Pensiero della settimana

Sono pochi o molti quelli che si salvano? Sono moltitudini tutto sommato abbastanza esigue di persone oppure masse sterminate di esseri umani a salvarsi? Questa domanda viene posta al Signore non da un sacerdote del Tempio, non da un dottore della Legge, né da farisei o sadducei, ma da un individuo anonimo, da un tizio qualunque. Non capisco perché qualche nostro sacerdote contemporaneo avverte talvolta il bisogno, nel corso delle sue omelie, di chiosare come Gesù non risponderebbe direttamente a tale domanda, ritenendola mal posta, ma solo in modo indiretto, a voler sottolineare che la domanda giusta da porre sarebbe stata piuttosto un’altra: mi salverò io? Perché, spiegano alcuni presbiteri, invece di pensare alla salvezza altrui è necessario pensare alla propria salvezza. Ma, in realtà, il testo di Lc 13, 22-30, non induce affatto a pensare che l’autore di quella domanda, nel formularla, non abbia inteso includere in essa anche se stesso e il suo destino ultraterreno. Anzi, prevedendo come scontata la risposta di Gesù a una domanda troppo personale, egli evita di rivolgergliela, optando per una domanda di carattere generale e di evidente importanza teologica. Cosa avrebbe potuto rispondere il Maestro a chi gli avesse chiesto: “Signore, io mi salverò, potrò salvarmi io?”, se non che, riproponendo la spiegazione data a uno scriba in una diversa occasione, si sarebbe salvato se avesse agito e vissuto secondo i divini comandamenti, amando Dio e il suo stesso prossimo (Mc 12, 28-34)? D’altra parte, Gesù non rimprovera, sia pure bonariamente, il suo interlocutore, e non lo redarguisce perché considera corretta e sensata la sua domanda, tanto da limitarsi a rispondere con grave serietà che, per conseguire la salvezza, tutti, senza distinzioni di sorta, si sarebbero dovuti sforzare «di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno».

Quale sarebbe, cosa sarebbe questa porta stretta?  La porta stretta rappresenta, al di là di qualsivoglia tentazione o intenzione moralistica, l’invito a mantenersi leggeri o eterei spiritualmente, ovvero non carichi di sete di possesso e di ricchezza, di dominio, di concupiscenza, di doppiezza, di successo, di visibilità, ma di semplicità, sobrietà, umiltà, carità, e ancora di fraterna franchezza, di libero e liberante spirito profetico, di chiara e inequivoca testimonianza evangelica. Attraverso la porta stretta non potrà passare chi, pur essendo oggettivamente troppo grasso e grondante di colpe, inadempienze, trasgressioni, perversioni, mai oggettivamente rimosse per mezzo di atti sinceri di pentimento e conversione interiore, pretenderà di essersi sempre comportato da fedele seguace di Cristo, celebrando l’eucaristia o partecipando alla messa, facendo elemosine o proclamando pubblicamente la propria fede in Cristo e nella Chiesa. Non basterà vantare o esibire una religiosità di facciata o una vicinanza esteriore al Cristo per attraversare quella porta così selettiva, benché così ospitale, accogliente, misericordiosa, perché bisognerà dimostrare realmente di essere così leggeri di spirito da sollevarsi verso il cielo senza ingombranti e dannose zavorre esistenziali.  Nessuno di noi potrà mai bleffare con Cristo che lascia sempre aperta quella porta stretta per coloro che abbiano meritato la sua compassione, il suo perdono, la sua incondizionata accoglienza paterna. Egli sarà felice di lasciar passare, di lasciar entrare nel suo regno tutti coloro che si saranno seriamente sforzati di recare offesa alla sua Parola, alla sua giustizia e alla sua volontà, pur avendo molto peccato nel corso della vita terrena senza tuttavia rinunciare a rialzarsi con l’aiuto di Dio.

Coloro che riusciranno ad attraversare o a cui sarà consentito di attraversare quella porta, potranno scoprire finalmente che il loro Dio non è un dovere da compiere ma una festa da celebrare, da celebrare non più in un modo discontinuo e imperfetto di natura terrena, ma per l’eternità in totale e compiuta beatitudine. Molti, però, ammonisce Gesù, non riusciranno a passare, sia pure tra proteste e recriminazioni di ogni genere, neppure molti di coloro che nella vita terrena si erano professati rappresentanti del sacro oppure ligi esecutori dei comandi divini e umili seguaci del divino Maestro. Il Signore dirà loro: fatela finita, non so di dove siete, so solo che la vostra ipocrisia non potrà più nascondere la vostra reale condizione di “operatori di ingiustizia”. Avete voluto primeggiare in terra, persino quando non ne avevate alcun titolo, ma adesso siete destinati a scomparire, a svanire, come scompare e svanisce tutto ciò che è effimero e non così solido da essere imperituro. I vostri posti saranno presi, per l’eternità, da coloro che, sempre confidando nella misericordia e nella giustizia divine, hanno inteso vivere o sono stati costretti ingiustamente a vivere da ultimi.

  Francesco di Maria  

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