Che la Chiesa ortodossa russa benedica l’aggressione di Putin all’Ucraina, che il regime teocratico iraniano autorizzi violente repressioni poliziesche contro il movimento femminile interno di emancipazione, che in diverse aree del mondo alcune minoranze religiose, tra cui quella cristiana e cattolica, abbiano ancora a subire frequenti persecuzioni, o che tra estesi gruppi di fondamentalismo religioso di segno contrapposto sussista ancora un rapporto di latente ma esplosiva conflittualità, sono tutti segni, come ha ben dimostrato in un recente libro Augusto Barbera (Laicità. Alle radici dell’Occidente, Bologna, Il Mulino, 2023), di come la laicità occidentale sia decisamente sotto attacco. Ora, Barbera individua nella laicità le radici della civiltà occidentale, là dove però il passo successivo da compiere, ma che non tutti e non molti sinora hanno compiuto, è costituito dal deciso riconoscimento che le stesse radici laiche dell’Occidente trovano il loro humus storico, religioso e culturale nel cristianesimo. Benché ancora molto discussa e talvolta variamente contestata, più sul piano emotivo e ideologico che su quello storico e logico-argomentativo, il presupposto da cui qui si muove e ampiamente evidenziato in tanta parte di storiografia nazionale e internazionale, è che la rivendicazione delle radici cristiane della laicità sia una rivendicazione pienamente legittima. A Cesare quel che è di Cesare, a Dio quel che è di Dio, sono le celebri parole di Gesù, con cui egli intendeva riconoscere, rispetto a qualunque ordine di potere spirituale e religioso costituito e organizzato secondo propri princìpi e strutture associative interne, la legittimità e l’autonomia del potere politico e dello Stato in quanto organizzazione politica e giuridica di una determinata comunità territoriale, ma al tempo stesso la non estraneità umana, morale, religiosa, delle leggi civili, degli ordinamenti economici e giuridici, delle norme e degli apparati repressivi dello Stato, non tanto ad una data giurisdizione ecclesiastica ed ecclesiale quanto alla superiore legge di Dio1. Cesare doveva essere ritenuto libero di provvedere, nel modo più responsabile e lungimirante possibile, alla sicurezza materiale e al benessere sociale ed economico del popolo da lui amministrato, senza tuttavia pretenderne l’asservimento a credenze e a modi di vita incompatibili con la fede nell’unico e vero Dio annunciato e servito dal Cristo. In questo senso, non si sarebbe trattato di riservare trattamenti privilegiati alla sua Chiesa e a coloro che, presbiteri o diaconi, sarebbero stati incaricati di ufficiarne le funzioni ma di rispettarne l’esistenza e la funzione spirituale nel quadro del normale svolgimento della vita associata. I laici sarebbero stati tutti gli appartenenti al popolo, e quindi tanto i credenti che i non credenti, ed essi sarebbero rimasti distinti dai chierici, ovvero dai membri del clero di una qualunque confessione religiosa e dalle specifiche pratiche religiose da essi esercitate, ma ciò non ne avrebbe giustificato condotte manifestamente immorali e oltraggiose nei confronti dei comandi divini e della dignità stessa comune a tutti gli esseri umani.
L’autorità costituita dello Stato doveva essere quindi rispettata da tutti indistintamente, da laici credenti o non credenti come da chierici, ecclesiastici o uomini di Chiesa, all’unica condizione che lo Stato non obbligasse i laici credenti e credenti nel Dio di Gesù Cristo a rinunciare o ad abiurare alla fedeltà da essi dovuta ai princìpi costitutivi e ai valori vincolanti e non negoziabili della loro fede. Dunque, contrariamente al concetto molto confuso che ne sarebbe stato dato in tempi recenti, uno Stato laico non è necessariamente uno Stato ateo o semplicemente aconfessionale, ma uno Stato metodologicamente equidistante da tutte le possibili confessioni religiose e tuttavia non autorizzato a manifestare una sorta di indifferenza istituzionale circa il problema della maggiore o minore plausibilità storica, dottrinaria e spirituale dei diversi credi religiosi2. Tra l’altro, chi eccepisce, quasi a voler giustificare l’indisponibilità di principio del legislatore-politico e del giurista tout court a valorizzare contributi religiosi in chiave giuridico-legislativa, che il vangelo non dica o non precisi cosa sia di Dio e cosa di Cesare, evidentemente fa finta di non capire o non sapere, dal momento che la rivelazione evangelica è anche manifestazione di tutto ciò che Dio stesso ha inteso attribuire direttamente alla sfera della sua autorità e del suo giudizio, distinguendola ma non separandola drasticamente dalla sfera statuale di autorità e competenza3.
La fede cristiana, pertanto, viene implicando sia il rispetto dello Stato per tutto ciò che ad esso compete (sicurezza del territorio, difesa dei confini, repressione di reati e crimini contro persone e cose, assistenza sanitaria e tutela dei ceti più poveri e deboli, protezione della vita in tutte le sue forme, formazione scolastica ed educazione civica ed etico-civile), sia l’obbligo di non conformarsi né a leggi di Stato né a prevalenti modelli sociali di pensiero e comportamento che risultassero in palese o sostanziale violazione delle leggi divine e di connessi doveri religiosi. La Chiesa non può pretendere alcuna forma di sottomissione da parte dello Stato, pur facendo salvo il suo diritto e/o il suo dovere religiosi di contestarne eventualmente una mentalità sacrilega e provvedimenti inequivocabilmente iniqui o idolatrici, né lo Stato ha facoltà di pretendere che la Chiesa rinunci a predicare e testimoniare la Parola di Dio nei modi e con i mezzi che essa ritenga più idonei a promuoverne l’ascolto e l’accettazione interiore, e a condizione che essa si astenga dall’operare indebite commistioni tra verità biblico-religiosa e propensione ad usi ideologici o strumentali della stessa su questioni di interesse collettivo e certo non estranei allo stesso ambito religioso e teologico ma di stretta competenza politica e statale (per l’oggi, per esempio, si pensi alla guerra, all’immigrazione, al problema ambientale e al problema occupazionale, alle politiche del lavoro o alle modalità di contenimento o riduzione della povertà, alla politica sanitaria o a quella per la famiglia, alla questione di una diffusa criminalità e a molto estesi fenomeni di corruzione economica e sociale, politica o giudiziaria)4. A tutto ciò che è umano, e quindi anche economico e politico, sociale e culturale, tecnoscientifico e morale o bioetico, essa può e deve alludere sul piano deontologico, spirituale e religioso, ma senza entrare nel merito di specifiche questioni e nello specifico di eventuali soluzioni politiche che, in quanto materia del potere temporale, spetta evidentemente allo Stato e ai suoi organi e poteri istituzionali affrontare e risolvere. In altri termini, il principio di laicità comporta che, così come lo Stato non può e non deve interferire nelle valutazioni, nei giudizi, nelle prospettive soteriologiche ed escatologiche della Chiesa, accettandone e rispettandone la presenza e la diffusione in tutti gli spazi pubblici come manifestazioni legittime di cittadinanza civile e democratica, allo stesso modo la Chiesa, pur avendo la facoltà e il dovere di eccepire su leggi e provvedimenti statuali ritenuti non conformi a princìpi e norme di incontrovertibile valore etico, deve astenersi responsabilmente dall’innescare processi troppo esacerbati e conflittuali con i poteri costituiti al fine di non minare le basi stesse del civile ordinamento giuridico e/o democratico dello Stato.
