti e i vili possono continuare a parlare di legittimi interessi israeliani che andrebbero tutelati necessariamente con la forza rispetto a sempre supposti e insorgenti tentativi di ridimensionare la presenza del popolo israeliano nel mondo.

Già verso la fine del 2010, diversi giornali israeliani si rifiutavano di pubblicare persino un articolo innocente (“Giardini, non muri”) come quello dell’attivista ebraica Daphna Golan, docente presso la Hebrew University di Gerusalemme, ex direttrice di Bat Shalom, l’organizzazione di donne israeliane unite a donne palestinesi nel “Centro di Gerusalemme”, e infine madre di due figli, entrambi obiettori di coscienza.

Quali erano  i contenuti altamente eversivi di questo articolo? La professoressa Golan scriveva allora che i confini tra territori israeliani e territori palestinesi «dovrebbero essere separati da giardini verdi, non da muri, barriere e soldati», che «la costruzione del muro deve essere congelata immediatamente» e «la demolizione di case e l’espulsione dei palestinesi dalle loro case a Sheikh Jarrah e negli altri quartieri di Gerusalemme deve fermarsi». Inoltre, scriveva, «la fornitura di armi per mantenere costante l’occupazione deve fermarsi», mentre d’altra parte era del tutto arbitrario che non vi fosse «un’equa distribuzione delle acque e delle terre tra tutti coloro che piantano, e che sperano di raccogliere frutti».download (1)

Un abuso israeliano altrettanto intollerabile era quello di «continuare a costruire enormi appartamenti con due posti auto coperti per gli ebrei sulla terra dei palestinesi, a cui è proibito downloadcoltivare persino la propria terra, piantare ortaggi, raccogliere olive». E’ semplicemente scandaloso che a Gaza il cibo possa arrivare «solo via mare» e che i suoi abitanti siano costretti a «contrabbandare cibo attraverso i tunnel» sotterranei quando avrebbero tutto il diritto di «coltivare la terra alla luce del sole».images (25)

Per queste dichiarazioni, la Golan oggi è considerata come una specie di pericolo pubblico in Israele. Ora, come tutti sanno, qualche giorno fa si è svolta nei Giardini Vaticani “una giornata di preghiera”, voluta da papa Francesco principalmente con Shimon Peres presidente israeliano ormai prossimo a congedarsi dall’attività politica e Abu Mazen presidente palestinese. L’“Osservatore Romano”, commentando l’evento, ha affermato che in questa occasione sarebbe ritornata attuale l’idea di Giorgio La Pira di una «Chiesa come centro di gravità delle Nazioni», di una Chiesa quindi che non si limiterebbe a parlare ma agirebbe con gesti molto concreti sia pure «nel modo che le è proprio: attraverso la preghiera» (G. Bassetti, Per abbattere i muri e costruire ponti. Il sogno di La Pira, 6 giugno 2014). Io penso che la propaganda, sia pure fatta in buona fede come in questo caso, non serva molto a rilanciare il ruolo spirituale universale della Chiesa e ancor meno un suo ruolo indirettamente ma incisivamente politico in un’epoca in cui sia la spiritualità sia la politica risultano abbondantemente latitanti.

Perché, mi spiace dirlo come cattolico pur sottomesso alla sua Chiesa e al suo papa, di propaganda si tratta e poco altro, nonostante l’iniziativa pontificia possa forse rivelarsi utile domani in quanto ulteriore opportunità di dialogo politico tra israeliani e palestinesi. Ma, considerando aposteriori l’avvenimento in sé, esso obiettivamente non può non essere considerato fallimentare: sia dal punto di vista politico, perché non pare che nel breve scambio privato di idee tra Peres e Mazen al cospetto del papa si siano registrate novità di rilievo e perché, se anche il presidente israeliano abbia per ipotesi promesso o concesso qualcosa di significativo al presidente palestinese, la sua, ammesso e non concesso che sia totalmente sincera, è destinata a restare la parola del tutto informale e ininfluente di un’autorità politica ormai alla fine del suo mandato; e sia dal punto di vista spirituale e religioso, perché francamente sono venute a mancare le vere condizioni che possano rendere gradita a Dio una preghiera comune come quella che si è pensato di organizzare.

Infatti, ognuno ha recitato le sue preghiere, senza capire che la preghiera non può consistere o risolversi nella lettura di alcuni testi religiosi, che esponenti israeliani ed esponenti islamici hanno liberamente scelto piegandoli allusivamente alle rispettive esigenze politiche e che esponenti cattolici ed esponenti ortodossi hanno proposto altrettanto liberamente nominando per fortuna il nome di Gesù Cristo ma senza evocarne quegli insegnamenti sulla pace che avrebbero sicuramente irritato le parti convenute e soprattutto la rappresentanza d’Israele.

Come si possa pregare Dio, come si possa confidare nel suo ascolto, come si possa sperare che egli conceda la pace a popoli divisi da abissi di iniquità e di menzogna e ad una comunità internazionale che non sia per niente predisposta a riconoscere e a denunciare apertamente le cause fondamentali dell’ingiustizia e della schiavitù sovranamente incombenti su uomini, donne, vecchi e bambini palestinesi, è francamente non già un mistero della fede ma un evidente mistero di iniquità.

Qui non si tratta di addivenire a rinunce e a compromessi reciproci pure necessari ma che lascino squilibrati i rapporti di forza; qui si tratta di riconoscere una volta per sempre l’indipendenza e la libertà del popolo palestinese, la sua dignità di Stato sovrano, cosí come a suo tempo fu riconosciuta la sovranità nazionale dello Stato israeliano. Se ci si oppone alla prospettiva di uno Stato palestinese, accanto a quello israeliano, si è in malafede, ma ci si rende anche complici di gente che vive e opera in malafede se si fa finta di non conoscere il degrado, la miseria, le vessazioni, le privazioni e le umiliazioni inaudite cui sono sottoposti i fratelli palestinesi dal dominio politico-militare israeliano ormai da troppi decenni.

