Romano Prodi o dell’insignificanza

di Vito Stancari

Romano Prodi continua a rilasciare interviste e a lanciare frecciate a destra e a manca quasi fosse un vecchio saggio della politica italiana privo di colpe e di responsabilità più o meno litalia-ha-la-fortuna-di-avere-romano-prodi-L-X21XICgrandi circa lo stato attuale del nostro Paese. Si ritiene cosí indispensabile, pur sembrando a molti di noi assai poco vivace e innovativo, da non riuscire a tener fede alla solenne promessa da lui fatta all’indomani del siluramento subíto in qualità di candidato PD alla presidenza della Repubblica: ormai sono fuori dalla vita politica italiana, cosí aveva detto, e non intendo più assumere incarichi politici di alcun genere. Sarà, ma da quel giorno, sia pure di tanto in tanto, non ha mai rinunciato a dire pubblicamente la sua sul governo, sullo stato dell’economia, sull’Europa. E’ recente l’intervista rilasciata ad “Avvenire” del 12 settembre 2014, dove il professore bolognese ha espresso pareri e giudizi sull’attuale assetto politico europeo che, in chi ben conosce le sue personali responsabilità nella nascita della Unione Europea e soprattutto della moneta unica o euro, non possono non suscitare forti perplessità e anche una certa ilarità.

Per Prodi l’Europa «è il più grande laboratorio politico della storia, ma troppo spesso è incapace di guardare al futuro. È un laboratorio smarrito, timido, timoroso, e il rischio è girare il volto all’indietro come fosse un museo». Già, ma perché l’Europa è incapace di guardare al futuro e tende a girare il volto all’indietro come fosse un museo, Prodi non ce lo dice. Egli rivendica il merito di coloro che vollero l’Unione Europea quando c’erano solo sei Paesi a farne parte mentre a tutt’oggi si è raggiunto il considerevole numero di ventotto Paesi membri. Allora, egli dice, nei padri fondatori c’era una tensione ideale che li spingeva a guardare verso il futuro all’insegna del binomio sviluppo-solidarietà, mentre i leaders odierni dell’UE «è come se avessero paura del futuro stesso. Ma la scommessa è andare avanti, non arretrare».

Cose da pazzi! Prodi non si rende conto che il confronto storico da lui proposto tra quelli di ieri e quelli di oggi è semplicemente privo di senso, perché i capi di Stato del secondo dopoguerra avevano da ricostruire ex novo i loro paesi, da riorganizzare le loro economie nazionali, da consentire alle oligarchie finanziarie nazionali ed internazionali di rifarsi delle perdite subíte durante la guerra attraverso una politica di grande rilancio dello sviluppo e quindi anche attraverso politiche finalizzate a creare lavoro per masse di persone e di conseguenza a far ripartire i consumi e infine a produrre nuova ricchezza, mentre oggi il problema di quelle stesse oligarchie finanziarie – in una fase storica in cui l’economia è stagnante a causa di un abnorme assorbimento sessantennale di ricchezza pubblica da parte di forti società economiche private o multinazionali, con la conseguenza che al posto di una occupazione di massa è subentrata una disoccupazione di massa specie giovanile e una penuria di produttività e di crescita – è quello di continuare ad arricchirsi a scapito delle economie nazionali e dei cittadini degli Stati membri per mezzo di prelievi fiscali e monetari più o meno forzosi che prendono via via i nomi di rigore, di flessibilità, di liberalizzazione, di riforma delle pensioni, di riforme istituzionali, di riforme del mondo del lavoro e cosí via.

Prodi invece, anziché sforzarsi di capire le ragioni che hanno portato alla situazione attuale ovvero ad una situazione che proprio la creazione dell’Unione Europea ha reso inevitabile, si limita a fare considerazioni moralistiche oltre che ipocrite, dal momento che non poteva non sapere, nel momento di contribuire a varare quell’infausto progetto europeo, quali effetti ne sarebbero potuti derivare: «Ma oggi dov’è la solidarietà se i leader europei dicono che spendere cosí tanto per il welfare è la condanna dell’Europa? La difesa del più debole era tra i princípi fondamentali dell’Unione e oggi? Si sta tradendo un disegno, è un voltafaccia terribile e pericoloso». Non si sta tradendo un bel niente e non è un voltafaccia, ma vengono oggi alla luce i risultati che si volevano scientemente raggiungere anche da parte di chi come Prodi ora pretenderebbe di fare lezioni non già di economia ma di morale, riversando per intero le proprie personali responsabilità sugli attuali responsabili delle politiche economiche e delle politiche europee tout court.

L’ipocrita moralismo prodiano si estrinseca ulteriormente in affermazioni tanto generiche quanto risibili: «L’economia non ha girato e non gira: siamo stati il malato del mondo, siamo cresciuti poco, non abbiamo offerto lavoro ai giovani, le disparità tra i Paesi e all’interno dei Paesi sono aumentate. Sì, spesso penso ai giovani, a quei giovani che sono sempre anche nei pensieri del Papa. Vorrei raccontare l’Europa cominciando con la pace, ma loro vogliono risposte sul futuro e capiscono di più temi come crescita e solidarietà. In quelle due parole c’è la loro vita». E allora, dato il tono accorato delle sue preoccupazioni per i giovani, perché Prodi, tra l’altro colpevole di aver a suo tempo accettato un cambio euro-lira del tutto sfavorevole alla nostra moneta, non spiega loro che tipo di politica oggi dovrebbe varare l’Unione Europea per favorire concretamente  la creazione di centinaia di migliaia di posti di lavoro per tutti i giovani europei e italiani disoccupati?

Non è possibile che il problema dell’occupazione giovanile possa essere felicemente risolto dalla UE restituendo potere decisionale ai singoli Stati e ai singoli popoli, allentando considerevolmente i vincoli economici e finanziari, rivedendo in modo sostanzioso certi trattati commerciali capestro, consentendo di incrementare la spesa sociale a favore del lavoro e del benessere sociale dei cittadini meno agiati e meno protetti? Lo dica Prodi, visto che lui, come politico e come presidente del Consiglio, non fu capace di fare nulla di tutto questo, senza limitarsi a ripetere luoghi comuni e concetti generici del tipo: «I falchi del rigore hanno ancora molto potere e non si rendono conto che proprio il rigore sarebbe una grande virtù se accompagnato da una condivisione di obiettivi per avanzare verso il futuro. Non è così. E soprattutto non è più il momento di fare i maestrini, di dimostrare che si è meglio dagli altri; è il momento del Progetto e della Solidarietà».

Vito Stancari

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