Infatti, la denuncia del male e la coerente testimonianza del bene, non comportano evangelicamente per i cristiani il violento sovvertimento dello Stato tranne che nei casi in cui esso intenda imporre, con il sopruso sistematico della forza, alla maggior parte dei suoi amministrati intollerabili e inique condizioni di vita e norme o modelli giuridico-civili talmente aberranti e idolatrici da risultare obiettivamente intollerabili persino per spiriti incondizionatamente umili e mansueti. Il grano cresce sempre con la zizzania nella storia degli uomini, ma Gesù non dice di sradicare immediatamente la seconda, che in tanto compare in quanto coloro che dovrebbero vigilare e fare in modo che la semina resti protetta si siano evidentemente distratti, bensì di avere pazienza, di saper aspettare, per evitare di sradicare con la zizzania, cioè con il male, anche il grano, cioè il bene: d’altra parte, per parafrasare sant’Agostino, quelli che ora sono zizzania, domani potrebbero convertirsi e diventare grano, e, nella logica della salvezza divina, bisogna dare a tutti la possibilità di abbandonare il male e di convertirsi al bene5. Sarebbe tuttavia da insipienti ritenere che questa istanza di tolleranza emergente dalla parabola evangelica e trasferita poi, sia pure tra contraddizioni e involuzioni, nella storia stessa del cristianesimo, non possa e non debba coniugarsi con un’istanza di ordine e legalità sotto il profilo specificamente giuridico-politico. Sarebbe cioè stolto pensare che, nel nome del vangelo, si debba essere tolleranti anche verso i professionisti dell’intolleranza6.
Ma dev’essere chiaro che né la Chiesa, né cristiani e non cristiani che vi si sentano umanamente e moralmente rappresentati, siano tenuti a dichiarare una resa spirituale incondizionata di fronte a forme dispotiche, empie e blasfeme di potere politico e statale o a tentazioni statolatriche che, come spesso è accaduto nella storia, inneschino inevitabilmente processi meramente distruttivi e annientatori di ogni possibile germe di libertà e di vita. E, se anche alcuni giudichino piuttosto invadente la realtà della Chiesa nel quadro delle relazioni internazionali tra gli Stati e, in particolare, della vita nazionale italiana, sarà sempre opportuno ribadire e precisare che i credenti non sono meno laici dei non credenti per il semplice motivo di voler far valere le proprie convinzioni religiose anche in sede politica, ma che anzi proprio i non credenti corrono il rischio di essere intolleranti e affetti da confessionalismo ateo o agnostico qualora pretendano di limitare la libertà religiosa, e per giunta in Italia, culla bimillenaria di civiltà cristiana, o meglio la sua traduzione in concrete e conseguenti pratiche di vita intellettuale, civile e politica7.
Tutto questo, evidentemente, non ha mai legittimato né le richieste talvolta rivolte dalla Chiesa, in determinate epoche storiche, a Imperi, Regni o Stati, di sottomissione a sue particolari istanze di carattere politico-religioso anche se non sempre coerentemente o strettamente riconducibili ai princìpi dottrinari e ai valori spirituali della sua fede, indipendentemente dagli esiti che, di volta in volta, esse avrebbero avuto; né le richieste che diverse forme di statualità sarebbero venute storicamente avanzando nei confronti della Chiesa o, più esattamente, del papato per affermare o ribadire la propria indipendenza da esso oppure per esercitare nei suoi confronti una precisa funzione egemonica. Ma con l’avvento della società moderna, la proclamazione del principio della libertà religiosa e l’istituzionalizzazione progressiva dello stesso pluralismo religioso, non sarebbe mai più accaduto che un papa stabilisse «chi deve governare gli altri Stati, … gli ambiti nei quali è lecito governare», e «persino come bisogna governare», né che la Chiesa dovesse continuare a sancire il diritto divino dei re, o che, al contrario, principi e sovrani di Stati ormai tendenzialmente in via di laicizzazione potessero, come in epoche precedenti, dettare l’agenda politica dei pontefici oppure utilizzare strumentalmente a scopi politici dichiarati talune aperture o “favori” ecclesiastici. Questo inoppugnabile dato storico, però, non avrebbe impedito fino ad oggi che, a livello planetario, i rapporti tra mondo politico-statuale e Chiesa cattolica, pur improntati a reciproco e cordiale rispetto diplomatico, restassero pur sempre soggetti a periodiche incomprensioni o a vere e proprie rotture: che è poi ciò che dimostra, a distanza di due millenni, come le parole di Gesù tra Cesare e Dio, tra potere temporale e potere spirituale o religioso, apparse a taluni in parte chiare ma in parte evasive, non intendessero risolvere aprioristicamente i successivi rapporti storici tra lo Stato e la Chiesa o, volendo essere più precisi e non soggetti ad equivoci di sorta, tra lo Stato e la Chiesa di Dio in Cristo, ma, ben comprensive di quanto eterogenea fosse la natura della logica divina rispetto alle logiche temporali e contingenti del mondo e della storia, fissare semplicemente e sapientemente un principio metodologico e spirituale ad un tempo, in virtù del quale i reggitori degli Stati e i vicari terreni del Figlio di Dio, e di volta in volta più degni o meno degni di rappresentarlo, avrebbero potuto e dovuto sforzarsi di trovare accordi o soluzioni adeguate su questioni di primaria importanza morale e spirituale ma anche suscettibili di evolvere verso posizioni reciprocamente e apertamente conflittuali.
Peraltro, la Parola di Dio, com’è noto, è non solo amorevole e misericordiosa ma anche divisiva e conflittuale, e non sempre, anzi assai di rado gli interessi temporali di questo mondo tendono a convergere con gli interessi spirituali del Regno alternativo che Dio intende non contrapporre ad esso ma in esso costruire in modo innovativo e originale. Il valore non pronunciato letteralmente ma preannunciato intenzionalmente da Cristo è quello di laicità, di appartenenza consapevole al popolo di Dio prima che al popolo di monarchi o governanti terreni, e di appartenenza che impone a quanti sono chiamati a prendersi cura dei beni e delle necessità materiali e civili di tale popolo di governare autorevolmente e responsabilmente in libertà di scienza e coscienza ma senza prevaricare nei confronti delle leggi divine correttamente recepite ed applicate, mentre impone a quanti siano chiamati in senso apostolico, sacramentale e missionario, a custodire, testimoniare e trasmettere fedelmente la Parola di Dio, di intendere sempre il loro potere spirituale come servizio e mai come dominio o come semplice privilegio. Qui è il senso più profondo, la vera radice storica e culturale della laicità di cui oggi tanto, e spesso a sproposito, si parla o si blatera. Che poi alcuni preferiscano evidenziare le manomissioni storiche, rare o frequenti che siano, che gli ecclesiastici o uomini della Chiesa cattolica, come o più dei non cattolici, avrebbero fatto di un siffatto valore di laicità, è certo legittimo anche se forse non particolarmente utile e si potrà loro concedere di affermare che «la laicità alla cattolica non sia poi tanto laica»8. Ma questa è cosa profondamente diversa dal pretendere di poterne inferire che «se l’origine cristiana della laicità fosse fondata, avremmo alle spalle quasi due millenni di storia laica»9, in quanto la laicità nasce con il cristianesimo anche se questo non ha mai inteso obbligare nessuno, né i cattolici né i miscredenti, a rispettarne il significato e a comportarsi di conseguenza, allo stesso modo di come Cristo non ha mai fatto obbligo a nessuno, credente o non credente che sia per semplice professione di fede o di ateismo, di salvarsi in lui, con lui e per lui. Potrebbe essere anche vero, in via puramente ipotetica, che «la Chiesa non ha mai espresso un’opzione preferenziale per la laicità, ritenuta al massimo uno strumento idoneo a garantire la (sua) libertà religiosa. La dottrina, anche quella dei più autorevoli dottori della Chiesa, ha sempre visto lo Stato subordinato all’autorità ecclesiastica. La prassi si è sovente allineata, a cominciare dallo stesso Stato Pontificio»10.
