Nizza: nuovo monito al fiacco pontificato di Francesco

Il giovanissimo Ibrahim Aoussaoui poco più di un mese fa era sbarcato a Lampedusa, di qui era stato portato in un centro per migranti a Bari dopo essersi sottoposto alla quarantena prevista per tutti i migranti in questo periodo di pandemia. Dopodichè, si dice ma è notizia da verificare, avrebbe ricevuto un ordine di espulsione, con l’obbligo di rimpatriare. Anche per questo giovanotto tunisino, come per i migranti tutti in modo indiscriminato, erano state spese da papa Francesco parole di solidarietà, di reiterata e apparente fraterna carità, in un momento in cui appariva chiaro che non solo i flussi migratori erano ripresi massicciamente ma che essi fossero quanto mai inopportuni e pericolosi nel quadro di insicurezza sanitaria e pubblica in cui l’Italia e l’Europa versavano in quel preciso momento. Sta di fatto che Ibrahim dall’Italia sarebbe poi giunto comodamente in Francia dove molto probabilmente, in modo diretto o indiretto, avrebbe pianificato la strage che si è consumata a Nizza con la barbara uccisione di due donne e un uomo più diversi feriti: ancora una volta in una chiesa cattolica. La Chiesa tradisce se stessa, perché senza la verità della fede che dovrebbe custodire, non sussiste alcuna forma di umanità, di carità e di pace.

Come al solito, ora si piange sul latte versato: tutti a condannare l’inaudita ferocia di questo attentato contro il caro popolo di Francia, a recriminare contro i mancati o gli approssimativi controlli effettuati alle frontiere, ad invocare nuove e più efficaci misure di polizia, di prevenzione e repressione. Mattarella, Conte, Merkel, persino Erdogan, tutti a solidarizzare con Macron, anche nel nome dei valori occidentali di tolleranza e democrazia e a stringersi in un comune e ideale abbraccio contro il terrorismo, il fanatismo religioso, le forze del male. Il papa non ha ritenuto, per l’ennesima volta, di condannare niente e nessuno ma ha espresso la sua vicinanza alla comunità cattolica francese invitandola a pregare affinchè «la violenza cessi e si torni a guardarsi come fratelli e sorelle e non come nemici, affinchè l’amato popolo francese possa reagire unito al male con il bene».

Come cattolico, temo che queste parole, più che dettate da spirito evangelico e da amore cristiano, possano essere percepite da molti cattolici come espressione della consueta reticenza politico-diplomatica di un pontefice convinto di poter tenere alta la causa della testimonianza cattolica nel mondo senza mai rischiare di associare questo come altri gesti terroristici alla religione islamica. Eppure, è fin troppo evidente, tranne che per quelli che si fingono ciechi, che l’Islam è in sé, proprio sotto l’aspetto dottrinario, una grave minaccia alla cristianità, a quel che rimane della cristianità occidentale e sparsa per il mondo. Se un papa, nel terzo millennio, non capisce o non si sforza di capire che Maometto, il Corano, la religiosità che ne deriva, si sono da sempre posti in antitesi a Cristo e alla sua Chiesa e che contendono e sempre contenderanno ad essi, per via deliberatamente violenta, la conquista spirituale e materiale del mondo intero, è inevitabile pensare che sia del tutto impreparato al suo compito.

D’altra parte, significativamente, già una settimana fa, papa Bergoglio non aveva detto una sola parola di cordoglio e di commento sulla morte del professore francese decapitato da un altro terrorista islamico. Ora, se si vuole continuare con questo gioco delle parti, avremo per molto tempo ancora a che fare con un mondo politico ipocrita, vile e inetto, dove i Mattarella e i Conte continueranno a impersonare la parte di retori pacifisti e umanitari, pur essendo a tutti arcinote le loro personali responsabilità in una politica migratoria del tutto scriteriata e antipatriottica; i vari capi di Stato europei, ivi compreso Macron (magari con qualche grattacapo in più), persevereranno nella loro fede laicista, pluralista, cosmopolitica, e in politiche strumentali dell’accoglienza e dell’integrazione molto care a diversi ambienti massonici; Erdogan e, sia pure più sommessamente, altri capi di stati islamici, perseguiranno con sagacia e determinazione, naturalmente ammantate di ipocrita e realistico opportunismo, il tradizionale e mai abbandonato progetto islamico di una definitiva vittoria planetaria sul cristianesimo e sui popoli che, sia pure spesso formalmente, ancora lo professano.

Ma quel che preoccupa oggi i cattolici è l’incapacità spirituale e religiosa della loro Chiesa di proclamare chiara e forte nel mondo la fede in Cristo, di testimoniarla senza tatticismi e truccature di sorta: nei confronti dei nemici manifesti di Cristo come sono islamici, atei edonisti e blasfemi, immorali impenitenti di ogni latitudine, e degli stessi nemici nascosti di Cristo che si annidano proditoriamente nella sua stessa Chiesa. I cattolici pregano Dio che a guidarli possa essere uno spirito umile e libero da deformazioni dottrinarie, da preoccupazioni mondane, da commistioni con logiche di potere fini a se stesse, e solo capace di avanzare e farci avanzare, con coraggio e vero senso di responsabilità, verso il Signore della verità e della luce.  

Francesco di Maria

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