Pensiero della settimana

Gesù mostra di pensare alla sua Chiesa non come ad un’istituzione votata a riscuotere grandi consensi e memorabili successi sul piano storico-mondano, ma come ad una comunità spirituale e religiosa votata molto più a testimoniare e a vivere fedelmente la Parola di Dio in un mondo segnato dal peccato, dal disordine e dalla corruzione della natura umana che non ad espandere e a potenziare a tutti i costi le sue strutture esteriori, la sua organizzazione materiale, la sua visibilità istituzionale. Egli, infatti, chiama la comunità dei suoi discepoli “piccolo gregge”, proprio per evidenziarne l’irrilevanza numerica e storica, esortandola tuttavia a “non temere”, dal momento che il Regno di Dio predilige le cose piccole, le realtà umili, gli uomini semplici e non desiderosi di contare, di avere importanza, autorità o prestigio, di arricchirsi secondo le più accreditate categorie del mondo, ma secondo le misconosciute e molto meno affermate categorie di Dio. Si legge, infatti, in Lc 12, 32-35: «Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno. Vendete ciò che possedete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un tesoro sicuro nei cieli, dove ladro non arriva e tarlo non consuma. Perché, dov’è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore». Chi ama il mondo che c’è non può che assecondarne le logiche di potere, di ricchezza, di successo, spesso coincidenti con quelle dell’oppressione, dello sfruttamento, del culto di sé e della più sfrenata competizione, mentre chi ama il mondo che verrà non può che armarsi di sincero e costruttivo spirito di servizio e di fedeltà, nella preghiera e nell’attesa, a Colui che salva: «Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese; siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito» (Lc 12, 35-36).

I servi “inutili”, perché coscienti di fare solo quel che devono senza illudersi che il loro servizio possa essere minimamente utile a qualcuno o a qualcosa, ma fedeli a Dio, al suo insegnamento, alla sua volontà, senza preoccuparsi di apparire colti, saggi, rispettabili e ben accetti ai sapienti della terra e al conformismo dominante, saranno serviti e onorati da Dio stesso, al suo ritorno sulla terra, e inondati di eterna beatitudine. I veri discepoli, non necessariamente perfetti o sempre irreprensibili, sono quelli che si preoccupano principalmente di servire gli altri e il prossimo bisognoso, siano essi apostoli o ministri di Dio, oppure suoi semplici ma determinati seguaci. I veri discepoli non sono necessariamente quelli ordinati al sacerdozio da poteri ecclesiastici e non anche evangelico-ecclesiali ma quelli che, muniti di sacerdozio ministeriale o di sacerdozio universale, sono, pur consapevoli dei propri limiti e bisognosi del perdono e del favore divini, sempre pronti, nel servizio e nella preghiera, ad accogliere il loro Signore. La loro piccolezza, la loro insignificanza, non deve essere motivo di timore o di sconforto, perché il Regno di Dio cresce tra coloro che, pur avendone tutte le possibilità, rinunciano ad essere o a voler essere grandi in questo mondo, e si impegnano nel compimento del bene con la speranza di poter essere amati nell’altro da Dio.

Ma, chiede intelligentemente Pietro a Gesù, «questa parabola la dici per noi o anche per tutti?» (Lc 12, 41), donde la risposta indiretta ed articolata del Cristo che, alludendo sia e innanzitutto al servizio ministeriale e sacramentale sia anche al servizio laico esercitato in uno spirito di verità e carità, osserva come evidentemente ad essere premiato non potrà essere il servo incostante e infedele che, quasi dimenticandosi di essere stato incaricato da Dio a provvedere al soddisfacimento delle necessità dei suoi assistiti, finisca per trascurarli del tutto badando a soddisfare esclusivamente le sue voglie e i suoi capricci, ma il servo che, ben lungi dal desiderare di indossare i panni del padrone dispotico, ingordo, licenzioso e   impenitente, si sarà sempre sforzato di fare del suo meglio per non dispiacere al suo Signore (Lc 12, 42-46). Il cristiano è dunque tenuto a vigilare sulla sua vita prima e oltre che su quella degli altri, perché la sua fede non sia ostacolata dalla cupidigia, dall’ambizione, dalle paure. Va da sé, poi, che il servo, ben consapevole della volontà di Dio, come dovrebbero essere ma non esclusivamente gli ecclesiastici o i monaci in generale, ma non operante in conformità ad essa, sarà trattato molto duramente, a differenza del servo errante che, conoscendola in modo più generico, sarà trattato meno duramente. Perché, «a chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più» (Lc 12, 47-48).

Francesco di Maria

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