Anche se tutto ciò fosse totalmente vero, e non lo è, sarebbe da ritenere ugualmente falso che «l’episodio del tributo a Cesare sembra essere non più di un mito di fondazione. La pretesa di una radice cristiana della laicità è dunque destituita di ogni fondamento»11. Conclusione di un giudizio manifestamente avventato e spaventato dall’idea che la laicità, tanto decantata oggi in funzione antireligiosa, anticristiana e anticattolica, possa aver avuto un’origine evangelica e cristiana12. E proprio quell’origine, non le forme storico-fenomenologiche in cui è venuto via via manifestandosi il principio di laicità, deve poter essere ancora oggi assunta quale criterio di corretto intendimento del significato di laicità, quale criterio di discernimento tra forme errate o arbitrarie e forme veritiere o legittime di laicità. Donde anche la constatazione che in quella origine trovano la loro prima, anche se ancora implicita, legittimazione storica di concetti come quelli di autonomia di giudizio, facoltà di libero ma responsabile discernimento etico-conoscitivo, rispetto della pluralità di idee, valori e giudizi, purché non segnati da spirito di prevaricazione e sopraffazione, ovvero tutta quella serie di criteri o regole procedurali senza cui non può sussistere una libera, produttiva e democratica vita associata. Il credente che riconosca la legittimità etico-politica di un sistema sociale fondato su tali presupposti di metodo e di valore, è un credente laico che si predispone a collaborare, insieme ad altri e in rapporto dialettico con visioni e posizioni diverse dalle sue, alla costruzione di una società sempre più prospera e sicura per tutti13.
Va tuttavia precisato che laicità non può essere intesa come semplice sinonimo di neutralità o equidistanza rispetto a tesi o valutazioni o opzioni contrapposte, indipendentemente dal grado di plausibile veridicità in ognuna di esse presente o contenuta, perché, se bastasse solo questo a fare della laicità un principio e una condizione di libertà, tolleranza e democratica vita civile, ogni società o ogni popolo che volesse adottarla e farne il fondamento del proprio funzionamento e della propria interna organizzazione, rischierebbero di precipitare in un marasma etico-giuridico-istituzionale senza fine. E, in questo senso, è curioso che si venga ritenendo intelligente l’affermazione per cui la laicità, o meglio l’etica laica, non avrebbe a che fare, neppure in senso regolativo, con un criterio di verità, ma con il semplice dubbio metodico14. Precisazione che, tuttavia, non sembra essere dotata di particolare valenza esplicativa, anche se si intenda dire che l’etica laica non possa essere fondata su una verità dogmatica ma solo su una verità che, attraverso l’intelligente vaglio del dubbio, venga costituendosi quale verità critica. Il problema è che, poiché per verità dogmatica si viene intendendo genericamente qualunque verità dotata di fondamento religioso, solo le verità elaborate unicamente per via di umano ragionamento e razionale discernimento possono legittimamente aspirare alla qualifica di verità critiche, dove però è facilmente intuibile il semplicismo logico-teorico, più e più volte affrontato, contrastato e spesso abbattuto in sede di storia del pensiero filosofico, con il quale ancora una volta si venga tentando di sbarazzarsi della problematica religiosa e, più segnatamente, della problematica cristiana e cattolica con cui sarebbero venuti alimentandosi secoli e secoli di pensiero e di cultura occidentali. In vero, se si ritiene che la verità cattolica sia dogmatica solo in quanto fondata sulla Rivelazione, non c’è dubbio che questa affermazione sia talmente generica da apparire ben poco significativa e applicabile praticamente a qualunque posizione di pensiero, dal momento che non c’è, nella storia della cultura, della filosofia e della scienza, modello teorico o concezione del mondo e della vita che non risultino basati su un qualche implicito o esplicito presupposto.
Ma, come dovrebbe essere ormai ben noto, un sapere e le verità da esso implicate non possono considerarsi dotati di forza critica in quanto non muovano da premesse dogmatiche ovvero da premesse o affermazioni non ulteriormente dimostrabili sul piano logico-argomentativo, per la semplice ragione che nessuno mai è riuscito a dimostrare la possibilità di una scienza senza presupposti, ma solo in quanto essi, pur senza nascere e poter nascere dal nulla, risultino costitutivamente funzionali, in misura maggiore o minore, ad una più o meno feconda esplorazione cognitiva, di valenza anche etica, spirituale e religiosa, di campi possibili e sempre nuovi di esperienza e realtà. Da questo punto di vista, tanto dal punto di vista strettamente dottrinario e teologico quanto da quello storico e culturale, appare obiettivamente inattaccabile e dogmatici sono tutti coloro che si ostinano a disconoscerne, per motivi essenzialmente psicologici, la funzione critica propulsiva in tutti gli ambiti del sapere e della prassi. Tanto più forte è la democrazia, si sostiene, quanto più robusto sia il suo carattere di laicità, ovvero quanto più il confronto e i meccanismi democratici risultino protetti da gruppi di pressione che intendano imporre il proprio punto di vista prescindendo dal rispetto delle regole condivise. Ma, a parte il fatto che la democrazia non è un sistema statico e immutabile bensì suscettibile di evolversi storicamente come qualunque altro fenomeno o costruzione della specie umana, gruppi di pressione tentati di prevaricare, di abusare della libertà democratica, di manipolare il libero e democratico dibattito o di strumentalizzarlo a fini autoritari o illiberali, esistono francamente in qualunque ambiente culturale e in ogni settore della società civile, per cui, alla fine, e non certo per voler essere troppo sbrigativi, il punto focale di maggior significato democratico resta il voto, la conta delle teste, delle preferenze o delle opzioni. Punto!15.
