Ormai la politica italiana vive di analisi parziali e frammentarie perché circoscritte ad avvenimenti particolari del giorno per giorno, di sensazionalismo giornalistico legato alle spesso mutevoli dichiarazioni dei leaders politici, di previsioni elettorali fondate molto più su vicende interne ai partiti (trasmigrazione di parlamentari da un gruppo all’altro, profilarsi virtuale di possibili alleanze tra partiti e attacchi tattici sin troppo ostentati ai tradizionali rivali politici, “scandali” presunti o reali ancora irrisolti o parzialmente irrisolti a livello di gruppi dirigenti dei singoli gruppi politici) che non sul tentativo di cogliere dinamiche economico-sociali e culturali di medio e lungo periodo già embrionalmente presenti nella realtà storica nazionale ed internazionale con annesso interrogativo su modi e mezzi con cui esse possano essere validamente interpretate ed efficacemente affrontate sul piano politico-governativo.
Lungi dall’essere o almeno dall’assomigliare ad una politica dell’ “intero”, dello “strutturale” e della “visione”, l’odierna politica italiana si preoccupa più che altro di captare stati d’animo inespressi, di alimentare polemiche di bassa lega per costruirvi scenari non solo improbabili ma non di rado immaginari, di far derivare il futuro politico del Paese da approcci meramente o prevalentemente “moralistici” e strumentali ad una realtà globale immensamente più grande e più seria delle elucubrazioni e delle teorie soggettivistiche di questo o quel personaggio televisivo e massmediatico. Una politica, quindi, della “contingenza”, si potrebbe definire, ma ancora meglio della “parzialità”, del “fatuo”, dell’ “inessenziale”. Una politica che, pur invocando strategie politiche lucide e lungimiranti, si riduce in realtà e paradossalmente ad un semplice esercizio di verbosità o di retorica barocca, da cui vengono generandosi congetture del tutto inverificate e inverificabili e preoccupazioni di tatticismo spicciolo che di strategico non hanno proprio nulla.
E cosí tra un Marco Travaglio e un Marco Lillo o un Andrea Scanzi, tra un Grillo e un Cacciari, che hanno séguito più in una democrazia di esaltati che in una democrazia di persone sagge, gli italiani assistono passivi e rassegnati a spettacoli privi di reale interesse culturale e politico. Si pensi, per esempio, all’ultima intervista di Cacciari (21 luglio 2017 su “Libero”) che come sindaco di Venezia ha lasciato un pessimo ricordo di sé e che adesso si diletta nell’arte tendenzialmente parolaia del politologo dilettante. Cosa ha detto questo filosofo un po’ chiacchierone e bizzarro? Che Berlusconi “è risorto grazie all’infinita serie di colossali errori del centrosinistra”, ma Cacciari non dice quale sia questa serie infinita di errori colossali. Forse li sottintende ma l’impresa di capire o immaginare quali siano esattamente sarebbe in ogni caso destinata a risultare opinabile, soggettiva, ardua e faticosa, il che non significa ovviamente che errori non siano stati commessi dal centrosinistra come da altre forze politiche. Poi dice che aveva “previsto” questo “rientro” di Berlusconi perché questi sarebbe un “federatore” al contrario di Renzi “un monarca toscanaccio, da strapaese”, anche se al momento Berlusconi, dopo aver rotto o subìto la rottura con o dai vari Alfano, Cicchitto, Verdini e Lorenzin (senza dubbio alcuni dei “pezzi grossi” del partito berlusconiano), e da una trentina di senatori appartenenti a Forza Italia, e benché non “possa essere più il premier della destra”, può contare al più su un 10-11% di consenso elettorale senza che un accordo con Salvini sia poi ineluttabile, mentre Renzi ha compiuto il capolavoro storico-politico di eliminare dal PD una “sinistra” cialtrona e parassitaria, molto più capace di fare analisi e discettare sulle cose della politica che non di individuare i veri problemi da risolvere tentando di risolverli con la concreta e difficile arte del decidere e del governare. Peraltro Renzi, senza dubbio meritevole di aver riavviato una concreta ripresa economica del nostro Paese, è riuscito a federare per ben due volte intorno al PD un 40% di popolo, ovvero un buon 15% in più rispetto al tradizionale 20-25% di gente della sinistra moderata e riformista. Può non piacere, ma questa è la realtà dei fatti.
