Quanto più si è in comunione con Dio, quanto più si entra in contatto intimo con Dio, tanto più ci si trasfigura, tanto più si è inondati di luminosa gloria divina, tanto più la nostra vita si apre ad un processo di divinizzazione. Il momento di maggior comunione con Dio è dato dalla preghiera, dal reiterato, insistente e fiducioso atto di fede in Dio, nonostante tutte le paurose incognite che gravano sulla nostra esistenza. Ma la preghiera, beninteso, deve essere intesa come apertura del cuore alla volontà di Dio ancor più che richiesta pure legittima di accondiscendenza divina ai nostri bisogni e alle nostre quotidiane necessità, e non certo come semplice abitudine o come ultima risorsa cui si ricorra quasi scaramanticamente nei momenti difficili! Spesso, nel pregare il Signore, ci capita di covare nell’animo un desiderio di quiete, di serenità, di pace che vorremmo rendere permanente, che vorremmo perpetuare, e allora, come Pietro, vorremmo costruire delle capanne per metterci in esse al riparo, in compagnia del Cristo, dalle incertezze, dalle minacce e dalle sofferenze del mondo. A volte, come Pietro, anche noi siamo tentati di cercare una fede comoda, disimpegnata, fatta solo o prevalentemente di emozioni, ma stare in compagnia di Gesù non significa aspirare a fuggire dalla dura realtà quotidiana e dalle croci del vivere, soggiacendo alle nostre illusioni e ai nostri timori, bensì disporsi all’ascolto e alla comprensione della sua parola e del suo insegnamento salvifici: «E dalla nube uscì una voce che diceva: “Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo”!». Dalla nube, cioè dalla misteriosa e gloriosa presenza di Dio-Padre, viene un invito non solo e non tanto ad apprezzare e ad agognare sentimentalmente la figura del Figlio unigenito, ma a non equivocare il senso della sua funzione salvifica e quindi a capirne e a seguirne realmente il messaggio e i santi precetti. Cosa ci fanno Mosè ed Elia in compagnia di Gesù? Sono lì a ricordare la passione e la risurrezione di Cristo, ovvero il suo esodo dal dolore e dalla morte alla gloria e alla vita che si sarebbe compiuto a Gerusalemme. Dunque, la pur gloriosa Trasfigurazione è l’evento evangelico attraverso cui viene manifestandosi il vero e più profondo senso del piano salvifico di Dio: la gloria della risurrezione può raggiungersi solo passando attraverso l’accettazione, pur sofferta e lacerante, della sofferenza e della morte nel compimento quanto più sincero e coerente possibile della volontà divina.