Se, in tal senso, a prevalere saranno i cattolici, faranno democraticamente valere sui vari piani della vita politica le loro idee e i loro valori, in caso contrario essi continueranno a dare pacifica e combattiva testimonianza di fede anche in una situazione avversa o non particolarmente favorevole. Parlare di un pericolo cattolico per la laicità democratica occidentale e italiana e metterlo sullo stesso piano dell’integralismo islamico o del fondamentalismo evangelico americano, è semplicemente stupido e fuorviante, e tanto più insensato quando ci si riferisca in particolare alla rivendicazione cattolica delle radici cristiane della laicità16. E il fatto che il cristianesimo abbia potuto imporsi talvolta militarmente in determinate aree del mondo come in Africa o in America, non toglie o non riduce in nessun modo la veridicità di tale rivendicazione, perché altro è il cristianesimo come messaggio di civiltà e di salvezza, altro è il modo o sono i modi umani in cui esso sia stato applicato o realizzato nella storia dei popoli. Ma, a ben vedere, il problema è sempre lo stesso ed è quello per cui a non essere gradita a tanti sedicenti democratici è la fede cattolica in una verità assoluta, è la loro indisponibilità ad ammettere che non esistano né verità rivelate, né verità definitive e indiscutibili. Proprio questo rifiuto a riconoscere la possibilità di verità altre, naturalmente tutte rigorosamente soggettive e relative, coinciderebbe con il rifiuto della logica democratica. In sostanza, la democrazia non vivrebbe di verità ma solo di opinioni, anche se di nuovo non ci si renda conto che questa argomentazione, lungi dall’infliggere un colpo doloroso alla sensibilità cattolica, finisce per rafforzarla, per il semplice motivo che, in democrazia, anche la fede cattolica in una verità assoluta può configurarsi formalmente come semplice opinione da confrontare con altre opinioni e da rendere culturalmente ed elettoralmente competitiva.
Che i cattolici siano da rimproverare perché pensano di avere la verità in tasca, appare un’argomentazione tanto debole quanto inutile: debole, perché anche quelli che non pensassero di avere la verità in tasca, in realtà dimostrerebbero di pensarlo, e inutile, perché la natura stessa dell’etica laica e democratica non implica la previsione che al governo della società debbano presiedere i princìpi e le idee ritenute migliori da una commissione di saggi o di accademici completamente privi di motivazioni e sentimenti religiosi o, al contrario, totalmente immersi in una spiritualità di tipo religioso e cattolico, ma princìpi e idee emergenti in senso maggioritario dalle urne elettorali. I vangeli sono dogmatici? Anche qui, la risposta a Zagrebelsky e ai presunti laici come lui è chiara: per il principio laico dello Stato democratico si è sempre liberi di non tenerne conto, consentendo tuttavia ad altri di assumerli come base vitale della loro esistenza. Ma, per quanto ovvia ed equilibrata, una considerazione del genere non soddisfa l’avido e rancoroso desiderio di rivalsa e di supremazia nei confronti del mondo cattolico che molti non credenti, miscredenti, atei o agnostici che siano, privatamente o pubblicamente non mancano di manifestare con mediocri argomentazioni polemiche e toni acrimoniosi e aggressivi. Per gli increduli italiani che si caratterizzerebbero, secondo un portavoce dell’ateismo italiano, «per una maggiore apertura mentale e tolleranza verso la diversità», ben certi che diversità non possa in nessun caso significare abnormità o devianza, si tratta di dichiarare ormai guerra al potere crescente e «tutto terreno del sistema cattolico», benché la Chiesa riscuota «meno consensi» di un tempo: un sistema «fatto di associazioni, sindacati, scuole, ospedali, imprese, editoria e delle sue connessioni con la politica. Tra la gente, permane un senso identitario, tanti si dichiarano cattolici anche se i loro comportamenti individuali poco o nulla rimandano ai precetti del magistero»17. La destra politica, soprattutto, ma anche la sinistra, sarebbero ormai proni a questo dominio politico dell’ideologia religiosa cattolica, indipendentemente dal fatto, pure storicamente rilevante, che il numero di credenti cattolici praticanti e realmente convinti della veridicità della fede da essi professata risulti sempre più esiguo, e, stando così le cose, a farne le spese non può essere che la laicità (Ivi), proprio a causa del fatto che un intero mondo cattolico continua «ad accontentare la Chiesa» con «agevolazioni, finanziamenti, predominanza del “catechismo di Stato”, tutela dei tribunali», tutte cose in vero ben più discutibili di quanto non appaia ai promotori della campagna anticattolica e, in ogni caso, non sottoposte minimamente al dubbio che, se tutti i partiti politici, coadiuvati anche dai mass media, appaiono così interessati a soddisfare le esigenze e le richieste della Chiesa cattolica, esse non siano dovute a fattori puramente propagandistici ma siano radicate in un diffuso convincimento politico-sociale che il governo del mondo, ancor più del governo delle singole nazioni, non possa fare ancora a meno di una gloriosa istituzione religiosa bimillenaria quale la Chiesa cattolica, anche in un’epoca in cui quest’ultima appaia portatrice di una fede alquanto incerta e confusa e la sua forza di incidenza evangelizzatrice e umanizzatrice sui complessi processi storico-mondani in atto venga gradualmente attenuandosi. Tale situazione sarebbe responsabile sia della scarsa visibilità civile e culturale dei non credenti che della condizione di stagnazione in cui sembrano versare la stessa ricerca scientifica, i diritti civili, la libertà d’informazione e un valore primario quale l’onestà. La grande sconfitta, alla fine, viene ribadito dai fautori di un laicismo ateo e segnatamente anticattolico, non può essere che la stessa laicità.
Però, se ci si affida a interpretazioni un po’ più serie e attendibili della laicità, si scopre che, anche al di là delle rivendicate radici cristiane per tale principio, «la religione, così come in genere ogni visione del bene e dei fini ultimi, deve essere, secondo i laici, una scelta di coscienza e individuale: può informare i comportamenti dei singoli, ma non può avere nessuna pretesa particolare sui comportamenti altrui o sulle leggi dello Stato. Le quali, al contrario, devono essere rigorosamente neutrali: devono cioè mantenersi su un terreno il più possibile formale, garantendo ad ogni concezione o confessione religiosa la massima libertà di espressione e una uguaglianza sostanziale rispetto alle altre»18. Che è appunto ciò che anche il più ortodosso dei cattolici può e deve sottoscrivere, a condizione che quella postulata neutralità legislativa dello Stato non venga in realtà traducendosi in una sorta di indifferentismo etico-statuale in fatto di morale e di pubblici costumi e in relazione alle virtuali conseguenze pratiche che potrebbero scaturire da ciascuna confessione religiosa. Altrettanto condivisibile è che «il contrario della laicità» sia «il confessionalismo o, meglio, il clericalismo: la pretesa di informare le leggi dello stato ai precetti che provengono dall’autorità religiosa, imponendo a chiunque (magari con la buona intenzione di fargli del bene) determinati comportamenti. Del tutto ingiustificato è pertanto, da un punto di vista lessicale, l’attribuzione di una valenza negativa al lemma anticlericalismo: essere anticlericali non significa affatto essere irreligiosi o sprezzanti verso ogni forma di fede»19, anche se, benché non si possa e non si debba laicamente pretendere che le leggi dello Stato siano l’esatto riflesso di determinate credenze o convinzioni religiose, sarà tuttavia laicamente e civilmente legittimo lottare affinché le idee e i valori cattolici possano essere quanto più e meglio possibile recepiti e fatti osservare dalle leggi dello Stato.