Una preghiera per la pace  va preparata spiritualmente, non può essere improvvisata o organizzata in modo estemporaneo, né può avere un valore puramente estetico, anche se il mondo è sempre pronto ad applaudire qualunque iniziativa di pace. La pace che può concedere il Signore non è una pace diplomatica, una pace ipocrita e di comodo che non riconosca l’uguale dignità e gli uguali diritti di tutti i contendenti. Si vuole chiedere ed ottenere una vera pace? Allora occorre cominciare a convertirsi sul serio, a giudicare e a stabilire il da farsi in spirito di verità e di giustizia, pur muovendo ognuno dalla propria fede. In secondo luogo, cristiani ed ebrei, anziché perdere tempo in invocazioni, preghiere, assemblee religiose e sacrifici rituali, diano corso ad azioni concrete secondo quanto suggerisce un testo biblico quale Isaia che cristiani e ebrei condividono: «Anche se moltiplicaste le preghiere, io non ascolterei: le vostre mani grondano sangue. Lavatevi, purificatevi, allontanate dai miei occhi il male delle vostre azioni. Cessate di fare il male, imparate a fare il bene, cercate la giustizia, soccorrete l’oppresso, rendete giustizia all’orfano, difendete la causa della vedova» (Is 1, 15-17).

E’ forse questo che lo Stato e il popolo di Israele, a parte sporadiche iniziative personali, si stanno impegnando a fare nei territori palestinesi e nei confronti del popolo di Palestina? Ed è forse chiudendo gli occhi sulle crudeltà israeliane che la Chiesa cattolica, la nostra amatissima Chiesa, può pensare di essere veramente utile alla pace in Palestina e in Medioriente?

Si può affermare che in particolare Israele, una delle principali potenze militari e nucleari del mondo, sia realmente desiderosa di pace e di vivere in pace con i vicini e con il mondo intero, o non è piuttosto vero che essa badi piuttosto all’esclusivo perseguimento  dei suoi interessi nazionali ed egemonici in tutta l’area mediorientale? La Chiesa cattolica ha certo il diritto e soprattutto il dovere di farsi promotrice di pace e di concordia là dove c’è guerra e discordia, ma tenendo fede e facendo tener fede con i fatti e non solo con le parole e le buone intenzioni alle regole biblico-evangeliche secondo le quali a Dio, per ottenere la pace, non bisogna innalzare altre preghiere e non bisogna fare altre richieste se non quella di avere, per la parte che compete ad ognuno, la forza di adottare finalmente delle decisioni oneste e degli impegni risolutivi nell’umile rispetto della verità e della libertà e dignità di tutti i popoli dell’area mediorientale.

Per questo, non comprendo le parole entusiastiche di padre Lombardi, di solito cosí sobrio e misurato, che, mettendo significativamente le mani un po’ avanti, ha commentato in questi termini a Radio Vaticana l’incontro di preghiera nei Giardini pontifici: «forse non scoppierà la pace, nel senso che la situazione non è che cambierà da un giorno all’altro in Medio Oriente; però, certamente le persone di buona volontà e le persone che credono in Dio hanno dato un contributo nuovo, un contributo forte, con tutte le loro forze per appellarsi all’aiuto della grazia del Signore, al dono della pace – la pace, noi crediamo che sia un dono – e alla capacità dei cuori di convertirsi ad un atteggiamento diverso. Il Papa parla sempre della cultura dell’incontro: ebbene, quello di ieri è stato veramente un incontro tra le persone, sotto il segno della fede» (P. Lombardi, Un contributo forte per il dono della pace, Radio Vaticana, 6 giugno 2014).

Personalmente sarei felice se il Signore, che è molto al di là delle nostre analisi e delle nostre previsioni, concedesse il dono della pace ad Israele, alla Palestina, al Medioriente, al mondo intero. Ma la percezione soggettiva che io ho avuto dell’incontro svoltosi “nella casa del papa” non mi induce a coltivare facili speranze, né sul piano religioso né su quello politico, e ho inteso solo spiegare, alla luce della mia fede e della mia pur modesta capacità di testimoniarla,  le ragioni non già del mio pessimismo (perché la fede non può mai essere pessimista) ma del mio realismo e delle mie considerazioni critiche.

Dobbiamo chiederci: perché il Signore dovrebbe dare il dono della pace a chi la pace non desidera veramente, a chi vuole la pace solo per continuare a sfruttare altri senza pericolo di rappresaglie o interferenze, solo per meglio derubare il proprio prossimo? Piuttosto, è giunto il tempo che i potenti di Israele riflettano seriamente sull’esodo del popolo ebraico ai tempi dell’antico Faraone d’Egitto. Potrebbe toccare loro un giorno di sentirsi dire da un profeta inviato da Dio quel che il Faraone si era sentito dire da Mosé: “lascia che il mio popolo vada in pace, restituiscigli la sua libertà e la sua dignità, perché altrimenti tu e il tuo esercito verrete distrutti!”.images (24)Intanto, i governi di tutto il mondo, a cominciare da quello italiano, trovino i modi più coraggiosi ed efficaci per rimuovere l’occupazione israeliana della Palestina, per arrestare il piano indiscriminato di insediamenti edilizi, per consentire la creazione di uno Stato palestinese a fianco di Israele con Gerusalemme come capitale del mondo. In caso contrario, il mondo stesso resterà sempre più prossimo a uno stato di guerra che non ad uno stato di pace e la stessa coscienza cattolica difficilmente potrà sentirsi pacificata con se stessa.

 

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