Movimento 5 Stelle: limiti e ambiguità

Non sempre il populismo è nemico della democrazia. A volte esso, in alcune sue forme, può essere necessario ad una rivitalizzazione democratica degli odierni sistemi elettorali-rappresentativi.

imagesA sostegno di questa tesi, lo studioso americano John McCormick cita Niccolò Machiavelli che, a suo giudizio, avrebbe proposto una concezione antioligarchica del potere. McCormick dice che, se il socialismo era stato il grido di dolore della società moderna, il populismo è il grido di dolore delle moderne democrazie

images (1)rappresentative, nel senso che esso inevitabilmente si manifesta nei regimi solo formalmente democratici ma sostanzialmente chiusi alla partecipazione popolare per ciò che si riferisce in particolare all’attività di governo (Sulla distinzione fra democrazia e populismo, inedito 2012).

Solo che i dirigenti, i capi o le élites dei movimenti o dei partiti populisti «si rivelano troppo spesso incompetenti o dedite esclusivamente ai propri interessi», donde la necessità che in definitiva sotto attento controllo critico restino non solo le élites politiche ed economiche, le élites per cosí dire istituzionali, ma anche le élites antistituzionali che aspirino alla conquista del potere nel nome stesso della democrazia o della vera democrazia (secondo quanto lo stesso McCormick era venuto ipotizzando in Il populismo è democratico. Machiavelli e gli appetiti della élite, in “Rasoio di Occam” di “Micromega” del 13 febbraio 2014 ma anche in Machiavellian Democracy, Cambridge University Press, 2011).

Il populismo può dunque essere una risorsa per la democrazia, a condizione che si sia in grado di cogliere esattamente le effettive caratteristiche della sua azione politica, la qualità delle sue proposte programmatiche, le finalità delle sue ambizioni di governo, e che si sia certi di poter intervenire eventualmente per bloccarne per tempo sbocchi autoritari o dittatoriali oltre che economicamente e socialmente dannosi per quegli stessi ceti popolari che nella fase contestativa avevano in esso riposto tutte le loro speranze. Il populismo o un certo populismo, dunque, può essere un giusto contrappeso alle democrazie élitarie ma questo non esime dal dovere civico e politico di esercitare un severo e costante controllo critico sulle possibili, e spesso reali, implicazioni antidemocratiche degli stessi movimenti o partiti populisti, come per esempio accade nel caso del Movimento 5 Stelle del comico Grillo.

Di questo Movimento non fanno parte solo giovani esagitati e mossi da furore ribellistico contro istituzioni e partiti, contro corruzione e illegalità, contro intoccabili caste sociali e pratiche clientelari assai radicate, né ad esso i più aderiscono solo per opportunismo o per convenienza personale, pur contandosi tra le sue fila una gran quantità di individui furbi e profittatori, ma vi si trovano anche persone del tutto aliene da calcoli o interessi personali come professionisti, artigiani, negozianti, studenti impegnati, giovani non fannulloni bensì realmente in cerca di un dignitoso posto di lavoro, ed è pur vero, comunque, che tale Movimento sia nato e si sia sviluppato oltre ogni possibile previsione su impulso del suo capo, ovvero del comico genovese Beppe Grillo, che, come è stato ineccepibilmente rilevato, ha dichiarato, durante un “memorabile” imagescolloquio istituzionale con il neopresidente del Consiglio Matteo Renzi, di «non essere democratico», e che in realtà «è solo una pessima copia di un Mussolini, che era teatrante anche lui, ma interpretò la reale paura borghese e cattolica della rivoluzione leninista e il realissimo disagio di milioni di combattenti che, tornati vivi e spesso a pezzi da quattro anni di trincea, si trovarono in un paese incapace di reinserirli in una migliore vita civile. E prese il governo quando aveva la metà degli anni di Grillo, che appunto a quell’età incassava cachet da centinaia di milioni a Sanremo, come quelli che oggi contesta a Fazio» (Federico Orlando, “Non sono democratico”. E dov’è la novità?, in “Europa” del 21 febbraio 2014).