Altrettanto condivisibile, da un punto di vista cattolico, è che l’atteggiamento laico, come quello liberale, sia «basato sulla tolleranza, sullo spirito critico, sull’antidogmatismo, sulla critica dell’esistente e soprattutto sulla messa in discussione dell’assoluto»20, purché per messa in discussione dell’assoluto non si voglia intendere un rifiuto aprioristico e pregiudiziale dell’assoluto. Ma una convergenza particolarmente significativa del cattolico con una visione laica si ha là dove si precisa che, poiché «la laicità è un metodo e non un sistema: un atteggiamento e una sensibilità e non un insieme di precetti o ricette sovrastoriche pronte per l’uso», è evidente che, ove «il principio laico … si fa sistema, la laicità può diventare a sua volta intollerante e dogmatica, può convertirsi in una visione integralista come quella clericale. In questo caso è lecito parlare di laicismo»21, e, a supporto del fatto che il cattolicesimo possa essere o continuare ad essere sorgente esemplare di laicità, di può affermare perentoriamente che l’«opposizione laici – cattolici è, pertanto, una falsa opposizione: si può essere uomini di profonda fede e credere ugualmente nel principio laico (anzi una religione non invischiata nella temporalità è stata spesso considerata più “pura” e vicina all’essenza spirituale che costituisce il nucleo di fede). In Italia, ad esempio, maestri di laicità sono stati cattolici del calibro di Luigi Sturzo, Alcide De Gasperi e Carlo Arturo Jemolo, per fare solo qualche nome»22, quantunque, ancora una volta, si renda indispensabile precisare che altro è l’uso strumentale della fede a scopi politico-temporali, altro è invece, e spiritualmente doveroso, il non voler mai prescindere dai contenuti di fede nella formulazione dei propri giudizi e nel compimento delle proprie scelte anche in sede civile e politica23.
Peraltro, la coerenza religiosa dei cattolici in sede politica non necessariamente deve produrre orientamenti o scelte uniformi o indistinte, dal momento che la fede non vieta, in linea di principio, di essere politicamente e responsabilmente fedeli a un monarca, piuttosto che ad un capo di Stato liberale, repubblicano, socialista o semplicemente democratico, mentre di certo obbliga a prestare particolare attenzione ai contenuti generali e specifici dei rispettivi programmi di governo. I cattolici hanno piena libertà di scelta politica, anche se delle loro scelte politico-elettorali in senso partitico e governativo, quali che siano, restano pur sempre responsabili, anche nel senso di non poter perseverare nell’errore ove questo sia riconosciuto per tempo. D’altro canto, quale che sia il Cesare di turno, essi gli devono obbedienza e collaborazione nei limiti in cui egli non violi alcuno dei santi princìpi della loro fede, sebbene occorra riconoscere con franchezza che i cattolici italiani, in generale, ormai da alcuni decenni appaiono inclini a concepire le proprie opzioni politiche come completamente sganciate da ogni riferimento al proprio credo religioso24. Ma proprio questa dissociazione tra fede e scelta o impegno politici viene indebolendo non solo il senso spirituale e la stessa funzione politica dei cattolici nella società ma la stessa laicità la cui funzione dovrebbe consistere nell’assicurare un libero e pacifico confronto e una reale e non finta competizione tra idee e valori forti e non deboli, tra concezioni di vita civile non sostanzialmente uniformi e conformisticamente condivisi ma, per quanto auspicabilmente convergenti su temi particolarmente sensibili e relativi ad interessi di valore nazionale e comuni a tutte le componenti popolari, anche rigorosamente alternative o realmente diversificate in rapporto ai modi di intendere i valori fondanti della vita repubblicana e democratica e agli scopi preminenti rispetto a cui si tratterebbe di renderli funzionali.
I cattolici devono continuare ad esser tali, non solo nominalmente, anche in politica, restando evangelicamente fedeli alla originaria e originale Parola di Dio e senza temere né l’irrisione di non credenti e laicisti di varia estrazione ideologica né forme inevitabili di più o meno accentuata emarginazione mediatica e culturale. Anzi, i cattolici laici e i cattolici del clero, dovrebbero potenziare e rendere ancor più visibile lo spirito della propria ortodossia di fede ove le gerarchie ecclesiastiche si lasciassero troppo condizionare da facili e ingannevoli umanitarismi storico-temporali e, volendo condividere talune false o ambigue aspettative del genere umano, rischiassero di trascinare il popolo di Dio verso avventure di equivoco significato morale e religioso e teleologicamente fornite di incerto destino salvifico. Non si tratta di voler far prevalere certezze religiose o verità di fede, ma solo di testimoniare con umile e solida perseveranza la fede nei comandi non manipolati di Cristo. E, se il postulato di una concezione radicale della laicità, ovvero di una vera e umana autonomia razionale, dovesse richiedere ai cattolici, anche se in evidente contrasto con il significato storico originario della laicità, di vivere e agire «come se Dio non ci fosse», essi non dovrebbero far altro che denunciare l’altrui tentativo di fare un uso indebito e mistificante del concetto e del principio di laicità, anche per il semplice motivo che a nessuno può essere ragionevolmente chiesto, nel nome di una presunta civile convivenza, di nascondere in pubblico idee e valori della cui importanza sia profondamente convinto nell’intimo o in privato25. Se i laicisti non sono disposti a vivere e ad agire come se Dio ci fosse, non si vede perché i cattolici dovrebbero essere disposti a fare di buon grado il contrario.
Si potrà anche contestare alla Chiesa le sue non infrequenti ingerenze nella vita politica degli Stati e dello Stato italiano in particolare, che eroga a suo favore ingenti finanziamenti, ma c’è da chiedersi se ciò basti a qualificarla come “Chiesa padrona”26. Personalmente penso che un cattolico, lungi dal ritenere che la Chiesa di Cristo debba barattare con lo Stato e con qualunque Stato la possibilità della sua stessa esistenza storico-istituzionale, non dovrebbe avere difficoltà ad accettare che lo Stato italiano, ove lo ritenga realmente conveniente per se stesso e per il popolo che deve governare e amministrare, tolga ogni sostegno finanziario ed eventualmente qualunque altra concessione privilegiata al Vaticano e alla Chiesa di milioni e milioni di cattolici sparsi in tutto il mondo27. A quel punto, a farsi carico delle necessità materiali della loro Chiesa dovrebbero essere gli stessi cattolici con erogazioni private di denaro, così come in fondo operavano i fedeli della Chiesa delle origini e come avrebbero operato grandi masse di cristiani, con contributi evidentemente diversificati, per tutto il medioevo e l’età moderna28. Tuttavia, non è affatto scontato che il venir meno di un’assistenza finanziaria statuale, esterna per così dire, alla Chiesa cattolica, determinerebbe un potenziamento della laicità statuale, popolare e democratica, perché in quel caso i cattolici ormai costretti a farsi interamente carico delle sorti materiali, organizzative e burocratiche, del loro santo ovile, si sentirebbero ancora più liberi di battere i pugni sui tavoli del pubblico confronto, di rivendicare una maggiore presenza di proposte e contributi cattolici in sede di attività legislativa e governativa, di recuperare almeno una parte dell’egemonia politico-culturale a lungo esercitata, insieme al partito comunista italiano, e poi perduta nel corso del secondo dopoguerra a causa dei radicali mutamenti storico-sociali intervenuti nelle aspettative, nelle forme del credere e nelle modalità associative delle masse cattoliche, come in parte a ragione qualcuno sostiene29, anche se quell’egemonia politico-culturale non avrebbe rispecchiato una reale maturazione spirituale del mondo cattolico e una maggiore consapevolezza dei compiti etico-civili, relazionali e interpersonali oltre che genericamente associativi e cooperativi, implicati dalla fede in esso professata, e in tal senso sarebbe venuta ancora una volta rivelandosi un puro mito la prospettiva, già equivocamente adombrata nel periodo fascista, di un’Italia cattolica30.