Per cui, sostenere, come fa il sofista veneziano, che oggi ci sarebbero “tutte le condizioni perché il centrodestra vinca le prossime elezioni” può essere un augurio, un postulato male argomentato, ma non certo l’esito di un ragionamento rigoroso e di una valutazione realmente attendibile. E’ peraltro risibile attribuire a Berlusconi, ad un vero e proprio campione dell’ “arroganza” e della “prepotenza” , la capacità di comprendere “meglio di altri “l’estrema debolezza” morale e politica di Renzi, il quale, afferma perentoriamente e conformisticamente Cacciari sull’onda di un’impostazione giornalistica maggioritaria che nel politico toscano individua tutti i vizi del mondo e la causa della prolungata staticità della situazione economico-sociale nazionale, a differenza “di Berlusconi che ha sempre cercato di federare con spirito inclusivo, non cacciando mai nessuno, Renzi non ha la testa per organizzare un partito. Il Pd doveva cercare i migliori, formare gruppi dirigenti, élite politiche e amministrative solide, ma la testa di Renzi va dall’altra parte”. Berlusconi “inclusivo”? Un nome per tutti: Fini, che oggi, forse, avrebbe potuto fargli comodo. Renzi non ha la testa per organizzare un partito? Ma se, solo contro tutti, è riuscito a prendere per ben due volte, è bene ribadire e sottolineare, oltre il 40% dei consensi? In democrazia, quando uno ottiene risultati oggettivi e non virtuali (come quelli spesso sballati dei sondaggi) di questo tipo, generalmente viene considerato un politico di prim’ordine, un leader carismatico, un trascinatore di popolo, altro che storie! Poi, tutto può cambiare naturalmente, ma attualmente coloro che vogliono un Renzi in declino dicono e scrivono fesserie, esprimendo il loro malanimo personale e augurandosi per lui tutto il peggio possibile.
Ma la verità, sia pura la verità relativa che può enunciarsi a proposito di una attività pur sempre essenzialmente pragmatica come la politica, sta decisamente da un’altra parte. Con Renzi, non con coloro che lo hanno preceduto, in Europa l’Italia ha visto mutare il suo tradizionale ruolo subalterno in un ruolo attivo, critico, propositivo e, benché contrastato o sottilmente avversato da potenze europee come Germania e Francia, virtualmente egemonico; con Renzi l’Italia, sia pure lentamente e tra mille limiti e contraddizioni, ha conosciuto un leggero ma significativo miglioramento del suo complessivo tenore di vita e una lievissima ma non insignificante riduzione del suo tasso di disoccupazione giovanile, a fronte di un rapporto molto teso con i sindacati che però hanno la responsabilità storica di non essere riusciti ad opporsi validamente, nei decenni scorsi, ai processi neoliberisti, di cui la globalizzazione o meglio questa globalizzazione è stato un effetto e non un antidoto, di erosione graduale delle principali strutture “assistenziali”, egualitarie e garantiste dello Stato Sociale. Quindi, anche qui, quando Cacciari si chiede polemicamente “si è mai visto un leader di centrosinistra che ha come massimo nemico il sindacato? Neanche Trump…”, si copre di ridicolo, non avendo la capacità e il coraggio di riconoscere che Renzi è costretto ad adottare per il momento scelte difficili e solo in parte impopolari in una situazione ben prima di lui degradata e delegittimata dal punto di vista della tutela dei tradizionali diritti costituzionali. Cosa hanno fatto prima di Renzi i grandi sindacati italiani e i vari Bersani e Speranza, Cuperlo e D’Alema, e tutto il sinistrume delle varie “rifondazioni” comuniste o pseudo comuniste? Cosa hanno fatto se non parlare di generiche idealità progressiste proprio mentre adottavano politiche sostanzialmente liberiste e, per alcuni aspetti, liberticide, per paura di rimanere troppo indietro nei sondaggi su questioni care alla destra rispetto a partiti molto popolari ma appunto conservatori e talvolta reazionari come Forza Italia, Lega, Fratelli d’Italia?
E’ nel marasma che si è trovato davanti che Renzi, per nulla stupido e inesperto come lo descrivono i suoi interessati detrattori, ha dovuto metter mano al problema preliminare di come liberare il fronte politico di centrosinistra dalla pesante zavorra di un progressismo tutto ideologico, parolaio, preconcetto, miope e inefficace sul piano politico e sociale, per potervi convogliare gradualmente buona parte di un elettorato socialmente aperto e culturalmente illuminato ma costretto per molto tempo dalle circostanze e da timori non infondati a votare per una destra sciatta ma rassicurante piuttosto che per una sinistra apparentemente più rigorosa ma non meno corrotta e demagogica.
Oggi non c’è nessuno in Italia che possa governare questo Paese meglio di Renzi, ovvero proprio nell’interesse del maggior numero possibile di cittadini, nonostante una povertà crescente che non potrà essere tollerata a lungo. Ed è per questo che tutti i narcisisti dell’intelletto, della carta stampata e della televisione, osteggiano Renzi in forme puerili e vergognose. Sì, perché se le cose tra un po’ dovessero andare ancora meglio con un Renzi di nuovo a capo del governo, l’ego di questi ignobili personaggi su che cosa mai potrebbe continuare ad esercitarsi tanto rumorosamente?
Prima o poi anche Renzi conoscerà il suo declino, ma se il padre della scienza politica moderna, ovvero Niccolò Machiavelli, potesse ritornare in vita, molto probabilmente, e senza peli sulla lingua, indicherebbe in Matteo Renzi il “moderno Principe” di una delle stagioni più complesse, contraddittorie ed oscure della storia politica italiana. Un moderno principe che non cadrà certo per opera di tanti chiacchieroni della politica.