Una valutazione obiettiva sul Movimento 5 Stelle non può dunque prescindere né dalla personalità piuttosto inquietante né dalle idee programmatiche abbastanza fumose e demagogiche del suo “capo”. Si pensi che questi, già in un post pubblicato sul suo blog in data 26 febbraio 2013, affermava che non fosse più sostenibile per la collettività nazionale pagare 19 milioni di pensioni e 4 milioni di dipendenti pubblici, mentre per contro proponeva di finanziare un indiscriminato reddito di cittadinanza innanzitutto con i fondi dei tradizionali ammortizzatori sociali come cassa integrazione e indennità di mobilità. Che dire: Grillo, un vero genio, un vero garantista, un vero democratico!

E’ opportuno rileggere qui alcuni folgoranti passaggi della sua analisi: «Il gruppo A non ha nulla da perdere, i giovani non pagano l’IMU perché non hanno una casa, e non avranno mai una pensione. Il gruppo B non vuole mollare nulla, ha spesso due case, un discreto conto corrente, e una buona pensione o la sicurezza di un posto di lavoro pubblico. Si profila a grandi linee uno scontro generazionale, nel quale al posto delle classi c’è l’età. Chi fa parte del gruppo A ha votato in generale per il M5S, chi fa parte del gruppo B per il Pld o il pdmenoelle. Non c’è nessuno scandalo in questo voto. E’ però un voto di transizione. Le giovani generazioni stanno sopportando il peso del presente senza avere alcun futuro e non si può pensare che lo faranno ancora per molto. Ogni mese lo Stato deve pagare 19 milioni di pensioni e 4 milioni di stipendi pubblici. Questo peso è insostenibile, è un dato di fatto, lo status quo è insostenibile, è possibile alimentarlo solo con nuove tasse e con nuovo debito pubblico, i cui interessi sono pagati anch’essi dalle tasse. E’ una macchina infernale che sta prosciugando le risorse del Paese. Va sostituita con un reddito di cittadinanza».

Ma pensa: Grillo si preoccupa accoratamente del destino dei giovani italiani! In realtà anche lui, come tanti altri “reazionari” di questo Paese, parla di “scontro generazionale” solo per giustificare sostanzialmente la sua proposta di abbattere i diritti residui di uno Stato Sociale in via di estinzione: il diritto ad una sacrosanta pensione, il diritto ad uno stipendio adeguato, il diritto ad una vita dignitosa. Egli pensa di dire una cosa intelligente e sensata nel rilevare che, poiché la crescente specializzazione del lavoro comporterà una sempre più accentuata riduzione di posti di lavoro e poiché nel frattempo non potranno essere aumentate indefinitamente le tasse per pagare il debito pubblico, l’unica via d’uscita sarà quella di procedere ad una sostanziosa e ulteriore riforma del mondo pensionistico e ad una non meno significativa riduzione degli stipendi dei dipendenti pubblici per poter assicurare a tutti indistintamente un reddito di cittadinanza pari ad 800 euri mensili!

E’ come se ci dicesse: sarete tutti più poveri ma in cambio sarà introdotto per tutti e per i giovani in particolare il reddito sopra indicato all’unica condizione che si sia disposti a scegliere tra tre opzioni di lavoro che le autorità governative o locali si incaricheranno di proporre a chi sarà nella condizione di beneficiare del reddito. Grillo quindi di fatto pensa a demolire ulteriormente lo Stato sociale, i diritti del lavoro, i diritti democratici faticosamente conquistati dalle generazioni passate, sulla base di una semplice promessa e di un’idea peraltro estremamente vaga e aleatoria: il reddito di cittadinanza. Che potenza di pensiero, che complessità e profondità di analisi, che straordinario stratega della politica italiana! Sta di fatto che questo comico genovese, stando ai sondaggi più recenti e nonostante l’obiettiva pochezza operativa del suo gruppo politico, può contare ancora su una amplissima base elettorale pari a circa il 23-25% di tutto l’elettorato.