Per contro, fino a quando per laicità continuerà ad intendersi forzatamente, entro settori molto estesi di opinione pubblica e di pensiero critico, che la razionalità laica non debba avere punti di contatto né rapporti di continuità con la razionalità cattolica, e alla fede religiosa che di quest’ultima è la struttura determinante, si continuerà a negare piena legittimità nell’arena del pur acceso confronto democratico, anche il costituzionalismo giuridico italiano, imbevuto com’è di uno spirito illuministico per niente incline a recepire e a riconoscere le buone ragioni morali e politiche di un pensiero eminentemente laico e religioso come quello fondato sugli insegnamenti di Cristo, alla lunga finirà per rendere un cattivo o mediocre servizio, come sembra già emergere dal conflitto in atto tra mondo politico e magistratura, alla causa di una equilibrata e integrale laicità democratica31, là dove invece non manca chi, rimproverando alla cultura laica la sua debolezza e il suo timore di contrapporsi energicamente e politicamente alla Chiesa e al suo confessionalismo religioso, proprio nella dimensione costituzionale ritiene possa e debba essere ritrovata la forza dei princìpi laici di sapere e vita civile32.
Se Guido Calogero pensava diversi decenni or sono che il principio di laicità doveva muovere e originarsi innanzitutto dal quel principio dialogico consistente nell’esercizio del pensiero e della sua capacità di critica, essenzialmente volti a mettere in discussione le pretese ontologiche dei ragionamenti addotti dalle parti a confronto per farne emergere quanto più chiaramente possibile le rispettive e concrete valutazioni pratiche33, è oggi difficile ammettere che quell’ideale abbia oggi una sia pur minima possibilità di essere attuato all’interno di una società in cui persino il ragionamento più rigoroso ed equilibrato, più problematico ed esaustivo, più rispettoso e persuasivo, più nobile e solenne, rischia di innescare processi comunicativi e relazionali di natura degenerativa e assimilabili a vere e proprie gazzarre da cui logica e razionalità, realismo e buona argomentazione, si ritrovino ad essere puntualmente bandite34.
Francesco di Maria
NOTE
1 O. Fumagalli Carulli, A Cesare ciò che è di Cesare, a Dio ciò che è di Dio, Milano, Vita&Pensiero, 2006; AA.VV., La coscienza laica: fede, valori, democrazia, IX Corso dei Simposi Rosminiani, Stresa, 27-30 agosto 2008, Edizioni Rosminiane (Stresa), 2009; A cura di G. Quagliariello, Alla ricerca di una sana laicità. Libertà e centralità dell’uomo, Siena, Cantagalli, 2007; D. Menozzi, Dalla “peste del laicismo” alla “sana laicità”. L’itinerario novecentesco della chiesa cattolica davanti allo stato laico, in Associazione Teologica Italiana, Laicità e democrazia. Una questione per la teologia, Milano, Glossa, 2011, pp. 181-208; per la ricerca di possibili alternative ad una laicità più fraintesa che non correttamente intesa, si può vedere L. Diotallevi, Una alternativa alla laicità, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2010. La pluralità di sensi inerenti il termine laicità, viene descritta ed evidenziata in G. Dalla Torre, Lessico della laicità, Roma, Studium, 2007; per il rapporto molto problematico tra Chiesa, laicità e vita civile, si rinvia a AA.VV., Chiesa, laicità e vita civile, (A cura di L. Ceci-L. Demofonti), Roma, Carocci, 2005; ma poi, a dimostrazione che lo spirito di laicità sia un valore intrinseco al corpus cristiano delle origini, piuttosto persuasiva è l’analisi storica di R. Penna, Un solo corpo. Laicità e sacerdozio nel cristianesimo delle origini, Roma, Carocci, 2020.
2 In un articolo di G. Di Cosimo, Laicità e democrazia, in sito on line “Associazione dei costituzionalisti”, 19 settembre 2007, si legge significativamente che se, da una parte, «l’idea dei princìpi non negoziabili viene invocata impropriamente quando il legislatore stabilisce la mera facoltatività dei comportamenti che la Chiesa cattolica giudica negativamente», dall’altra è «giusto che le Chiese invitino i cristiani ad essere vigili verso le leggi imperfette date da Cesare», rendendosi però conto che «una legislazione che autorizzi il divorzio, ammetta l’aborto o accetti la fecondazione artificiale non obbliga nessuno a divorziare, né ad abortire né a farsi “fecondare”… La democrazia sarebbe più povera se si escludessero le religioni dalla discussione pubblica che ne costituisce l’essenza. Il dialogo fra pensiero religioso e pensiero laico è tanto più prezioso proprio perché si tratta di punti di vista differenti, di sguardi diversi sull’uomo e sulla società». La religione, in genere, può senz’altro «concorrere al processo democratico al pari delle altre visioni della vita» ed è «sotto gli occhi di tutti il contributo dei cattolici all’edificazione della democrazia del nostro Paese», anche se «il dialogo appare più complesso con quelle religioni storicamente estranee alla cultura liberal-democratica che si è sviluppata in occidente». In ogni caso, poiché la «cultura politica di una società democratica è sempre contraddistinta da una molteplicità di dottrine religiose, filosofiche e morali opposte e inconciliabili», compito dello Stato è quello di «favorire il pluralismo, … consolidare l’assetto pluralistico della società», valorizzando anche o proprio sul piano etico-giuridico l’apporto che da ognuna di esse possa provenire; tuttavia, e qui inizia la parte di ragionamento meno condivisibile, le religioni, ivi compresa quella cattolica, «dovrebbero … astenersi dal cercare di ottenere leggi che li favoriscano oppure leggi che impongano obblighi o divieti conformi alla loro visione: sappiamo che nel caso delle leggi di favore non lo consente il principio di laicità inteso nel significato di “equidistanza e imparzialità della legislazione rispetto a tutte le confessioni religiose”, e nel caso dei divieti o obblighi di matrice religiosa inteso come necessaria neutralità rispetto alle varie visioni della vita». Quel che può infatti contestarsi è che il diritto, essendo pur sempre emanazione di vita etico-razionale non estranea al sapere biblico-religioso, non può aprioristicamente considerarsi o imporsi di essere equidistante, imparziale o neutrale rispetto a qualsivoglia fonte e contenuto di sapere, ivi compreso il sapere religioso nella molteplicità e nella differenza delle sue forme e delle sue valenze veritative, ma può e deve riservarsi di acquisire o respingere criticamente qualunque proposta o contributo sulla base degli elementi più o meno razionali che ognuno di essi contenga. In realtà, la questione della equidistanza o della neutralità dello Stato è molto più controversa di quanto spesso non voglia farsi apparire: per esempio, A. Guazzarotti, Laicità e giurisprudenza, in www.europeanrights.it, 11 ottobre 2012, pp. 1-16, e I. Spadaro, Il “nuovo” modello italiano di laicità dello Stato alla luce di Cass., Sez. Un. civ., sent. n. 24414/2021, tra professata fedeltà ai precedenti e tendenze emulative di alcune esperienze straniere, in “Diritti fondamentali.it” del 2022, fasc. n. 2, in particolare pp. 181-192.
