I cattolici e il movimento 5 Stelle

Beppe Grillo e il movimento 5 Stelle avrebbero potuto trarre degli enormi vantaggi politici dalla débâcle di una classe politica, comprensiva di partiti quali Popolo delle libertà, Partito democratico e Scelta civica, manifestamente affetta da un cronico deficit di credibilità. Avrebbero potuto portare una ventata di pulizia e di svecchiamento politico-istituzionale unitamente ad una fresca e volitiva capacità di incidere concretamente anche sul piano parlamentare e legislativo. Avrebbero potuto inaugurare una stagione di seria dedizione al bene comune e di provvedimenti necessari ad una ripresa della complessiva vita economica nazionale, dando cosí adeguata risposta alle legittime e indifferibili aspettative di moltissimi cittadini. Avrebbero potuto contribuire davvero a ringiovanire l’Italia liberandola forse non completamente da ogni genere di meschino interesse personale o di gruppo ma almeno da un passato e da un presente segnati da ottusa e tirannica inconcludenza politica.

Cosí però non è stato, pur avendo essi avuto la concreta opportunità di trattare più ragionevolmente ed utilmente di quanto non abbiano saputo e voluto fare con il segretario politico del PD e di favorire quindi un governo PD-5Stelle certo suscettibile di produrre inediti e fecondi risultati sul piano economico-sociale e politico-istituzionale, checché ne vada adesso dicendo il troppo logorroico leader genovese, cui non si può certo disconoscere il merito di aver saputo creare le condizioni politiche per una necessaria disarticolazione di un incancrenito e inefficiente sistema italiano di potere, ma che, fidando più su presunte doti profetico-apocalittiche che non su una effettiva capacità di analisi e di utilizzazione delle oggettive possibilità tattico-strategiche delineatesi alla luce dei pur convulsi avvenimenti politico-parlamentari postelettorali, ha finito per favorire un’opera di restaurazione più che di cambiamento. Almeno per ora.

E’ un peccato che, pur potendo avvalersi di un consenso elettorale molto ampio di cui è parte integrante un considerevole numero di voti cattolici (come risulta anche da un recente sondaggio effettuato dal settimanale “Famiglia cristiana”), il movimento di Grillo non abbia saputo fin qui farne tesoro pensando forse di poter ulteriormente accrescere la sua forza elettorale più attraverso una reiterazione della sua funzione critico-contestativa nei confronti del sistema partitico di potere che non attraverso una immediata assunzione di responsabilità in ordine a pur impellenti necessità di attività governativa.

Ma questo calcolo, a meno di un rapido ripensamento sulla linea politica da adottare, non potrà che rivelarsi non solo sbagliato ma anche e soprattutto dannoso al fine di porre prontamente rimedio alla situazione emergenziale in cui versa sempre più agonicamente l’Italia: anche perché, per quanto riguarda i cattolici (tra cui anche chi scrive) che l’hanno votato in senso nobilmente strumentale ovvero più per disarticolare un sistema nazionale di potere ormai moralmente screditato e politicamente deprimente che non per sottoscriverne ogni punto programmatico, essi non potranno a lungo sostenere un movimento politico di tipo perennemente padronale e autoritario, e sia pure efficace in termini di momentanea contrapposizione e  rottura rispetto all’establishment dato, la cui democraticità e la cui capacità progettuale ed operativa siano a diversi livelli più ostentate che reali e in cui talune spinte meramente trasgressive sul terreno dei “diritti civili” (si pensi a proposte di legge “grilline”contro la cosiddetta omofobia, transfobia e a perverse amenità di questo genere) cominciano ad emergere sorprendentemente come punti qualificanti del programma politico “stellato” dei quali molti cattolici non avevano trovato e non trovano traccia tra i suoi tanto propagandati 20 punti.

