Il caso Siri ovvero della stupidità politica

Qui non si tratta di stabilire se il sottosegretario leghista ai Trasporti, Armando Siri, abbia commesso o meno un reato e, addirittura, uno dei più riprovevoli reati qual è quello di corruzione per aver intascato tangenti al fine di modificare con un provvedimento ad hoc i finanziamenti nel settore dell’eolico addirittura a favore di faccendieri collusi con la mafia siciliana di Messina Denaro. No, per decidere se il politico leghista debba dimettersi dalla sua carica occorrerebbero non semplici articoli di giornale, sospetti o indizi generici e indiretti, ma prove magari incomplete e tuttavia almeno già abbastanza corpose o anche indizi molto più significativi di quelli ad oggi conosciuti. E invece, ancora una volta, sta andando in scena in tutto il suo splendore quella stupidità politica di cui la vita politica nazionale è costantemente intrisa e di cui si sta facendo protagonista in questi giorni  il partito di Di Maio e compagni. Gli usi strumentali della politica sono ben noti, nessuno se ne può meravigliare perché è un uso generalizzato e non c’è partito politico che non vi ricorra. Quindi, non si intende criticare il movimento 5 Stelle perché stia strumentalizzando politicamente una vicenda virtualmente importante per le pesanti ricadute morali e politiche che potrebbe avere.

Il fatto è che, in questa fase della vicenda, i 5 Stelle agitano la bandiera della moralità politica e della lotta alla mafia in modo del tutto intempestivo e banale e con un atteggiamento talmente prevenuto da non rendere plausibile ma semplicemente risibile e probabilmente molto più dannosa che utile sotto lo stesso profilo politico-elettorale una strumentalizzazione così chiassosa come quella che stanno facendo ai danni del citato esponente leghista. Già, perché in definitiva quali sarebbero gli elementi d’accusa contro Siri? Sarebbero alcune intercettazioni telefoniche dalle quali risulterebbe che un certo Paolo Franco Arata dica al figlio Francesco, forse anche in presenza di terzi, di aver dovuto dare una certa somma di denaro al sottoministro in questione in cambio di un favore che questi avrebbe promesso di fargli. In più, altri personaggi politici vicini o organici al movimento 5 Stelle avrebbe riferito ai giudici di pressioni che il politico leghista avrebbe esercitato per l’appunto su alcuni deputati o senatori al fine di poter varare in parlamento il provvedimento promesso al suo amico faccendiere o imprenditore. Questo è tutto.

Ora, ci si deve chiedere seriamente, e lo scrivente lo fa non certo come militante o simpatizzante dei due partiti ora al governo, se sia serio che qualche magistrato lasci trapelare notizie del genere come se fossero prove incontrovertibili di colpevolezza, perché sarebbe come dire che, se io vengo intercettato mentre converso telefonicamente con un tizio al quale faccio il nome del procuratore Gratteri affermando di avergli fatto recapitare una ingente somma di denaro per non indagare troppo su alcuni soggetti di mia conoscenza, ci sarebbero concreti indizi per ipotizzare che Gratteri debba essere indagato e additato come possibile colpevole; se è serio che il partito pentastellato pretenda le dimissioni di un avversario politico anche se alleato di governo solo sulla base di pure e semplici illazioni; se è serio che per giorni e giorni il dibattito politico possa restare incentrato su una richiesta di dimissioni da una parte e sul rifiuto di accoglierla dall’altra; se è serio e responsabile che molte delle principali testate giornalistiche italiane, pur di vendere i propri giornali, perseguano scopi scandalistici anziché richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica su problemi reali e ben più oggettivi, tra cui naturalmente anche quello dei rapporti tra pubblici poteri e mafia, che attanagliano il nostro Paese.

Ora, sarà pure probabile che la Lega di Salvini sarà piena di corrotti ma non è che le impuntature politiche siano proponibili in virtù di un sussurro, di un flatus vocis, di un’accusa virtuale. Non sarebbe opportuno e necessario che le cose giungessero a maturazione e si chiarissero da sole senza bisogno di ulteriori commenti? Allora cosa si dovrebbe dire del partito che si richiama a Grillo e a Casaleggio con i quali, secondo molti “si dice”, alcuni deputati e/o senatori avrebbero letteralmente comprato contrattualmente la propria carriera politica fino al punto di risultare “intoccabili” persino nel rivestire ruoli istituzionali molto alti o addirittura preposti a combattere il crimine organizzato?

Non è, intendiamoci, che Salvini (che ha dei meriti ma anche demeriti come quello che si riferisce all’aver disertato le manifestazioni antifasciste del 25 aprile per andare a fare comizi antimafia in Sicilia, quasi che non fosse possibile fare l’una e l’altra cosa) sia meno malizioso e meno perfido di Di Maio, anzi sotto certi aspetti è persino più furbo e più abile di quest’ultimo, ma in questa circostanza viene molto facilitato dall’inesperienza e dall’avventurismo dei suoi alleati di governo nel far notare che non si può chiedere a un membro del suo partito di dimettersi solo in presenza di voci, ipotesi, supposizioni, e che anzi, nel caso in cui si dimostrasse che qualche giudice ha immesso nei circuiti giornalisti e televisivi notizie destituite di fondamento solo per arrecare danno politico al suo partito, questo giudice dovrebbe essere punito in modo esemplare, perché, sono le sue parole, «anche i giudici che sbagliano devono pagare, come tutti gli altri lavoratori», dove peraltro è difficilmente confutabile la convinzione molto diffusa che, a seconda delle convenienze, i giudici possano violare con disinvoltura oppure essere ligi in modo persino esasperato alla loro proverbiale riservatezza professionale.  

Ma qui si voleva solo mostrare non solo come possa essere politicamente controproducente per se stessi utilizzare pretestuosamente vicende potenzialmente gravide di ripercussioni negative per gli avversari politici, ma come in realtà in Italia un tempo di saggezza politica sia ancora molto di là da venire rispetto all’attuale tempo di stupidità politica.

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