Gesù non ha insegnato ai suoi seguaci un modo sicuro, un metodo infallibile con cui fosse possibile costruire nel mondo una società caritatevole, solidale ed egualitaria, fraternamente giusta e rispettosa della libertà di ogni persona. Non ha insegnato questo perché sapeva che, così come il suo regno non era di questo mondo, anche libertà, eguaglianza, giustizia non potessero essere di questo mondo se non, contrariamente ai solenni ed ipocriti proclami dei rivoluzionari veri o finti di ogni epoca, in forme e modi sommamente imperfetti. Gesù non entra mai nel merito di questioni specifiche, per esempio di natura ereditaria, o specificamente economica e finanziaria, o ancora politico-istituzionale, e via dicendo, ma è molto preciso circa i criteri morali e spirituali che devono presiedere al comportamento dei singoli e al loro modo di agire verso gli altri e verso Dio. Perciò, certi slogan accattivanti che andavano molto di moda negli anni sessanta, secondo cui Gesù sarebbe stato il primo socialista o il primo rivoluzionario della storia e sarebbe stato una volta per tutte, in senso sociologico, dalla parte dei poveri e contro i ricchi, devono essere considerati per quel che furono e sono, ovvero, termini e frasi adoperati in modo del tutto strumentale e ideologico. Continua a leggere
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Pensiero della settimana
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Il Pater Noster, che Tertulliano considerava come la preghiera evangelica per eccellenza, costituisce il modello più alto del pregare cristiano, pur essendo esso inclusivo verso una gamma molto ampia di preghiere, orazioni e suppliche acquisite nel corpus della Tradizione della Chiesa. Dio, insegna Gesù, è Padre di ogni creatura e di tutte le creature, che ama individualmente, per cui bisogna rivolgersi a lui come al Padre Nostro, al Padre di noi tutti, di ognuno di noi che, nel suo Figlio unigenito, ci tratta come figli suoi, da lui creati, per cui siamo anche fratelli tenuti ad amarsi gli uni gli altri. C’è una prima parte della preghiera, in cui bisogna render grazie e lode, innanzitutto, al Padre, al suo nome ovvero alla sua reale identità divina, al suo Regno, alla sua volontà, per poi chiedergli di voler perdonare i nostri peccati, così come anche noi, in virtù della mediazione salvifica di Cristo, dobbiamo voler perdonare a quanti ci rechino offesa o danno. Il fatto di rivolgersi ad un Padre comune non toglie ovviamente che ognuno di noi possa sentirlo come suo padre, come padre che ascolta i singoli non meno che il gruppo o l’assemblea riunita in preghiera. Anzi, come spiegava il teologo Karl Rahner, Dio opera immediatamente in me e parla al mio cuore, cerca il contatto immediato con l’anima di ciascuno, per chiedere a ciascuno una cosa che non chiederà a nessun altro. Ma per poter fare la volontà di Dio bisogna impegnarsi non solo a mantenere vivo il contatto con lui attraverso l’interiore predisposizione, alimentata dalla preghiera e dalla fede, all’obbedienza e al rispetto dei suoi comandi e dei suoi precetti, ma anche attraverso un rapporto di perdono e di amore con il proprio prossimo. Continua a leggere
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La Marta evangelica è la donna dedita a mille occupazioni, impegnata in mille faccende quotidiane, quella che oggi si direbbe una donna dinamica, una donna del fare, una donna volitiva, concreta, pratica, mentre la Maria evangelica, sorella di Marta e da non confondere né con Maria di Nazareth, né con Maria di Magdala, né con altre Marie nominate nei racconti evangelici, è una donna, non certo svogliata e inoperosa, ma dedita ai servizi domestici in modo molto meno convulso rispetto alla sorella e, soprattutto, senza trascurare la preghiera e l’ascolto attento della Parola di Dio. In realtà, quando Marta sembra quasi rimproverare il Signore di non sollecitare sua sorella a darle una mano nel disbrigo dei numerosi servizi domestici, ella si sente rispondere bonariamente da Gesù che, per vivere in modo onorevole e dignitoso, non è necessario andare sempre di corsa, impelagandosi in numerose o svariate attività, che possono anzi costituire un ostacolo, un intralcio ad un’attività esistenziale e spirituale, incentrata principalmente, come nel caso di Maria, su un rapporto diretto e intenso con il Figlio di Dio. Continua a leggere