Non che i cattolici ignorassero le critiche di Grillo alla Chiesa cattolica, ma non era parso che egli volesse indulgere su tematiche non accoglibili non solo per motivi religiosi ma anche per ragioni di puro e semplice buon senso. E francamente vedere che i senatori “grillini” si siano precipitati a presentare proposte di legge su questi temi, non può non turbare profondamente la coscienza cattolica, anche se i parlamentari cattolici del 5 Stelle fingano nel frattempo di non sapere e di non vedere.

Per cui, anche ma non solo per questo, «la domanda sorge spontanea: cosa faranno, adesso, i cattolici? Rimarranno divisi o cercheranno una strada per uscire dall’impasse e, soprattutto, nell’irrilevanza nella quale sono finiti? Come evidenziato dal vaticanista de La Repubblica Paolo Rodari “i leader delle associazioni cattoliche e dei movimenti ecclesiali che nei mesi scorsi si sono radunati a Todi non hanno dubbi: occorre ricominciare da zero”. E’ l’ora, quindi, scrive Rodari, “di un movimento che dal basso, come fu nel 1943 quando cinquanta esponenti cattolici stilarono a Camaldoli un documento programmatico che serví da linea guida decisiva per la costruzione dell’Italia, lavori alla ricomposizione del Paese”. Un nuovo movimento, quindi, che dia vita “a una nuova stagione nella quale a decidere linee e strategie saranno i laici e non più le gerarchie”. E’ finito, secondo Rodari, “il tempo della Chiesa ingerente in politica attraverso le lobby sponsorizzate dalla Cei”. Non è quindi un caso se qualche giorno fa il cardinale Bagnasco abbia aperto il consiglio permanente della Cei senza tenere, per la prima volta da anni, una prolusione» (F. Anselmo, Grillo visto dai cattolici, in blog “Formiche”, 21 marzo 2013).

Vero: occorrerebbero anche oggi almeno 50 esponenti cattolici, non necessariamente di chiara fama ma lucidi intellettualmente, integri moralmente, e dotati di una fede e di una spiritualità evangeliche adamantine, per sperare di poter introdurre nella vita politica italiana inediti e intransigenti testimoni della verità e della giustizia cristiane. Anche perché, a ben vedere, nel movimento di Grillo c’è tutto e il contrario di tutto: dal classico cittadino autoritario o reazionario al più accanito e fanatico ribellista di destra e di sinistra, dal più bieco e cinico titolare di ricchezza personale all’ultimo pezzente della scala economica e sociale, dal più raffinato cultore del sapere critico al più rozzo e scalmanato esponente di un becero senso comune, dal cattolico devoto all’ateo più viscerale.

Non è possibile che, alla lunga, tutta questa congerie di elementi eterogenei possa stare insieme per configurarsi non solo come forza tumultuosa e travolgente di discontinuità politica rispetto al passato ma anche e soprattutto come forza organizzata e propositiva di cambiamento secondo reali finalità di libertà personale e di convivenza civile, di uguaglianza giuridica e di giustizia  sociale, sia pure in un quadro di ragionevole sostenibilità economica e finanziaria. Non è possibile anche perché, in relazione al programma politico del movimento 5 Stelle, accanto a punti programmatici certo meritevoli di essere condivisi e sostenuti, figurano punti programmatici molto più irrealistici quali il reddito minimo di cittadinanza, vigente in paesi occidentali che se lo possono permettere, l’istituzione di un politometro, la cui funzione sarebbe comunque nulla senza l’attività giudicante della magistratura, la non pignorabilità della prima casa, alla quale ovviamente le banche erogatrici di mutuo non potrebbero mai rinunciare in modo assoluto, e molto più discutibili o pericolosi come il referendum propositivo e senza quorum, l’abolizione di qualsiasi tipo di finanziamento pubblico a partiti e a giornali.

E infine non è possibile che il calderone grillino di ribollenti pulsioni antistituzionali possa assurgere ad autorevole e credibile forza politica di cambiamento anche perché i cattolici sanno bene che nessun movimento rivoluzionario è stato e sarà mai capace di produrre un mutamento qualitativamente alto e scevro da contraddizioni o contrasti più o meno insanabili laddove almeno “un piccolo resto” di cattolici non abbia provato o non provi, con la sua testimonianza e la sua stessa vita, a fare di Cristo il cuore del mondo anche nel quadro dell’attività politico-legislativa.