3 Entro certi limiti è condivisibile il pensiero di Roberta De Monticelli, Laicità e trascendenza, ovvero: la verità come uno dei nomi di Dio, in sito on line “Libertà e Giustizia” del 26 settembre 2014: «Il principio di laicità non è un principio di neutralità rispetto a valori, che implicherebbe uno scetticismo assiologico. La laicità è essa stessa un valore. Tesi fondamentale del saggio è che il pluralismo non implica relativismo e quindi scetticismo assiologico, ma al contrario il principio di laicità è parte essenziale di quel fondamento etico che le democrazie postbelliche, inglobando i diritti inviolabili della persona umana nelle costituzioni, hanno posto alle loro basi». Considerazioni serie e utili sono presenti anche in S. Dianich, Chiesa e laicità dello Stato. La questione teologica, Alba (CN), San Paolo Edizioni, 2011.
4 Si veda lo sforzo di trovare nuove e migliorative vie di raccordo tra libertà religiosa e autonomia decisionale dello Stato: AA.VV., Libertà religiosa e nuovi equilibri nelle relazioni tra Stato e confessioni religiose, a cura di P. Palumbo, Napoli, Editoriale Scientifica, 2019. Libertà di coscienza, anche religiosa, e laicità dello Stato sono termini certamente compatibili e reciprocamente integrabili, a condizione di non confondere questi due concetti con i fenomeni degenerativi, oggi diffusi, del “libertarismo”, che si può tentare di giustificare in nome della libertà di coscienza, e del “laicismo”, che corrisponde in realtà ad un irrigidimento dogmatico del principio stesso di laicità: A. Spadaro, Libertà di coscienza e laicità nello Stato costituzionale: sulle radici “religiose” dello Stato “laico”, Torino, Giappichelli, 2008.
5 A. Angenendt, «Lasciate che crescano insieme…». La tolleranza nella storia del cristianesimo, Brescia, Queriniana, 2024.
6 Sulle diverse forme della tolleranza e sulla possibilità che la tolleranza degeneri in cinica indifferenza e disimpegno etico-politico, si può vedere P. Ricoeur, Tolleranza, intolleranza, intollerabile, Brescia, Morcelliana, 2024.
7 Nei confronti di un certo retorico spiritualismo cattolico, oggi molto di moda e pregno di accomodante orizzontalismo umanitario che troppe volte sembra prescindere dalla dimensione verticale della fede, potrebbero o dovrebbero essere giustamente critici non solo dotti non credenti come M. Onfray, Trattato di ateologia, Roma, Fazi Editore, 2005, ma anche quel gruppo sempre più ristretto di cattolici che, sia pure isolati e screditati, tentano di rimanere fedeli alla parola rivelata. D’altra parte, Onfray sul fronte ateo non figura certo tra gli intellettuali più stupidi e sprovveduti, giacché tra i fomentatori d’odio antireligioso e anticattolico, anche se fautore di un umanesimo non particolarmente lontano da quello pseudoreligioso di certo cattolicesimo dominante, figura anche un personaggio quasi claunesco come A. C. Grayling, The God Argument: The Case Against Religion and for Humanism, London, Bloomsbury Publishing PLC, 2014.
8 R. Carcano, Breve storia del concetto di laicità nella dottrina cattolica, in Rivista on line “L’ateo”, 2014, n. 6.
9 Ivi.
10 Ivi.
11 Ivi.
12 Dispiace per eminenti studiosi come E. Tortarolo, Il laicismo, Roma-Bari, Laterza, 1998, che, adottando il termine di laicismo e non di laicità in segna di dissenso polemico dal cattolicesimo che conferisce solo al secondo (laicità) un significato positivo, lo definisce con intento promozionale, nelle pagine iniziali come «l’atteggiamento di coloro che sostengono la necessità di escludere le dottrine religiose, e le istituzioni che se ne fanno interpreti, dal funzionamento della cosa pubblica in ogni sua articolazione»: definizione esatta anche se incompleta di laicismo, ma non appunto di laicità, che sta invece a denotare l’atteggiamento di coloro che, credenti o non credenti che siano, ritengano legittime le idee e le fedi religiose e cristiane al pari di qualunque altra idea o fede religiosa o irreligiosa purché compatibile con modi non eversivi e violenti del vivere civile e ammissibili nel quadro del pubblico dibattito e della costruttiva partecipazione alla vita democratica della società e dello Stato. Resta, inoltre, indimostrato e indimostrabile che, come sostiene un intelligente ma fazioso laicista, la democrazia non abbia bisogno di Dio: si allude a P. Flores d’Arcais, La democrazia ha bisogno di Dio» (Falso!), Roma-Bari, Laterza, 2013. D’altra parte, con ragioni forse in parte giuste e opportune, ai cattolici viene rivolto l’invito, in G. E. Rusconi, Non abusare di Dio, Milano, Rizzoli, 2007, a non pretendere che le leggi dello Stato debbano corrispondere ad una completa traduzione normativa dei loro convincimenti etico-religiosi.
13 AA.VV., La laicità vista dai laici, a cura di E. D’Orazio, Milano, Università Bocconi Editore, 2009, anche se gli interventi di alcuni autori laici qui ospitati non sempre appaiono esenti da forzature e ambiguità.
14 G. Zagrebelsky, Contro l’etica della verità, Roma-Bari, Laterza, 2008.
15 Gruppi di pressione particolarmente temibili da un punto di vista democratico, sono quelli di natura o indirizzo tecnocratici: D. Fisichella, L’altro potere. Tecnocrazia e gruppi di pressione, Roma-Bari, Laterza, 1997.
16 Se il potere religioso possa mettere in discussione la laicità democratica, era l’interrogativo di un libro non più recentissimo: G. Fragnière, La religione e il potere. La cristianità, l’Occidente e la democrazia, Bologna, EDB, 2008.
17 Recensione di Valentino Salvatore al libro di Raffaele Carcano, Liberi di non credere, Roma, EIR, 2011, nel sito UAAR, novembre 2011.
18 C. Ocone, Laicismo e clericalismo, stereotipi da superare, in “Reset” del 17 luglio 2012, n. 132, dove il filosofo campano torna sui temi già affrontati in AA.VV., Manifesto laico, da lui stesso curato con E. Marzo, Roma-Bari, Laterza, 1999.
19 Ivi.
20 Ivi.
21 Ivi.
22 Ivi.
23 Cfr. (A cura di G. Cioli e S. Tarocchi), Fede e attività politica, Firenze, Nerbini, 2022; M. Toso, Alle radici dell’impegno sociale e politico, in “Rassegna Centro Nazionale Opere Salesiane” 2023, n. 1, pp. 35-55; C. M. Martini, Giustizia etica e politica nella città, Milano, Bompiani, 2017, con particolare riferimento ai problemi del lavoro e al problema del rapporto tra etica politica ed economia, ai problemi bioetici, ai problemi della comunicazione sociale e ai rapporti tra cittadini e pubblica amministrazione, alle implicazioni e ai rischi del progresso tecnologico, al ruolo della famiglia in una società complessa e alla questione scolastico-educativa e della formazione etico-civile delle nuove generazioni, all’impegno contro la corruzione in tutti gli ambiti della società, alla funzione dei mezzi di comunicazione di massa; P. Pugni, Fede, ragione e politica. La coerenza dei cattolici sui valori, Verona, Fede&Cultura, 2008.