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Per conseguire la salvezza eterna bisogna amare Dio al meglio delle proprie capacità spirituali e il prossimo nella stessa misura in cui ognuno ama se stesso soddisfacendo necessità primarie e cercando di vivere nel modo più dignitoso possibile. Ma, in realtà, il concetto di prossimo non di rado ancora oggi viene frainteso anche se Gesù, con la parabola del buon samaritano, ne illustra esattamente il significato. Gesù spiega che il prossimo è colui che mi sta più vicino nel bisogno, è il bisognoso che mi si fa prossimo nel momento in cui io ho la concreta possibilità di constatarne il reale stato di necessità e, soprattutto, l’oggettiva consapevolezza di poter fare qualcosa, di poter provvedere in qualche modo al suo bisogno di aiuto o di assistenza umana, materiale o morale o spirituale, a seconda dei casi, e sia pure nei limiti delle mie personali possibilità. In tal senso, tutto quel che può essere fatto verso colui o colei, o coloro, che in tutta coscienza io giudichi come soggetti realmente alle prese con difficoltà superabili, almeno provvisoriamente, solo in virtù di forme soggettive di soccorso, deve essere evangelicamente fatto senza scusanti o alibi di nessun genere, sempre che io sia nella condizione non solo economica, ma psichica, morale, spirituale, di adoperarmi attivamente e diligentemente a loro favore. Continua a leggere
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Il Signore non affida semplicemente ai suoi apostoli il compito missionario di annunciarne la parola e l’opera salvifica nel mondo, ma lo stesso compito non esita ad affidarlo a chiunque si mostri sensibile all’ascolto del Verbo e predisposto a veicolarlo e a testimoniarlo in mezzo a comunità umane sempre più ampie e numerose. I dodici, infatti, avrebbero avuto la funzione storica di porre le fondamenta organizzative, istituzionali, della sua Chiesa, custodendo gelosamente i contenuti originali della fede e badando a trasmetterli fedelmente di generazione in generazione, ma tale nucleo storico fondativo non avrebbe dovuto costituire il depositario esclusivo delle verità della fede e dei modi legittimi in cui esse avrebbero dovuto essere trasmesse e testimoniate, bensì si sarebbe dovuto preoccupare di conferire precisi incarichi dottrinari e pastorali di evangelizzazione anche a coloro che, pur esterni per così dire alla cerchia dei responsabili in senso strettamente istituzionale, si fossero mostrati capaci di assolvere determinati compiti missionari. Peraltro, i settantadue discepoli che Gesù stesso incarica di portare la Parola di Dio in mezzo a coloro che non la conoscevano e che quindi, a pieno titolo, avrebbero dovuto rappresentarne la Chiesa nel mondo, nei versetti di Luca 10, 1-16, non sono discriminati in base al loro stato civile, in base al fatto che fossero o non fossero celibi, ma appaiono selezionati solo sulla base della loro fede e delle loro capacità di annuncio, di testimonianza e di assistenza pastorale a beneficio di singoli individui, di gruppi, di masse o moltitudini, anche se il Signore avrebbe detto e precisato altrove che, per coloro che non avvertono la stretta necessità del matrimonio, di una famiglia con prole, il celibato avrebbe potuto costituire certamente un dono prezioso, un arricchimento dello stato sacerdotale: un’opzione, quindi, che non doveva precludere a chi fosse già sposato la possibilità di essere ordinato all’ordine sacro. Continua a leggere
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Per chi fosse interessato ai nostri nuovi articoli su Maria di Nazareth, si segnala che essi sono pubblicati sul sito on line www.foglimariani.it
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Chi è il Figlio dell’uomo, chi è colui che è nato da donna, da una donna di nome Maria? E’ la domanda che Gesù rivolge ai suoi discepoli. Questa espressione biblico-profetica, ricorrente molte volte nel libro di Ezechiele ma particolarmente significativa nel libro di Daniele, nella cultura religiosa del popolo d’Israele, denotava una figura messianica, un essere umano designato da Dio quale salvatore del popolo bisognoso di riconciliarsi e rinnovare la sua alleanza con l’Altissimo e quindi la stessa vita personale dei suoi membri. In sostanza, il Figlio dell’uomo era un inviato da Dio per liberare il popolo da situazioni particolarmente complicate e tortuose e, tuttavia, un inviato dalla natura umana e non divina, benché a Dio molto vicino e da Dio molto amato. E’ molto probabile che, nel fare quella domanda, il Signore avesse in mente principalmente la descrizione che di tale figura messianica aveva dato il profeta Daniele: «Guardando ancora nelle visioni notturne, ecco venire con le nubi del cielo uno simile a un figlio d’uomo; giunse fino al vegliardo e fu presentato a lui. Gli furono dati potere, gloria e regno; tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano: il suo potere è un potere eterno, che non finirà mai, e il suo regno non sarà mai distrutto» (Dn 7, 13-14). Continua a leggere
