Pensiero della settimana

Spesso i credenti, di fronte ad improvvise tragedie che colpiscono soggetti ritenuti manifestamente malvagi, sono tentati di credere che essi abbiano potuto subire una giusta punizione divina, mentre, se a restare vittime di fatti drammatici o spiacevoli sono persone ritenute innocenti o addirittura oltremodo integre e caritatevoli, essi si mostrano disorientati e sgomenti per non aver provveduto Dio a proteggerli da un destino crudele. Non è che Dio non abbia facoltà di punire i malvagi e di salvare retti e mansueti anche durante la vita terrena: la Bibbia presenta numerosi episodi in cui la giustizia divina viene concretamente manifestandosi a danno di alcuni e a beneficio di altri. Ma non è questo il significato prevalente della logica divina, a cui certo non è estraneo lo spirito di verità e giustizia ma che non è preposta ad infliggere, durante l’esperienza terrena, severe condanne a stolti e ad empi oppure a dispensare vantaggi o benefici ai poveri in spirito. E’ proprio questo il monito di Gesù: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte? […] O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Siloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme?». Quanto ai giusti e ai santi, basti riflettere sulla sua stessa vita e, soprattutto, sull’esito della sua presenza e della sua opera salvifica tra gli uomini, per rendersi conto che persino chi sia pieno della grazia di Dio e a lui gradito può andare incontro ad un destino di disperazione e di morte. Il credente non è o è sperabile non sia un ingenuo o uno sprovveduto che non sappia riconoscere colpe o trasgressioni contro Dio e contro gli uomini, ma non può e non deve pensare che Dio non dia tempo e modo persino ai peccatori più recidivi, a tiranni o a criminali, di pentirsi delle efferatezze compiute, o che, d’altra parte, si preoccupi di togliere ogni affanno e ogni evento doloroso o luttuoso a quanti sinceramente confidano in lui. Il credente deve certo impegnarsi affinché nessuno procuri gravi danni ad altri o sia artefice di iniquità meritevoli di condanna divina e umana, e in tal senso non può e non deve esimersi dal giusto discernimento e dall’onesto ed equanime giudizio. Ma ciò non comporta né deve comportare evangelicamente, sia pure nei limiti dell’umanamente possibile, la propensione ad esprimere facili, disinvolti e tassativi o definitivi giudizi nei confronti di chicchessia, si tratti di individui verso cui saremmo disposti a coltivare sentimenti di stima o di amicizia o, al contrario, di individui che suscitino in noi un istintivo o immediato senso di repulsione o di disprezzo. Piuttosto è vero che chiunque, peccatori presunti o peccatori reali, si attardi a vivere in uno stato di peccato e a ritardare continuamente la propria conversione non potrà che sperimentare la morte eterna. Questo sì, questo corrisponde realmente alla giustizia divina. Il Signore è paziente e benevolo verso tutti: verso chi ha già sprecato molteplici opportunità di fare il bene e di ritornare a Dio, perché potrebbe ancora essere capace di fare il bene con uno straordinario atto di amore o con il sacrificio stesso della sua vita, non meno che verso chi si sia già speso o impegnato in opere non meramente abitudinarie o ritualistiche di carità, di bene e di conversione. Ma, prima o poi, il fico che non porta frutto non può che rivelarsi inutile, più che cattivo, e incapace di dare senso alla sua esistenza e gloria alla sapienza e all’amore divini. E, allora, dovrà essere tagliato.

Francesco di Maria

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