Sull’Unione Europea i vecchi comunisti avevano ragione!

di Ester Ventimiglia

La scelta italiana di aderire alla Comunità economica europea (CEE) e alla Comunità europea dell’energia atomica (Euratom), istituite con i Trattati di Roma del 1957 e nuclei embrionali di quella che più tardi sarebbe stata l’Unione Europea, fu molto più contrastata di quanto oggi non si riesca a ricordare. Vi si oppose, infatti, il PCI di Togliatti che nel tentativo di creare un mercato comune europeo e un fronte unico europeo (per quanto ancora limitato a sei soli Paesi fondatori, tra cui appunto l’Italia) nel delicatissimo campo dell’energia nucleare e dei relativi usi, scorgeva un orientamento politico decisamente antitetico e ostile alla logica comunista dell’internazionalismo proletario e della lotta contro i vari monopoli nazionali che nel tendere a un accordo sovranazionale di tipo liberista circa il modo di utilizzare le risorse tecniche ed economiche avrebbero molto penalizzato le masse lavoratrici e la piccola economia contadina, nonché i lavoratori italiani e la piccola e media imprenditoria, e reso oltremodo accesa la concorrenza per il conseguimento di profitti sempre più alti. Per quel PCI, ancora fortemente ideologico, tutta l’operazione europeista, sin dalla sua genesi, aveva una chiara impronta antisocialista ed era stata pensata quasi esclusivamente in funzione antisovietica e quindi contro tutto il blocco comunista imposto dall’URSS all’intera Europa orientale.

Ma anche il PCI successivo, quello guidato da Enrico Berlinguer, autore dello storico strappo da Mosca, avrebbe continuato a dire no all’Europa, anche se non più con motivazioni ideologiche quanto tecniche che, a dire il vero, nel corso del tempo si sarebbero rivelate non solo fondate ma lungimiranti. Se si pensa all’odierna Europa tecnocratica e burocratica, sovranazionale e dirigista, monetarista ed antipopolare, la critica berlingueriana di allora non solo non era viziata da pregiudizi ideologici ma appare ancora oggi del tutto esatta sotto il profilo tecnico. Si può osservare che quest’Europa è diventata anche laicista e antireligiosa, o meglio anticattolica, e questo elemento era certo estraneo alle valutazioni del PCI berlingueriano. Ma, per il resto, la diagnosi era giusta e il paradosso è che contro l’Europa si trovano schierati al presente movimenti beceramente populisti e parafascisti come quello leghista, quello pentastellato, quello che fa capo a Giorgia Meloni e in parte a Berlusconi, mentre in origine l’unica vera e grande opposizione all’unità europea, che escludeva come continua ad escludere stoltamente la Russia, fu del PCI, ovvero del più grande partito comunista del mondo occidentale!

Si pensi a quel che diceva in parlamento Napolitano, oggi fanatico sostenitore dell’euro e di un europeismo ad oltranza, poco prima che nascesse la UE: la rigidità del cambio, egli sosteneva vigorosamente, avrebbe danneggiato “le economie più deboli”, e prevedeva giustamente che le economie forti che se ne sarebbero avvantaggiate non avrebbero sentito il dovere di riequilibrare i rapporti economici e fiscali tra i diversi Stati membri. Più specificamente, l’ex Presidente della Repubblica concludeva la sua rigorosissima analisi del destino che sarebbe toccato all’Italia, con queste parole: il rischio per noi sarebbe stato “quello di veder ristagnare la produzione, gli investimenti e l’occupazione invece di conseguire un più alto tasso di crescita”.

Previsione più esatta non poteva esser fatta! Solo che Napolitano e gli altri eredi del PCI berlingueriano oggi non rivendicano affatto di aver visto bene nel 1978 quando scongiuravano il pericolo di un’Europa fondata sulla moneta e sul profitto, sul liberismo mercatista (il mercatismo è stato giustamente definito come “la degenerazione finale del liberismo”) e su un fiscalismo esasperato, su un internazionalismo dei capitali e sul sistematico sfruttamento della forza lavoro di ogni singola nazione aderente all’UE. D’altra parte, costoro come avrebbero potuto sopravvivere al crollo del comunismo se non attraverso una legittimazione occidentale che venisse conseguita con un’accettazione senza condizioni del “pensiero unico” e delle logiche per l’appunto ipermercatiste gradite agli assetti nazionali ed internazionali di potere?

Anche i cattolici hanno gravi responsabilità storiche per aver avallato per troppo tempo incontrollati progetti europeisti che si sarebbero rivelati molto simili se non identici a certe entità dittatoriali di cui generalmente ci si accorge solo dopo che abbiano prodotto ingentissimi danni ai popoli e al genere umano. E’ sperabile che i cattolici italiani oggi impegnati in politica, a cominciare dal Presidente Sergio Mattarella, si destino dal loro lungo “sonno dogmatico” e si sforzino di rendere la realtà europea molto più tollerabile di quanto non sia stata e non sia a tutt’oggi, senza continuare ad escludere aprioristicamente o pregiudizialmente che da essa e dalla sua moneta unica si possa o si debba uscire per tempo per poter transitare da uno stato di oggettiva e vessatoria necessità ad uno stato di reale ma relativa libertà.   

Ester Ventimiglia

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