I discepoli, terrorizzati dalla persecuzione ebraica che si era scatenata su essi dopo la crocifissione di Gesù, erano rinserrati nel loro rifugio allorché questi, del tutto inaspettato, vi appare all’improvviso in modo miracoloso, mostrando loro le mani e il fianco recanti i segni inconfondibili della crocifissione, quasi a voler dimostrare a tutti, senza giri di parole, di non essere né un fantasma, né uno spirito solo illusoriamente dotato di apparenze corporee, ma di essere lui, con la sua persona, con il suo corpo, con la sua carne, del tutto identico a quello che era stato prima di morire sulla croce e prima di essere sepolto. Il Signore si preoccupa di fugare immediatamente nei suoi discepoli ogni dubbio, ogni possibile o reale sussulto di incredulità, perché sa bene che, per quanto già amato e adorato da essi quale Figlio di Dio in virtù dei prodigi compiuti e delle parole pronunciate nel corso della sua terrena missione di salvezza, persino la fede più solida e ardente può essere soggetta a qualche momento di incertezza, di perplessità, se non di paura, allorché un corpo visto morto, cadavere, e poi sepolto e chiuso, anzi ermeticamente sigillato in una grotta di roccia con un blocco imponente e inamovibile di pietra, appaia di nuovo in vita e nel pieno delle sue funzioni fisiche, psichiche e intellettive.
Cristo non risorge in senso meramente spirituale, metaforico, simbolico, teologico; Cristo risorge fisicamente, corporalmente, materialmente, senza perdere la sua originaria fisionomia, i dati costitutivi della sua identità personale, il tono e il timbro della voce, le espressioni dello sguardo, il modo di muoversi e gesticolare. Il Risorto è la stessa persona che era prima di morire con l’aggiunta, di inestimabile valore esistenziale, dell’immortalità. Egli, come di consueto, augura la pace, la sua pace ai discepoli, vale a dire la serenità, la gioia, il benessere fisico e spirituale che corrispondono alla condizione esistenziale in cui sono destinati a trovarsi e a vivere quanti lo abbiano seguito o intendano seguirlo fedelmente, sia pure tra cadute e contraddizioni dolorose, durante la vita terrena. Cristo mostra così, in modo ormai inequivocabile, il senso ultimo della sua passione e morte: la salvezza dell’uomo e della donna in quanto sarx, in quanto unità creaturale inscindibile di anima e corpo, in quanto esistenza personale nella totalità o pienezza delle sue funzioni fisico-sensoriali e intellettive e spirituali, in quanto corporeità abitata e animata da una energia pneumatica.
La risurrezione dei corpi non è una favola, una pia illusione, un mito fondativo dell’etica cristiana, ma una oggettiva e comprovata anche se inspiegabile realtà; essa è dunque la grande, inaudita novità dell’annuncio cristiano, anche se, come si evince dalle parole subito dopo rivolte da Gesù ai suoi discepoli, se tutti sono destinati a risorgere, non tutti saranno destinati a risorgere necessariamente nella gloria divina. Si risorge, infatti, per vivere gloriosamente in Cristo oppure per morire definitivamente, di una morte inestinguibile, in assenza di Cristo, della sua grazia e del suo perdono. Questo si comprende bene allorché Gesù annuncia la missione di discepoli e apostoli: “Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi”: mando voi, a fare cosa? A testimoniare il Cristo morto e risorto e a concedere, in virtù della capacità di discernimento e di giudizio loro trasmessa dallo Spirito Santo, in essi infuso dallo stesso Gesù, la possibilità di ottenere la vita eterna con il perdono dei loro peccati, perdono che però non sarebbe stato scontato, automatico, poiché, egli dice, «a coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati». Bisogna tener ben presente questo punto che viene generalmente trascurato dalla teologia contemporanea e dalla stessa catechesi cattolica, perché, è bene ripetere, si può risorgere per la vita eterna oppure per l’eterna dannazione; così come occorre precisare che, se qui Gesù si rivolge al suo gruppo storico di seguaci, il significato della sua affermazione deve essere inteso in senso estensivo, per cui non solo i dodici ma tutti coloro che, sotto l’azione illuminante e santificante dello Spirito Santo, fossero stati in futuro suoi degni pur se imperfetti seguaci, sia nello stato civile che religioso, avrebbero potuto e dovuto esercitare la facoltà, loro concessa da Cristo, di perdonare o non perdonare i peccati. Si badi: non perdonare unilateralmente ma perdonare oppure, ove il perdono non fosse richiesto né implicitamente, né esplicitamente, né con cuore contrito e sincero, anche la possibilità di non concedere il perdono. Anche in questo caso, non si ha a che fare con una sorta di automatismo spirituale, secondo cui il perdono sarebbe dovuto sempre e comunque, potendosi e dovendosi esso concedere evangelicamente solo a determinate condizioni. Per essere concesso, il perdono va agognato e richiesto.
Ma Gesù non avrebbe avuto a che fare semplicemente con seguaci devoti e già convinti della sua divinità dalle sue opere e dalla sua predicazione, bensì anche con seguaci sinceri e tuttavia più titubanti oppure intellettualmente più esigenti dei primi, vale a dire con seguaci che, pur senza peccare di superbia, avrebbero voluto toccare con mano l’avvenuta risurrezione del loro Signore. Sarebbe stato questo il caso di Tommaso, cui Gesù avrebbe concesso di constatare non per sentito dire ma personalmente, direttamente, empiricamente, la sua avvenuta risurrezione. Ed è quello che, di tanto in tanto, nella storia del genere umano, continua ad accadere, privatamente e misteriosamente, a beneficio di alcuni credenti che, non paghi delle ragioni del cuore, ottengono talvolta da Dio che anche le ragioni della loro mente e dei loro sensi siano soddisfatte. Ma il fulcro della fede in Cristo resta la certezza della risurrezione corporea, senza la quale, come scrive san Paolo, sarebbe inutile credere in Dio e nel valore salvifico del sacrificio di Cristo. E, da questo punto di vista, coloro che crederanno senza vedere e toccare saranno considerati da Dio ancor più beati di coloro che avranno creduto vedendo e toccando.
Francesco di Maria