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Non è che l’eucaristia, il rendimento di grazie e l’azione sacrificale con cui vengono offerti il pane e il vino a Dio e trasformati per opera dello Spirito Santo nel corpo e nel sangue offerti da Cristo sulla croce in espiazione e remissione dei peccati del mondo, sostituiscono il normale pasto alimentare con cui gli esseri umani si nutrono quotidianamente. Le creature hanno bisogno di alimentarsi con due pasti di diversa natura: uno è quello alimentare di cui necessita il sostentamento corporale, l’altro è quello eucaristico di cui necessita il sostentamento spirituale che non si contrappone al primo ma con esso si integra ed è funzionale al conseguimento del benessere spirituale e della salvezza eterna allo stesso modo di come gli alimenti, i cibi e le bevande servono al benessere fisico e mentale e alla buona salute degli individui, soggetti tuttavia alla morte. Continua a leggere
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Chi ama il Signore deve non solo sapere ascoltare ed intendere la sua Parola ma anche osservarla e applicarla diligentemente e coerentemente alle diverse situazioni della vita e in rapporto a persone che potrebbero volerla disattendere e persino contrastarne l’attuazione. Il Signore non chiede ai suoi seguaci di porre in essere a tutti i costi e con ogni mezzo il suo insegnamento se non nella misura in cui ciò possa dipendere dalla loro volontà, perché egli è consapevole del fatto che non sempre persino le migliori intenzioni e le buone opere individuali o collettive possono tradursi fedelmente in atti concreti e consequenziali, a causa delle molteplici variabili, dei contrattempi e degli imprevisti di cui constano l’esistenza personale e la storia dei popoli, ma di fare tutto quel che possono, di onorare al meglio quell’insegnamento anche a costo di sacrifici che potrebbero venire implicando anche l’offerta della propria vita. Se mi amate, dice Gesù, osserverete i miei comandamenti: bisogna fare attenzione a non fraintendere queste parole, perché con esse egli non intende dire che l’amore verso Dio e quindi il rispetto dei suoi comandamenti siano incompatibili con la possibilità dell’errore umano, della trasgressione della sua santa volontà, del peccato, o meglio incompatibili sarebbero certamente se il peccatore non fosse capace di riconoscere, o ancora meglio si ostinasse a non voler riconoscere le sue colpe, non fosse capace di ammettere le sue debolezze, di pentirsi dei suoi errori o dei suoi vizi. Tra i comandamenti divini, com’è noto, primeggia il perdono che, contrariamente a quanti, chierici o laici che siano, lo interpretano e lo trasformano in una sorta di alibi sempre buono a sdrammatizzare la gravità di condotte umane perverse o deplorevoli, presuppone il sincero e profondo pentimento del peccatore, la sua effettiva volontà di cambiamento interiore e di conversione spirituale, la capacità di mettere i propri limiti e la propria fragilità nelle mani di Dio, di affidarsi a lui pur sapendo di poter continuare ad essere soggetto alle tentazioni del mondo e della carne. Continua a leggere
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Bisogna soffrire come Cristo o, almeno, per le stesse ragioni e gli stessi scopi per i quali Cristo avrebbe sofferto, per poter risorgere in virtù della sua reale risurrezione da morte. Questa è la lezione più vitale che le avanguardie più degne e fedeli del suo popolo e della sua Chiesa si sforzano di testimoniare, trasmettere e perpetuare attraverso i secoli, predicando a tutti i popoli la conversione alla Parola di Dio rivelata da Cristo e il perdono dei peccati. Prima di ascendere non metaforicamente ma realmente in cielo, Gesù ricorda ai suoi discepoli e apostoli che avrebbe effuso lo Spirito Santo, il Paràclito, l’avvocato, il difensore, il consolatore in uno spirito di verità, promesso dal Padre, per fortificarli e renderli spiritualmente potenti in un mondo che si sarebbe costantemente opposto alla loro missione di evangelizzarne salvificamente tutti i popoli e gli esseri umani. Il Cristo si stacca dai suoi non prima di dispensare loro la sua amorevole e santificante benedizione, perché essi, ormai forti dei suoi insegnamenti e delle sue opere di giustizia, misericordia e carità, potessero assumerli come modelli paradigmatici da emulare nella loro stessa esistenza e da indicare a tutti come imprescindibili punti di riferimento di salvezza personale e collettiva (Lc 24, 46-53). Continua a leggere