Pensiero della settimana

La parabola del figliol prodigo, oggi giustamente rinominata come parabola del padre misericordioso dall’autorità biblico-teologica cattolica, in realtà può essere applicata almeno a tre diversi e ipotetici casi, che sono però caratterizzati dalla stessa dinamica relazionale, quella dell’improvvido o ingiusto abbandono: un figlio abbandona il padre, non malvagio o dispotico ma amorevole verso i figli e rispettosissimo della loro libertà, per affrontare in piena autonomia di coscienza e azione, e al di fuori di ogni diretto o indiretto condizionamento paterno, la vita e il mondo verso cui si sente chiamato; un battezzato in Cristo, e membro della sua Chiesa universale ovvero cattolica, a un certo punto della sua vita lascia la chiesa locale che aveva frequentato durante l’infanzia e l’adolescenza, sentendosi da essa non compreso e non valorizzato spiritualmente e compiendo tuttavia l’errore di recidere per lungo tempo i legami con la comunità ecclesiale non solo in senso psicologico e relazionale ma anche in senso dottrinario e sacramentale; un essere umano, una creatura si allontana da Dio e dalla sua legge reclamando maggiore libertà di pensiero e scelta in rapporto a quelli che vengono soggettivamente percepiti non solo come desideri ma proprio come bisogni inderogabili della propria esistenza personale. Quel figlio, dopo aver fatto esperienza del mondo esterno come esperienza di gran lunga più soffocante e frustrante della precedente e più familiare esperienza, capisce di aver operato una scelta sbagliata e per niente affettuosa e rispettosa nei confronti del padre, e sia pure di un padre tanto amorevole quanto autorevole e moralmente intransigente e non esente da limiti e difetti, e si prepara, pertanto, a chiedere perdono per il suo riprovevole o almeno ingeneroso comportamento con la speranza di essere riaccolto nella sua famiglia d’origine. Quel battezzato, pur potendo dar prova finalmente delle sue capacità, del suo ingegno e della sua sensibilità, al di fuori della comunità religiosa di appartenenza e in altri ambiti della vita civile, come l’università, il mondo del lavoro e dei non regolamentati scambi interpersonali e ancora un mondo affettivo e sentimentale libero da doveri o obblighi di tipo confessionale o patriarcale, ad un certo punto si rende conto che l’aver potuto sprigionare energie intellettive ed emotive prima represse o bloccate, o quanto meno troppo rigidamente disciplinate, non abbia coinciso con la svolta sperata e non abbia ancora costituito quella pur sperata opportunità di realizzazione personale che avrebbe dovuto consentirgli di superare il suo precedente stato di mancata integrazione nel mondo, e allora decide di tornare umilmente ai vecchi ambiti parrocchiali e comunitari di vita per onorare il Signore sia pure nei limiti in cui gli fosse stato consentito dal prossimo e da Dio stesso, comprendendo che probabilmente non tanto l’educazione familiare, né l’educazione e la formazione religiose ricevute in parrocchia, né ancora i rapporti interpersonali avuti prevalentemente in essa e indubbiamente angusti e limitativi, quanto alcuni altri fattori non ancora precisamente individuati dovevano aver costituito la causa principale della sua mancata capacità di comunicare e interagire proficuamente con gli altri e il mondo. Infine, quella creatura, che, al di là di pur non trascurabili condizionamenti esterni, decide deliberatamente di allontanarsi da Dio e dal suo insegnamento, rivendicando il diritto di appagare tanto i suoi desideri psico-fisici quanto le sue molteplici esigenze ed aspettative esistenziali, comprende che non esiste esperienza umana e spirituale più faticosa ma anche più soddisfacente e un insegnamento più gratificante e salvifico di quelli che possono essere acquisiti, vissuti e conosciuti restando nell’orizzonte della sapienza o del logos e della passione o della croce di Cristo. E, al suo ritorno nella casa del padre, da questi si sente dire: “sono felice che tu, attraverso una libera, concreta e intensa esperienza di vita, abbia continuato a trovare nel mio amore e nel mio spirito di giustizia la base e lo scopo della tua esistenza e a riconoscermi come Padre insostituibile e necessario, ma devi tener presente, da oggi in avanti, che se un padre giusto e veramente affettuoso, per esser tale, non può sempre essere come un figlio o una figlia lo vorrebbero, questi ultimi dovrebbero mostrarsi felici e grati di poter somigliare, sempre più o meglio possibile, a un padre saggio e misericordioso che tenga al bene dei suoi figli prima e più che al loro immediato o facile consenso”.

Francesco di Maria

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