USA-IRAN e il nucleare, c’eravamo tanto armati

di Francesco Volpi

(pubblicato in “In Terris” il 4 aprile 2015)

download (4)L’accordo sul nucleare raggiunto dopo una lunga maratona può rappresentare una svolta nei rapporti tra Usa e Iran in un momento critico per il Medio Oriente. Il Paese degli ayatollah è stato per decenni un rivale duro con cui confrontarsi ma con il quale Washigton ha dovuto, suo malgrado confrontarsi. I rapporti si erano fatti tesi dopo che il progetto per l’arricchimento dell’uranio era stato lanciato da Mahmud Ahmadinejad. A tenere sul filo l’amministrazione Usa, specie quella repubblicana, era il rischio di una corsa all’atomica da parte del regime di Teheran, una spada di Damocle sospesa su Israele che avrebbe potuto stravolgere gli equilibri di una regione già calda di suo. Non è un caso, allora, che a protestare contro l’intesa siglata giovedì sia stato proprio Bibi Netanyahu. Il premier dello Stato ebraico si è sentito nuovamente tradito da Barack Obama; i rapporti fra i due non sono mai decollati e si sono fatti gelidi quando Tel Aviv, nel lugio 2014, ha deciso di lanciare una vasta operazione nella striscia di Gaza con lo scopo di ridurre le capacità militari di Hamas e vendicare la morte di tre adolescenti israeliani.

Quello sul nucleare resta, in ogni caso, un significativo avvicinamento tra Usa e Iran e l’esito di un percorso travagliato. Le relazioni diplomatiche fra i due Paesi hanno cominciato a essere tesi con il golpe del 1953, che fu visto come il “peccato originale” degli Stati Uniti, i quali insieme al Regno Unito sostennero un piano per destituire il primo ministro democraticamente eletto Mohammed Mossadegh e per instaurare la monarchia dello shah. Mossadegh fu messo fuori gioco perché voleva nazionalizzare il petrolio iraniano, risorsa fino a quel momento imprescindibile per l’anglo-iraniana Oil Co., oggi BP. In questo quadro pochi anni dopo Washington firmò un accordo di cooperazione con Teheran per la cooperazione nel campo del nucleare civile. images (30)L’accordo gettò le basi del programma atomico iraniano che prevedeva l’assistenza tecnica americana e la consegna all’ex Persia di uranio arricchito per i suoi impianti. L’equilibrio raggiunto subì uno scossone nel 1979, quando la rivoluzione avviata dalle forze di sinistra e presto fatta propria dagli islamici pose fine al regime dello shah, accusato di corruzione.

Le nuove autorità iraniane stracciarono l’accordo con gli Usa per la costruzione dei reattori. Nel successivo novembre alcuni studenti occuparono l’ambasciata stelle e strisce e tennero in ostaggio per 444 giorni alcuni cittadini americani. Ma la vera crisi nei rapporti fra i due Stati si verificò nel 1980 quando l’amministrazione statunitense decise di sostenere la sanguinaria guerra condotta dal dittatore iracheno Saddam Hussein contro l’Iran. Un massacro durato otto anni durante il quale il signore di Baghdad non esitò a usare armi chimiche per annientare gli avversari. Altro passaggio fondamentale fu l’attentato del 1983 contro una base dei Marine a Beirut, nel quale rimasero uccise 241 persone. L’attacco venne attribuito agli sciiti di Hezbollah, sostenuti dall’Iran; come reazione il presidente Ronald Reagan incluse la Repubblica islamica nella black list dei Paesi sponsor del terrorismo. Tra la fine degli anni ’80 e l’inizio dei ’90 i nervi si fecero sempre più tesi e il rischio di uno scontro militare divenne elevato. Basti pensare alla tragedia dell’aereo passeggeri iraniano abbattuto dalla nave da guerra USS Vincennes, una tragedia che costò la vita a 290 innocenti.

images (31)La possibilità di riaprire il dialogo arrivò nel ’97 con l’elezione del presidente riformista Mohammad Khatami. In un’intervista alla Cnn il neo capo di Stato invitò Washington ad “abbattere il muro di diffidenza” tra i due Paesi. Mentre pochi anni dopo l’allora segretario di Stato Madeline Albright riconobbe il danno allo sviluppo politico dell’Iran generato da golpe del 1953. Una presa di coscienza importante che tuttavia non consente di riallacciare completamente i rapporti. Tanto che nel 2003 George W. Bush annoverò Teheran tra i Paesi de “l’Asse del male” insieme a Iraq e Corea del Nord, nemici storici degli Stati Uniti. Nel 2005 Il conservatore Mahmoud Ahmadinejad viene eletto presidente dell’Iran e segna il suo governo con una retorica fortemente anti-americana e anti-israeliana. Il nuovo presidente è un fervente negazionista e auspica la distruzione di Tel Aviv. E’ in questa fase che il dibattito sul nucleare diventa critico. Per mesi si parla di un possibile intervento americano in Siria proprio per indebolire l’Iran. Con Obama e il nuovo presidente Rouhani il clima si fa meno rovente e il dialogo torna d’attualità. Un passo in avanti verso la pace.

Francesco Volpi

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