Renzi, il sindacato e il nuovo corso

di Renata Capolicchio

E’ giusto dire e ripetere che il governo non tratta con i sindacati perché il suo lavoro istituzionale deve svolgersi esclusivamente in parlamento pur essendo tenuto ad ascoltare le rappresentanze sindacali e a dare il giusto peso alle istanze di migliaia di lavoratori ed è anche ragionevole sostenere, entro certi limiti, che il sindacato ha la funzione di difendere gli interessi dei lavoratori trattando piuttosto con gli imprenditori, ma è altrettanto evidente che se proprio il governo promuove riforme del mondo del lavoro che, a ragione o a torto, tendono a modificarne drasticamente assetti e meccanismi giuridico-economici tradizionali, il governo camusso-renzinon può sottrarsi istituzionalmente, per la sensibilità che deve non già ai capi del mondo sindacale ma ai loro numerosi iscritti, quanto meno ad un confronto se non ad una trattativa verosimilmente suscettibile di generare accomodamenti e compromessi tra le parti.

E, d’altra parte, anche ammettendo che il governo voglia realmente estendere i diritti, ancora riservati ad una minoranza relativa di lavoratori, ad una platea molto più estesa di lavoratori (tra cui moltissimi giovani assolutamente privi di rappresentanza sindacale), rischia di essere troppo sbrigativo e sospetto l’invito governativo rivolto agli stessi sindacati, certo responsabili di non aver compreso per troppo tempo le dinamiche economiche degli ultimi decenni, a trattare con managers e imprenditori, dal momento che managers e imprenditori, senza leggi specifiche che non solo ne favoriscano o facilitino investimenti e volontà di creare nuovi posti di lavoro ma ne limitino al tempo stesso la libertà discrezionale di assunzione e di licenziamento, come anche la facoltà di accumulare profitto ad libitum senza vincoli e oneri in rapporto alle stesse legittime esigenze e ai diritti di operai, dipendenti e lavoratori in genere, vengono messi ancora una volta, e forse più di prima, nella condizione di fare il bello e cattivo tempo senza offrire minimamente alcuna garanzia circa il fatto che il “nuovo corso”, che appunto il governo vorrebbe promuovere nell’interesse di milioni di disoccupati, si riveli davvero più proficuo ed economicamente più vantaggioso del vecchio o dei vecchi corsi.Renzi-Marchionne

Dunque, è vero che la legge di stabilità e le riforme elaborate per sostenerla e renderla efficace vanno trattate in parlamento, ma è altrettanto vero e giusto che, pur dovendosi assumere la responsabilità delle decisioni, il governo non può rifiutarsi pregiudizialmente di dialogare, sia pure entro certi limiti, con le parti sindacali, anche al fine di non esasperare gli animi e di contenere una conflittualità sociale, forse non molto significativa da un punto di vista politico-elettorale ma pur sempre dannosa a quell’unità nazionale che, specialmente nell’odierno periodo di crisi e in uno scenario europeo per nulla tranquillizzante, si pone come condizione necessaria della ripresa della vita economica del nostro Paese.

Peraltro, secondo la logica di Renzi, si potrebbe eccepire che anche il cosiddetto “patto del Nazareno”, certamente legittimo da un punto di vista politico, non è stato affatto sottoscritto in una sede istituzionale come il parlamento la cui attività legislativa  anzi rischia di essere condizionata da accordi extraparlamentari, a prescindere dal fatto che questa eventualità possa rappresentare un bene o un male per la complessiva attività di governo, cosí come si potrebbe rimproverare a Renzi, poco incline a trattare coi sindacati, che la stessa indisponibilità “istituzionale” avrebbe forse dovuto dimostrare nei confronti di Marchionne o di Squinzi. Sono nodi che Renzi dovrebbe cercare di sciogliere in modo adeguato prima che questi stessi nodi irrisolti possano ritorcersi a suo danno. Il decisionismo, specialmente nel mondo caotico della politica italiana di oggi, va benissimo, a condizione che esso non proceda mai disgiunto dall’intelligenza e dalla prudenza che sono due virtù di cui i grandi leaders non possono privarsi.

Questo vale anche per quanto riguarda la gestione del PD. Renzi deve cercare di essere più sobrio e dialogante (e spetta ovviamente a lui stabilire quanto più sobrio e dialogante) con la cosiddetta “minoranza” del suo partito, che riflette poi la linea politica del precedente gruppo dirigente “di sinistra”, non perché non possa aver ragione di rilevarne l’immobilismo e l’inconcludenza operativa delle passate stagioni legislative e governative, ma semplicemente perché i nemici di oggi potrebbero rivelarsi preziosi alleati di domani in situazioni e per situazioni che ad oggi non si possono prevedere. Egli può certo contestare un potere aprioristico di veto da parte di gruppi interni al partito ma non sino al punto di vanificare qualsiasi forma di libertà di coscienza e di parola: se per esempio un deputato cattolico del PD gli dicesse che la legge governativa sulle cosiddette “unioni civili”, con specifico riferimento alle coppie sessuali, rischia di essere una legge indecorosa e rovinosa per la vita civile del nostro Paese, quel deputato avrebbe ragione da vendere nel contestarlo, anche perché Renzi si dichiara cattolico.unioni-civili-150x150

Insomma, un Renzi un po’ più socratico, più maieutico, non guasterebbe con il ruolo di leader autorevole ed efficiente che molti ormai gli riconoscono, fermo restando che nessuno può impedire al governo di bloccare o ritardare le sue decisioni. Nessuna riserva invece può essere espressa a carico del Renzi europeo che è, per chi non voglia fare polemica a tutti i costi, un Renzi determinato a non subire passivamente le consuete ingiunzioni europee: «Dobbiamo ricordare che noi ogni anno diamo a Bruxelles 20 miliardi ricevendone 10, siamo un soggetto attivo e voglio rivendicare il nostro ruolo. Il primo che tocca l’Italia deve sapere che io non sto a prendere il té ma a difendere l’Italia, il Paese e gli 11 milioni d’italiani che hanno sostenuto il Pd, il primo Partito d’Europa». Cosí si è espresso il nostro presidente del Consiglio e non c’è motivo di pensare che egli non intenda tener fede a queste sue impegnative dichiarazioni. Anche perché, in caso contrario, dubito che in Italia il politico fiorentino riuscirebbe a mantenere un consenso popolare pari a circa il 41% dei voti.

    Renata Capolicchio

 

 

 

 

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