24 N. Papafava, I cattolici tra partito unico e libertà di scelta, Fiesole, Cultura della Pace, 1994; E. Preziosi, Cattolici e presenza politica. La storia, l’attualità, la spinta morale dell’Appello ai liberi e forti, Brescia, Scholé, 2020; AA.VV., Cattolicesimo e azione politica, a cura di I. Zuanazzi e D. Dimodugno, Torino, Accademia University Press, 2024; P. Romani, Ricominciare dall’uomo. I cattolici e la politica. Nuove ipotesi, Roma, Armando, 2013; L. Bobba, Il posto dei cattolici, Torino, Einaudi, 2017.
25 Il riferimento critico-polemico è alla improvvida sortita di G. E. Rusconi, Come se Dio non ci fosse. I laici, i cattolici e la democrazia, Torino, Einaudi, 2000.
26 M. Ainis, Chiesa padrona, Milano, Garzanti, 2009. Si veda anche C. Maltese, La questua. Quanto costa la Chiesa agli italiani, Milano, Feltrinelli, 2008; G. Galli, Finanza bianca. La chiesa, i soldi, il potere, Milano, Mondadori, 2004 e M. Teodori, Vaticano rapace. Lo scandaloso finanziamento dell’Italia alla Chiesa, Venezia, Marsilio, 2013. Naturalmente, non è solo la confessione cattolica a beneficiare di finanziamenti di Stato: si veda AA.VV., Enti di culto e finanziamento delle confessioni religiose. L’esperienza di un ventennio (1985-2005), a cura di I. Bolgiani, Bologna, Il Mulino, 2008.
27 M. Neri, Fuori di sé. La Chiesa nello spazio pubblico, Bologna, EDB, 2020 e Recensione di P. Costa a questo stesso libro, Un altro elogio (teologico) della follia, in “Settimana News” del 19 gennaio 2021. Se la Chiesa cristiano-cattolica è riuscita ad attraversare ben due millenni in condizioni economico-finanziarie sostanzialmente soddisfacenti, se non sempre particolarmente floride, è probabile che anche oggi sarebbe in grado di sopravvivere finanziariamente pur senza gli ingenti contributi finanziari dello Stato italiano.
28Sulle tappe del processo giuridico-legislativo che avrebbe portato lo Stato italiano ad erogare ingenti finanziamenti a favore della Chiesa cattolica, si può utilmente confrontare G. Baturi, Il finanziamento della Chiesa in Italia. Evoluzione e prospettive in una ottica ecclesiale, in “Ius ecclesiae”, xxx, 1, 2018, XXX, n. 1, pp. 269-284, Pisa-Roma, Fabrizio Serra Editore. Va appena osservato che fonti finanziarie e finanziatori di ogni ceto popolare e categoria sociale non sono mai mancati alla Chiesa cattolica nel corso della sua lunga e travagliata storia: si vedano, per esempio, M. Muolo, I soldi della Chiesa. Ricchezze favolose e povertà evangelica, Alba (CN), Paoline Editoriale, 2019; Atti delle giornate di studio su Fonti e Metodi per lo studio della ricchezza ecclesiastica nell’Europa meridionale (secoli XIII-XVI), a cura dell’École Française de Rome, 22-23 febbraio 2024; F. Salvestrini, La proprietà fondiaria dei grandi enti ecclesiastici nella Tuscia dei secoli XI-XV. Spunti di riflessione, tentativi di interpretazione, in “Rivista di Storia della Chiesa in Italia”, 2008, n. 2, p. 377-412; Don Cesare Burgazzi, Il sostentamento del clero nella Chiesa dei primi secoli, nel sito ufficiale della Segreteria di Stato della Santa Sede, 6 febbraio 2013. Peraltro, molto oculata si sarebbe spesso rivelata l’amministrazione finanziaria della Chiesa, come ad esempio quella esercitata nei comuni dei suoi domìni territoriali tra ‘500 e ‘700: S. Tabacchi, Il Buon Governo. Le finanze locali nello Stato della Chiesa (secoli XVI-XVIII), Roma, Viella, 2007.
29 M. Marzano e N. Urbinati, Missione impossibile. La riconquista cattolica della sfera pubblica, Bologna, Il Mulino, 2013.
30 R. Moro, Il mito dell’Italia cattolica. Nazione, religione e cattolicesimo negli anni del fascismo, Roma, Studium, 2021.
31 Non si può dunque convenire con molti degli assunti teorici presenti nel libro di D. Bifulco, Il disincanto costituzionale. Profili teorici della laicità, Milano, Franco Angeli, 2015. Ma ignorare la valenza giuridica del concetto di confessione religiosa e la specifica valenza storico-giuridica della confessione cristiana e cattolica significa arrecare un grave vulnus al concetto stesso di laicità democratica: L. Barbieri, Stato laico e pluralismo confessionale. Per una definizione giuridica del concetto di confessione, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2012, proprio mentre sterilmente e puerilmente vittimistiche e rivendicazionistiche si confermano certe esternate recriminazioni di chi evidentemente non riesce a trovare nella sua cultura rigidamente immanentistica e chiusa alla trascendenza mezzi critici idonei a fronteggiare in modo adeguato il variegato, ricco e articolato sapere di matrice evangelica. Come nel caso di C. A. Viano, Laici in ginocchio, Roma-Bari, Laterza, 2008.
32 S. Rodotà, Perché laico, Roma-Bari, Laterza, 2009: mentre c’è chi opportunamente ricorda e sottolinea, pur in qualità di giurista esperto e ben dotato di spirito costituzionale, che la democrazia, lungi dall’essere una costruzione meramente giuridica, sia soprattutto una costruzione sociale e politica non senza l’apporto per certi aspetti determinante di una cultura critica e autocritica ad un tempo: L. Ferrajoli, La costruzione della democrazia. Teoria del garantismo costituzionale, Roma, Laterza, 2021. Particolarmente condivisibile è l’appello qui contenuto a non abdicare mai alla ragione, anche in presenza di tensioni oltremodo drammatiche nel contesto del sempre più contraddittorio ed esasperato dibattito democratico.
33 G. Calogero, Quaderno laico, Bari, Laterza, 1967.
34 In tal senso, ancora troppo ottimista appare un libro pure ben scritto e argomentato contro le tante forme di fallacia argomentativa che caratterizzano l’odierno dibattito politico-civile e culturale: F. D’Agostini, Verità avvelenata. Buoni e cattivi nel dibattito pubblico, Torino, Bollati Boringhieri, 2010, il cui impianto di fondo risulta poi, a mio giudizio, potenziato e migliorato in un libro di poco successivo: I mondi comunque possibili. Logica per la filosofia e il ragionamento comune, Torino, Bollati Boringhieri, 2012.