I cattolici non possono rinunciare a testimoniare concretamente Cristo anche nella vita pubblica e politica, perché la loro stessa fede li porta a credere e ad essere testimoni di Cristo non solo tra le mura domestiche o le mura parrocchiali ma anche, e con pari energia spirituale, tra le mura del mondo e dello stesso mondo politico. In questo senso non è accettabile che il voto cattolico, come numerosi sondaggi di parte cattolica starebbero a dimostrare, non sia più decisivo per la vita politica del nostro Paese, in quanto i cattolici ritengano ormai di poter votare senza condizionamenti ecclesiastici di sorta in ordine sparso e un po’ in tutti i partiti politici.

Certo, nessuno potrà mai coartare le particolari sensibilità politiche dei cattolici che, entro certi limiti e specialmente in momenti di grave turbolenza economico-sociale e politico-istituzionale, possono risultare variamente e legittimamente motivate. Ma non c’è dubbio che un nuovo partito cattolico, non basato su pregiudiziali di natura classista o interclassista, libero da “poteri forti” di qualsivoglia natura, privo di tradizionali e troppo ingombranti apparati burocratici, fedele al magistero della Chiesa ma totalmente autonomo da poteri e condizionamenti ecclesiastici nell’esercizio dell’attività politica, e soprattutto determinato a perseguire politicamente obiettivi e finalità coerenti con i valori evangelici di verità, giustizia, carità, libertà e pace sociale, non svuotati del loro effettivo e santo significato, in un quadro complessivo in cui la sintesi della valorizzazione delle capacità e dei meriti personali con uno spirito fortemente comunitario e solidaristico costituisca il vero motore del benessere economico e sociale, sarebbe altamente auspicabile per la società italiana e non solo italiana del terzo millennio.

Auspicabile e forse anche necessario sarebbe ormai un nuovo partito cattolico diretto e animato da “uomini liberi e forti”, per riprendere la celebre espressione sturziana del 1919, capaci di non assolutizzare alcuna teoria economica ma di evitare in ogni caso che l’economia prenda il sopravvento sulla politica e che la finanza prenda il sopravvento sull’economia, di non sottostare a dogmatiche teorizzazioni di illusorie “crescite indefinite” o di mitici “sviluppi illimitati” ma di coniugare sempre e comunque il capitale disponibile con una domanda oggettiva di lavoro prima e oltre che con la legge del profitto, di rovesciare tendenzialmente ma radicalmente la strategia politica e la prospettiva storica degli ultimi decenni non assecondando e non rassicurando più i mercati finanziari nazionali ed internazionali con misure politiche volte a fare “macelleria sociale” ma opponendosi fieramente agli smisurati e illeciti (perché immorali e antisociali oltre che antinazionali) interessi finanziari dei grandi potentati mondiali, della Banca Europea e del Fondo Monetario Internazionale, di ridiscutere criticamente e responsabilmente trattati e vincoli europei ed internazionali di qualsivoglia natura che mettano a repentaglio la sovranità nazionale, la democrazia popolare, la dignità e la vita stessa dei cittadini e in modo particolare di quelli più disagiati.

I cattolici sono chiamati dalla loro stessa fede a compiere la loro missione evangelizzatrice anche sul piano politico, e anche nella missione politica del cattolico dovrà riflettersi, come scriveva don Luigi sturzo nel 1956, il senso del divino, senza cui «tutto si deturpa: la politica diviene mezzo di arricchimento, l’economia arriva al furto e alla truffa». Quali cattolici oggi, anche alla luce di queste considerazioni, proveranno coraggiosamente e disinteressatamente a rinfrescare e rigenerare l’aria mefitica della vita politica italiana?

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