Bisogna soffrire come Cristo o, almeno, per le stesse ragioni e gli stessi scopi per i quali Cristo avrebbe sofferto, per poter risorgere in virtù della sua reale risurrezione da morte. Questa è la lezione più vitale che le avanguardie più degne e fedeli del suo popolo e della sua Chiesa si sforzano di testimoniare, trasmettere e perpetuare attraverso i secoli, predicando a tutti i popoli la conversione alla Parola di Dio rivelata da Cristo e il perdono dei peccati. Prima di ascendere non metaforicamente ma realmente in cielo, Gesù ricorda ai suoi discepoli e apostoli che avrebbe effuso lo Spirito Santo, il Paràclito, l’avvocato, il difensore, il consolatore in uno spirito di verità, promesso dal Padre, per fortificarli e renderli spiritualmente potenti in un mondo che si sarebbe costantemente opposto alla loro missione di evangelizzarne salvificamente tutti i popoli e gli esseri umani. Il Cristo si stacca dai suoi non prima di dispensare loro la sua amorevole e santificante benedizione, perché essi, ormai forti dei suoi insegnamenti e delle sue opere di giustizia, misericordia e carità, potessero assumerli come modelli paradigmatici da emulare nella loro stessa esistenza e da indicare a tutti come imprescindibili punti di riferimento di salvezza personale e collettiva (Lc 24, 46-53).
Da quel momento in poi, a partire dall’originaria esperienza apostolica ed ecclesiale di Gerusalemme, la Chiesa più santa di Dio avrebbe affrontato i suoi compiti missionari con grande coraggio e determinazione, tra pericoli e minacce di ogni genere, lodandolo costantemente nel tempio, da cui sarebbero usciti continuamente, sia pure con grande cautela, per stare in mezzo a increduli, sofferenti e bisognosi di cure materiali e spirituali e per portare loro la buona novella, ma anche per farvi continuamente ritorno come al porto sicuro della loro fede e alla perenne fonte rigenerativa del loro impegno spirituale nel mondo. Lungi dall’istituire gerarchie burocratiche di potere o di comando, e dall’operare sulla base di ruoli gerarchici aprioristicamente definiti, i primi e più antichi rappresentanti di Cristo si sceglievano reciprocamente, secondo l’insegnamento del divino Maestro, per servirsi e non per essere serviti, in base alle caratteristiche, alle qualità intellettuali, morali e pratiche di ognuno, ben consci del fatto che tali qualità essi avrebbero dovuto cercare di esercitare in ogni angolo o ambiente sociale e in funzione di un’opera di conversione collettiva, senza tuttavia dimenticare di finalizzare il loro apostolato non alla propria personale glorificazione e a successi temporali fini a se stessi, non ad una umanizzazione immanentistica dei rapporti interpersonali, comunitari e intercomunitari, bensì alla esclusiva gloria di Dio e della sua Chiesa che, pertanto, lungi dal dovere concepire se stessa come perennemente “in uscita” per servire attivisticamente il mondo e dal doversi svuotare di contenuto e significato dottrinari e pastorali per adeguarsi conformisticamente a false e sentimentalistiche logiche terrene e rendersi funzionale a dinamiche costituite di potere, avrebbe dovuto al contrario badare principalmente a fortificare se stessa nella preghiera incessante e nella lode perennemente elevata al Signore, a conservare inalterata la propria identità cristiana, ad esercitare la propria funzione salvifica, non solo in senso orizzontale o storico-sociale quanto principalmente o prioritariamente in senso verticale e religioso, attraverso una rigorosa e puntuale predicazione, la scrupolosa amministrazione dei sacramenti e l’autorevole e coinvolgente guida spirituale dei singoli e delle masse.
La Chiesa deve uscire da se stessa unicamente per consolidare se stessa, non tanto le sue strutture organizzative e burocratiche, il suo prestigio istituzionale, la sua presenza politica nel mondo, lo spirito individualistico e narcisistico in essa annidato, quanto la sua capacità di resilienza intellettuale e teologica, morale e spirituale, la sua assoluta e aperta fedeltà a Cristo, in un mondo in perenne trasformazione ma anche troppo spesso suscettibile di rimanere coinvolto in fenomeni di banalizzazione e strumentalizzazione religiose e in processi di decadimento civile e culturale. La Chiesa deve essere sempre in uscita ma restando sempre desiderosa di tornare a se stessa, deve andare verso il mondo e verso gli altri solo per portare e testimoniare loro la vivente ed eterna verità del Cristo morto e risorto per tutti coloro che sperino di morire e risorgere con e in lui, e quindi per ritornare, con l’assistenza dello spirito divino, sempre più affaticati ma anche più umili e felici, alla accogliente e festosa casa del Padre. Sta scritto, infatti: «come per gli uomini è stabilito che muoiano una sola volta, dopo di che viene il giudizio, così Cristo, dopo essersi offerto una sola volta per togliere il peccato di molti, apparirà una seconda volta, senza alcuna relazione con il peccato, a coloro che l’aspettano per la loro salvezza» (Eb 9, 27-28).
Francesco di Maria