    E’ stupefacente che tanta gente gli vada dietro non per semplici motivi tattici ma proprio perché convinta che le sue idee siano “rivoluzionarie” e che egli sia un novello salvatore della patria. La gente non si preoccupa né di riflettere sulla mediocrità e pericolosità sociale di molte sue idee, di chiara origine liberista (di “reddito di cittadinanza” parlò soprattutto Milton Friedman, uno dei padri del liberismo contemporaneo e teorico del monetarismo economico, nel quadro di una proposta tesa ad assicurare una elargizione di Stato a chiunque vivesse al di sotto di una determinata soglia di sussistenza in cambio dell’abolizione dell’intero settore pubblico a cominciare da sanità ed istruzione e per continuare, come nel caso della proposta di Grillo, con pensioni e stipendi), né di notare il suo manicheismo fortemente discriminatorio: da una parte i giovani, da un’altra parte gli altri ovvero i parassiti, come se tutti i dipendenti statali, pur avendo un posto fisso, se la passassero bene con tanto di seconda casa e di lauti stipendi, e come se per contro tutti i giovani indistintamente, figli di poveri e figli di ricchi, conducessero una vita grama e piena di stenti!

E’ impressionante che passi quasi inosservato il suo banale e mistificante concetto di “uno scontro generazionale, nel quale al posto delle classi c’è l’età”, quando è del tutto evidente che lo scontro non è affatto generazionale ma continua ad essere scontro di o tra classi sociali anche se la loro composizione interna è in continua evoluzione, laddove, bisogna aggiungere, diversa sarebbe l’idea di un “reddito minimo garantito”, vale a dire di un sussidio monetario non generalizzato (al contrario di quel che avverrebbe per il reddito di cittadinanza) ma concesso a inoccupati, disoccupati e precariamente occupati che non superino i 7.200 euro di reddito annui e che non godano di alcun altro sostegno familiare: per poter beneficiare di tale somma l’interessato dovrebbe inoltre registrarsi presso le liste di collocamento dei Centri di Impiego. Questo obiettivo sarebbe indubbiamente più realistico, rispetto a quello pentastellato, se concepito in funzione di una riforma di ampliamento e non di restringimento del Welfare e nel quadro di concrete ed efficaci politiche di pieno impiego o piena occupazione.

Che Grillo goda di un consenso popolare cosí ampio e prolungato nel tempo non è tuttavia un mistero inestricabile, perché è pur vero che, da un lato, il restante panorama politico italiano non offre garanzie sufficientemente serie circa la capacità e la volontà di dare alla vita economica e sociale del nostro Paese la svolta radicale di cui esso ormai e non da oggi necessita, e che dall’altro è perfettamente comprensibile la rabbia sociale di massa che viene esprimendosi per mezzo del partito di Grillo contro “il sistema”.

Non è peraltro da sottovalutare l’impatto esercitato sull’elettorato dalla dura e non recente presa di posizione, oltre che fino ad un certo punto condivisibile, di Grillo nei confronti dell’Unione Europea e della sua moneta in un contesto politico-parlamentare italiano in cui, a parte la Lega, solo in tempi recenti ha cominciato a far capolino l’idea di un’assoluta necessità di rinegoziazione di trattati, parametri e patti fiscali europei. Può darsi che la posizione di Grillo su questo punto sia ancora una volta celatamente demagogica, ma è innegabile la piena legittimità di un punto di vista politico decisamente critico verso una governance europea capace di produrre più disastri che benefici.

Però, e anzi proprio per quel che si è fin qui detto, il movimento pentastellato costituisce un problema non riducibile alla disperata comicità istrionica e circense di Grillo ma squisitamente politico che dovrebbe impensierire e chiamare a raccolta tutti coloro che siano ancora dotati di sano e robusto spirito democratico, non solo perché esso, per niente alternativo al capitalismo, ne rappresenta una semplice variante, ma anche perché restano del tutto imprevedibili gli esiti cui potrebbe portare il nichilismo psicologico ed etico-politico da cui è visibilmente e massicciamente segnato.

 

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