L’Europa tra finanza e politica

download (12)dogmi-liberismo-620x264L’economia neoliberista non ama molto la democrazia perché le procedure democratiche ostacolano il mercato; e l’Europa, essendo nata in un contesto teorico e politico di ispirazione neoliberista, è affetta ancora oggi da un autoritarismo politico che si accompagna necessariamente al suo indirizzo economico. Purtroppo, l’odierna costruzione europea è quello che è perché i suoi artefici sono stati generalmente teorici di una tecnocrazia oligarchica a torto ritenuta capace di indirizzare i processi democratici nazionali verso condizioni economiche migliori di quelle decise in precedenza nei singoli Paesi sulla base di volontà popolari emergenti da periodiche consultazioni elettorali.

E’ pur vero che l’Unione Europea dispone di un parlamento regolarmente eletto ma esso sostanzialmente è sempre apparso incapace di influire sulle scelte spesso precostituite dall’oligarchia tecnocratica che agisce dietro le quinte di un’istituzione europea che formalmente è lí a rappresentare la volontà dei popoli e che invece rappresenta di fatto potenti lobbies di potere economico che solo in parte hanno a che fare con l’economia reale e con i bisogni oggettivi delle popolazioni europee.

Tutto questo però non significa che questa realtà europea sia immodificabile, perché nella storia umana non c’è nulla di immutabile. Tuttavia tale realtà può modificarsi in meglio ma potrebbe modificarsi anche in peggio, non solo perché al peggio non c’è necessariamente fine in senso meccanicistico, ma anche perché, a causa delle molteplici e spesso imprevedibili variabili che incombono sui processi storici, non è sufficiente sforzarsi di dare un’impronta etica alle scelte economiche per essere certi di raggiungere risultati di gran lunga migliori di quelli attuali.images (59)

Certo, lo scossone dato all’Unione Europea da posizioni di forza da un premier determinato come Renzi e forse anche la strenua resistenza greca di Tsipras ai burocrati di Bruxelles (che altro non sono che emissari di un sempre più vorace capitalismo finanziario, solo parzialmente funzionale al recupero di prestiti precedentemente concessi alla Grecia) sia pure da posizioni ben più deboli, potrebbe favorire un graduale rimescolamento delle carte e delle politiche economiche e sociali europee, anche se non fino al punto di ribaltare o di capovolgere l’assetto capitalistico di potere la cui costante capacità di rigenerazione costituisce pur sempre la ratio ultima, l’essenza e la finalità  della logica europeistica contemporanea.

Tuttavia, se la politica europea di domani non sarà più disposta come in passato a lasciarsi imbrigliare e assorbire dall’irrazionale istanza economica di azzerare entro un periodo di tempo ben preciso e improrogabile i debiti pubblici di molti Paesi europei e sarà in grado di dilazionare nel tempo termini e scadenze, forse si potrebbe utilmente passare da un capitalismo finanziario aggressivo ad un capitalismo più moderato e più intelligente perché di certo più idoneo a servire gli interessi legittimi di popoli alle prese con elementari problemi di lavoro e anche di sopravvivenza e di dignità personale che non gli interessi legali ma illegittimi, in quanto estorti prevalentemente con l’inganno e con la forza, delle multinazionali usuraie della finanza internazionale.

In una prospettiva ipotetica di questo tipo non si tratterebbe più di approvare leggi ossessionate dalla non innocente preoccupazione di abbattere drasticamente la spesa sociale degli Stati, di procedere ad una forte compressione dei salari, di non prendersi cura per niente dei sempre più numerosi disoccupati o di concedere loro al più un minimo salariale, ma di approvare leggi mirate certamente a ridurre gli sprechi in tutti gli ambiti della vita istituzionale e sociale, i contributi a pioggia e l’assistenza indiscriminata, ma in pari tempo a riaffiancare il pubblico a quel privato che nell’ultimo quindicennio si è rivelato spesso carente e inaffidabile, a favorire con misure e detrazioni fiscali adeguate l’assunzione di giovane personale qualificato presso le aziende di sia pur diversa importanza strategica per il rilancio della produttività nazionale,  a ridare impulso all’economia della famiglia a reddito medio-basso per incrementare il consumo e ripristinare un circolo quanto più possibile virtuoso tra consumo, produttività e competitività.

Tutto questo, che probabilmente non è ancora sufficiente ad una piena rivitalizzazione dell’economia e della vita civile, significa che si dovrebbe reinvestire sulla democrazia non tanto come sistema istituzionale del tutto separato dalla vita reale di popoli e persone ma sulla democrazia come riorganizzazione libera e responsabile, non imposta e non diretta dall’esterno ovvero da un superpotere europeo oltremodo burocratico e fiscale anche se pur sempre condizionata da oggettive necessità di bilancio e di sviluppo, della specifica vita economica di ogni singolo Paese. Il che ovviamente, sino a che il potere sarà gestito prevalentemente dal sistema finanziario piuttosto che dai governi nazionali e dalla politica, sia pure nel nome di una presunta “emergenza economica” internazionale (che però potrebbe andare avanti all’infinito!), non potrà essere realizzato.images (60)

Certo, in un’epoca come quella odierna di populismi sciatti e gretti, il problema è anche quello di adoperarsi intelligentemente e coraggiosamente per sbarrare la strada del potere a partiti o movimenti, portati a cavalcare strumentalmente e opportunisticamente la protesta sociale che chi governa ha tuttavia il compito di intercettare per tempo e di rintuzzare con misure economiche e sociali almeno parzialmente idonei ad esaudire urgenti e pressanti richieste di lavoro e di rinnovata assistenza sociale.images (61)

Personalmente penso che il premier italiano Renzi, al di là delle molte e risentite polemiche sulla sua personalità umana e politica ben poco conciliante e completamente chiusa alla logica del compromesso a tutti i costi, possa inaugurare una stagione virtuosa nella storia del popolo italiano: perché, nonostante i limiti inevitabili della sua azione politica, egli, in un momento storico in cui tutte le regioni del mondo sono sempre più interdipendenti fra loro, ha restituito all’Italia una credibilità internazionale che le mancava da moltissimo tempo. Come ha scritto lo storico Franco Cardini, conterraneo di Renzi, quest’ultimo oggi, «con molte sfumature, è a livello internazionale l’ultima sponda; l’uomo che può salvare l’Italia oppure no. Certo il gioco delle opposizioni, di destra e di sinistra, di addossare a Renzi tutte le colpe degli ultimi anni, non funziona. Bisogna anche dire che il giovane Renzi…in Parlamento quando ha citato il poeta spagnolo che all’amata dice se mi fai del male lo fai anche a te stessa perché siamo parte di un mondo che vive insieme, che si salva o muore insieme, ha dato l’impressione di un grande statista. Lí per lí non lo hanno capito, poi quando hanno capito che si riferiva al fatto che bisogna salvare i migranti, è stato coperto di fischi e gesti di scongiuro molto volgari. Ecco, io non so se Renzi è un geniale politico o un arrivista di provincia, ma in quel preciso istante è sembrato uno statista circondato da un gruppo di pigmei. E questo conferma che i politici e i politicanti sono ridotti a un livello di miseria morale e culturale ben al di sotto dei minimi accettabili» (Migranti, Cardini: “Fare i conti con le multinazionali in Africa. Tripoli è appoggiata dalla Turchia”, in “Intelligo News”, 23 aprile 2015, Intervista di Lucia Bigozzi).

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